giovedì, 9 Maggio 2024

Cervelli in fuga: il mondo Biotech prova a recuperarli

DiRedazione

15 Novembre 2023
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cervelli in fuga

L’Italia innova nell’ambito delle biotecnologie e richiama i talenti dall’estero. «La fuga dei cervelli esiste ed è un problema, ma con progetti sfidanti e ambiziosi è possibile anche iniziare un processo di rientro di queste competenze nel nostro Paese», dice Cristiana Vignoli, Amministratrice Delegata di Hemera Pharma e vincitrice del premio Women Startup Award 2023 di Gammadonna. La sua impresa, nata grazie a due eccellenze italiane in ambito universitario, punta a sviluppare una cura per le lesioni del midollo spinale. Il settore, ad altissimo tasso di innovazione, è da anni in crescita e il ruolo delle donne al suo interno è sempre più cruciale, sia come ricercatrici sia come manager.

Le aziende di biotecnologie in Italia continuano ad aumentare. Secondo i dati ENEA-Assobiotech, il comparto vale oltre 13 miliardi di euro di fatturato nel nostro Paese. Gli addetti sono oltre 13.700, divisi fra circa 800 imprese. Negli ultimi anni, la crescita del fatturato è stata sostenuta, con nuovi trend che si sono aggiunti alla solida base sviluppatasi nel decennio precedente. Ma la pandemia da Covid-19 ha mostrato più che mai l’importanza del settore. Il tempestivo sviluppo e produzione di vaccini a mRNA contro il Sars-CoV-2 ha permesso di tornare alla normalità, dopo un anno e mezzo di lockdown e misure preventive, viste come l’unica arma per combattere la diffusione della pandemia.

Cristiana Vignoli, Hemera Pharma

Al tempo stesso, la pandemia ha messo in scacco le imprese di piccole o medie dimensioni. La popolazione delle aziende attive in Italia nel campo delle biotecnologie è infatti scesa nel 2020, proprio a causa del fallimento e della chiusura di alcune piccole realtà. Il dato è tornato a salire nel 2021, ma manca ancora l’emergere di realtà di dimensioni più grandi. L’82% del totale è ancora composto da aziende di dimensione ridotta, piccole o micro imprese, con una manciata di dipendenti. Soltanto l’8% ne ha più di 250.

Da sempre, le biotecnologie umane rappresentano la spina dorsale del settore. La ricerca e lo sviluppo Se ne occupa il 50% circa del totale delle aziende attive, responsabile del 74% del fatturato. Si sta facendo spazio però anche un nuovo campo, che è ancora largamente minoritario, ma risulta leggermente più vivace dal punto di vista della crescita. Si tratta delle biotecnologie applicate all’industria, in particolare all’agricoltura e alla zootecnica. Queste realtà sono cresciute in numero e in ricchezza di oltre il 30% negli ultimi anni e stanno trovando terreno fertile nel fornire servizi e tecnologie alle eccellenze italiane.

Un dato importante, sottolineato dal report Le imprese di biotecnologie in Italia di Assobiotech, è quello della dispersione territoriale di queste realtà. Si raccolgono attorno a piccoli distretti produttivi, che attirano buona parte delle piccole e micro aziende. I numeri molto alti non devono quindi ingannare. Ben l’80% dei player si concentra in sole 4 regioni: Toscana, Lombardia, Lazio e Piemonte.  Anche all’interno di questo quartetto di eccellenza c’è una divisione netta: le società del Nord tendono a specializzarsi in ambito zootecnico e agricolo, mentre quelle del Centro sono più legate al quello medico e per la salute. Al Sud non rimane che il 20% delle imprese, con regioni come la Puglia e la Campania che ne annoverano da sole l’8% e il 4% rispettivamente, lasciando alle restanti l’8% del totale.

«La nostra specializzazione è quella della medicina rigenerativa. La prima applicazione a cui stiamo lavorando è la cura delle lesioni del midollo spinale. Si tratta di una patologia molto grave, che condiziona irreparabilmente la vita di chi subisce un trauma alla spina dorsale che danneggia i tessuti nervosi. Al momento non esiste alcuna cura o trattamento per questo tipo di lesioni, che possono causare anche la paralisi del paziente. Si tratta inoltre di un problema molto più diffuso di quanto non si possa pensare: ogni anno nel mondo oltre 500.000 persone si trovano coinvolte in incidenti o situazioni che pregiudicano l’integrità del loro midollo spinale, con conseguenze spesso estremamente gravi e debilitanti. Hemera si candida ad essere la prima terapia al mondo per la cura delle lesioni del midollo spinale».

La vostra è quindi una realtà ad altissimo tasso di innovazione: quali sono le difficoltà e gli ostacoli che si incontrano nel realizzare questo tipo di impresa?

