domenica, 28 Aprile 2024

Stadi e palazzetti: l’8% sono in abbandono

Sommario
stadi abbandono

Milano-Cortina fa già, e ancora, polemica. A due anni dal via, l’Olimpiade invernale che dovrebbe unire il Nord Italia continua a creare controversie: sul banco degli imputati ora c’è la costruzione di una nuova pista di bob nell’esclusiva località veneta. I lavori veri e propri devono ancora cominciare, ma un capannello di ambientalisti si è riunito per protestare contro l’abbattimento di un lariceto di circa 500 alberi avviato per far spazio all’edificio. Ma più ancora dell’impatto ambientale, si contesta quello economico: la struttura, stando alle ultime stime, costerà 81 milioni e 600mila euro, ma rischia di diventare una cattedrale nel deserto già all’indomani dei Giochi.

L’ennesimo impianto abbandonato, costruito per fini politici e senza un reale ritorno sul territorio? Si tratta di una casistica non sconosciuta al panorama delle infrastrutture italiane, in particolare quelle costruite in occasione di grandi eventi sportivi come questo. A queste si aggiunge il novero dei progetti, intrapresi ma mai terminati: 57 – secondo i dati del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – distribuiti in maniera diseguale sul territorio nazionale. 43 (il 75%) delle strutture incompiute si trovano al Sud, con una maggioranza assoluta in Sicilia, per il numero di 24. Si aggiungono alla somma di opere attualmente non in funzione. Come evidenziato da Sport e Salute, esse rappresenterebbero oltre l’8% del totale nazionale, circa 6.200 infrastrutture. Anche qui, i malfunzionamenti si concentrano nel Mezzogiorno, dove si trova circa il 20% delle installazioni in questione.

I casi passati

Il quadro tracciato dai dati è quello di una cattiva organizzazione diffusa sul territorio. In particolare, per i prodotti dei grandi eventi internazionali, il meccanismo è spesso questo: autorità e istituzioni centrali costruiscono, con fondi straordinari, ma lasciano poi alle amministrazioni locali la gatta da pelare della gestione ordinaria. Incombenza, questa, onerosa e decisamente poco gratificante in termini politici. I casi passati sono molti, con alcuni episodi clamorosi.

Uno celeberrimo è quello dello Stadio Flaminio di Roma, collocato al confine dell’omonimo quartiere con Parioli. Edificato a partire dalla fine degli anni ’50, è stato il tempio del rugby italiano per circa un quarantennio. Poi, a partire dagli anni 2000, si sono fatte strada le prime ipotesi di ristrutturazione e dal 2011 la Federazione Italiana Rugby ha smesso di utilizzare la struttura. Nel 2014 c’è stato il passaggio alla Federazione Italiana Giuoco Calcio con un’ipotesi d’uso da parte degli under 21. Poi una serie di rimpalli, fino a oggi: la realtà è di una struttura abbandonata da quasi quindici anni, senza una data chiara per una ristrutturazione o una demolizione.

È un caso eclatante, ma non l’unico. Proprio a Roma, gli impianti sportivi non funzionanti si moltiplicano. Una struttura incompiuta da anni agli onori delle cronache è la cosiddetta Città dello Sport, iniziata tra 2005 e 2006 nel quartiere di Tor Vergata. Si tratta di due palazzetti dotati di piscine, campi da basket e pallavolo. Le vele – o meglio la vela, perché per ora ce n’è solo una – di Calatrava, chiamate così per la particolare forma progettata dall’architetto spagnolo, hanno visto varie fasi di costruzione.

Dopo la chiusura del primo cantiere nel 2009, è sfumata l’ipotesi di ripresa dei lavori con la mancata assegnazione delle Olimpiadi 2012 a Roma. Oggi tornano a far parlare per un progetto di ristrutturazione varato in occasione di un altro grande evento: il Giubileo 2025. Inserite nel Decreto apposito, riceveranno una parziale ristrutturazione per poter assistere alla prima, altrettanto parziale, apertura. Il tutto al costo di altri 70 milioni di euro, da aggiungere ai più di 200 già stanziati negli anni dal Demanio.

Un altro esempio di questo tipo si trova a Bagnoli, municipio in provincia di Napoli. Qui, sopra l’ex area industriale, sorge un complesso polisportivo di 230mila metri quadrati di estensione. Si tratta del Parco dello Sport, frutto di un investimento da 37 milioni di euro intrapreso grazie all’ambizioso progetto “Bagnoli Futura”. Nel 2010, il Parco viene ultimato, ma non apre. Si scopre infatti che il suolo dell’area edificata, posta in corrispondenza dell’impianto siderurgico dismesso Italsider, è stato contaminato con rifiuti industriali proveniente dall’ex fabbrica. Si apre un processo e la struttura è posta sotto i sigilli dalla Magistratura. A oggi non è ancora stata attivata. E le speranze degli abitanti guardano ai progetti di bonifica dell’area che, salvo intoppi, dovrebbero finalmente consegnarla alla collettività non prima del 2025.

Potenziali soluzioni

Ben lungi dall’essere un banale caso isolato, quello che accade alle infrastrutture citate è un elemento quotidiano in molte aree del Paese. E la risposta su come porvi rimedio non sempre è semplice. Se la demolizione può sembrare l’opzione più ovvia, non è necessariamente così.

Innanzitutto, per abbattere in sicurezza un impianto sono necessari denaro e autorizzazioni: reperire gli uni e ottenere le altre a volte pare un’impresa. Ed è proprio un eccesso, quello di burocrazia, e non la mancanza di fondi a tener lontana la palla demolitrice dallo Stadio Flaminio: a partire dal 2008, l’edificio è divenuto un bene di interesse artistico e storico sotto tutela.