«La nostra azienda ha costruito delle radici molto solide in anni di studi e ricerche in due università italiane: l’Università degli Studi di Verona e quella di Milano. Questo tipo di innovazione non nasce infatti “nel garage”, come accade invece per altri ambiti. È necessario che si concentrino in uno stesso luogo due fattori: le attrezzature adatte per la ricerca tecnologica e il lavoro di personale altamente specializzato.

Nell’implementare un progetto molto ambizioso e innovativo, come quello a cui stiamo lavorando, ma anche come altri nel mondo Biotech, i laboratori sono fondamentali. In Italia abbiamo la possibilità di sfruttare le infrastrutture degli atenei universitari tramite gli spin-off accademici (ne avevamo già parlato qui, ndr). Hemera fa parte di queste realtà, che hanno preso il via all’interno di centri di ricerca e formazione pubblici ma che ora sono completamente private. Questo permette di superare quella che altrove è la prima grande difficoltà delle aziende di biotecnologie: la disponibilità di laboratori all’avanguardia e di personale che sia in grado di compiere ricerche molto avanzate al loro interno.

Anche per quanto riguarda il personale siamo stati molto fortunati. Abbiamo due gruppi di lavoro, uno a Verona e uno a Milano, guidati rispettivamente dai 4 fondatori della nostra azienda: il professor Guido Fumagalli e la professoressa Ilaria Decimo in Veneto e i professori Massimo Locati e Francesco Bifari in Lombardia. Attorno a loro abbiamo costruito un team di giovani scienziati che si appassionano alla tematica e portano delle competenze. Una delle prime azioni dopo il primo round di finanziamenti è stata acquisire dei giovani ricercatori di talento che potessero portare avanti la nostra attività di laboratorio».

Riguardo al personale: l’Italia sta vivendo un momento di forte fuga di cervelli, in cui giovani laureati emigrano all’estero per cercare migliori opportunità di lavoro. Quanto impatta questo trend sul reclutamento di giovani per un’azienda biotecnologica?

«Si tratta di un problema che ci ha condizionati nel modo di agire fin dalla fondazione. Una delle nostre prime azioni è stata quella di assumere nel nostro team una ricercatrice italiana. Aveva lavorato a Boston per anni ed è rientrata in Italia insieme alla sua famiglia per lavorare con noi».

Ogni Startup ha bisogno di investitori per cominciare il proprio percorso. Quanto è difficile suscitare interesse e attrarre capitali nel mondo delle biotecnologie?

«Il processo di raccolta è sempre complesso e molto lungo. Proprio le tempistiche diventano un problema nell’ambito delle biotecnologie. Il processo di crescita, in questo campo, deve essere rapido, per poter sviluppare il prima possibile un prodotto appetibile per il mercato e utile per i pazienti. Nei primi 18 mesi di vita di Hemera abbiamo raccolto da imprenditori, business angels, piccoli family office e società quello che noi abbiamo chiamato un primo pieno di benzina. 2 milioni 200 mila euro di capitali essenziali per lo sviluppo della nostra tecnologia. Ma il nostro fabbisogno è molto più ampio e siamo in raccolta anche in questo momento.

La società ha riscosso l’interesse di alcuni investitori finanziari internazionali e stiamo parlando con alcuni fondi italiani. Nonostante i tempi piuttosto lunghi e la complessità, abbiamo fiducia di riuscire a ottenere i finanziamenti per portare la terapia ai pazienti il prima possibile. Questo significa rendere disponibile un trattamento efficace per i danni da lesione del midollo spinale a partire dal 2025».

Gammadonna le ha riconosciuto il premio Women Startup Award. Qual è la sua esperienza come donna a capo di un’azienda di biotecnologie?

«Il settore biotecnologico e quello farmaceutico sono tra quelli in cui la presenza femminile è più marcata. Come un rapporto recente di Farmaindustria ha testimoniato, moltissime realtà sono composte da donne. Anche all’interno delle multinazionali che danno grande importanza alla ricerca e sviluppo, molte delle ricercatrici sono, appunto, donne. Anche noi siamo molto attenti alla parità di genere nella nostra ricerca dei talenti e – per quanto possibile – nel board.

Questo però non significa che non ci siano margini di miglioramento. Infatti, se a competenze le donne hanno ormai raggiunto e superato gli uomini in ambito STEM, la rappresentazione femminile in ruoli ad alto grado di responsabilità e di alta direzione è più scarsa. I ruoli manageriali e di guida delle aziende sono ancora in mano per lo più agli uomini. In Italia, tuttavia, si vede già un cambiamento in questo senso: una parte significativa delle aziende biotecnologiche italiane è a guida femminile».  ©

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