Come agire, dunque, quando l’abbattimento non è un’opzione? Un’alternativa è la rigenerazione urbana. Si tratta della riqualificazione di spazi urbani al servizio delle esigenze del territorio. Un ideale che ben si sposa con l’intento che muove a costruire un impianto sportivo: far ricadere una cascata di vantaggi sulle aree circostanti. Un principio che vale per il pubblico quanto per il privato: lo stakeholder value – volto a massimizzare il profitto, economico e non, di tutti i soggetti interessati – è al centro del nuovo modello di società sportiva. Così, edifici ormai privi di uso vengono riutilizzati, spesso in maniera creativa. E non solo su penna. Esistono infatti alcuni casi dove questo è già realtà.

Il Wembley Stadium di Londra, per esempio, che oltre alle normali ricadute sui dintorni – circa mille posti di lavoro – ha aggiunto alla sua ristrutturazione il progetto di costruzione di 500 unità abitative speciali. Qualcosa di simile avviene, sempre nel Regno Unito, per l’Olympic Stadium del West Ham United FC, che sta venendo ristrutturato con l’obiettivo di supportare i dintorni. L’obiettivo è quello di contribuire all’allineamento di 6 quartieri svantaggiati con il resto di Londra nell’arco di 30 anni.

Un buon esempio di stadio estremamente integrato col resto del territorio, anche se riguarda una nuova struttura, viene anche dall’Italia. Si tratta del nuovo palasport di Cantù (in provincia di Como), che ospiterà le gare in casa della storica squadra di pallacanestro militante in Serie A2. Avviato grazie a una Partnership Pubblico Privata tra la società e il Comune, il progetto è costituito in modo tale da massimizzare gli spillover positivi sul territorio circostante. La polifunzionalità della struttura è al centro: potrà ospitare anche eventi culturali, fiere e convegni. In più, sarà dotata di un’area commerciale e una di ristorazione aperte al pubblico.

Il bob a Cortina

Ma in Italia il problema è più radicale: prima ancora di capire come gestire le strutture vecchie o sottoposte ad abbandono, bisognerebbe evitare di costruire nuovi impianti inutili. È questo, a detta di molti, il destino della nuova pista di bob di Cortina d’Ampezzo. Diversi dettagli lasciano perplessi sul nuovo progetto, a partire dai tempi. La data di consegna richiesta a Impresa Pizzarotti, che si è aggiudicata l’appalto, è quella di marzo 2025, meno della metà del tempo inizialmente preventivato.

Tuttavia, il vero grande dubbio riguarda il suo futuro: che ne sarà all’indomani delle Olimpiadi? Anche sommando i praticanti di bob, skeleton e slittino, in Italia arriviamo appena a 59 atleti, stando alle statistiche. Insomma, la pista rischia di finire come quella di Cesana, costruita in occasione dei Giochi di Torino 2006 e mai entrata in funzione per il pubblico da allora. Ma allora perché non riutilizzare proprio il vecchio impianto in disuso, ristrutturandolo? «Penso che la nuova pista sarà sicuramente molto utilizzata per tanti eventi internazionali», ha detto il Presidente del CONI, Giovanni Malagò. «Tutte le settimane abbiamo un report e andiamo sul posto. È interesse anche dei privati stare nei tempi».

Il caso del Meazza

Altro dossier chiave a rischio per quanto riguarda la gestione di vecchi impianti è quello dello stadio Meazza di Milano. Da anni si parla di costruire un’alternativa alla storica sede di San Siro, per ora senza nulla di fatto. A impedire tanto l’ipotesi di una demolizione quanto quella di una ristrutturazione radicale è il vincolo imposto dalla Sovrintendenza. In un sorprendente sfoggio di burocrazia all’italiana, colpisce esclusivamente il secondo anello dello stadio e scatterà dal 2025, quando ricorreranno i settant’anni dalla costruzione. Troppo presto perché si possa ipotizzare un qualsiasi intervento precedente. A questo punto, le speranze di rinnovo sono nelle mani del Tar cui il Comune ha presentato ricorso contro il parere della Sovrintendenza. Se la sentenza non fosse quella auspicata, si aprirà solo la via di un ammodernamento “cauto”, che renda possibile mantenere attiva la struttura per una o entrambe le due grandi squadre milanesi.

A tal proposito, Palazzo Marino ha affermato di aver già preso contatti con Steven Zhang, Presidente dell’Inter, che si sarebbe detto disposto a rimanere a San Siro. Non così la dirigenza del Milan, che parrebbe intenzionata a proseguire nel suo progetto di costruzione di una nuova casa indipendente nel quartiere di San Donato (ne avevamo parlato qui). In un caso o nell’altro, il destino dello stadio pare in bilico: se il vincolo fosse giudicato troppo restrittivo rispetto alla possibilità di un restauro, il rischio sarebbe quello fermare del tutto le attività. Con il risultato di fare del più grande stadio d’Italia uno scheletro vuoto senza funzione, lasciando i suoi 80mila posti a prendere la polvere.      ©

📸 Credits: Canva.com

Articolo tratto dal numero del 15 marzo 2024 de il Bollettino. Abbonati!

Studente, da sempre appassionato di temi finanziari, approdo a Il Bollettino all’inizio del 2021. Attualmente mi occupo di banche ed esteri, nonché di una rubrica video settimanale in cui tratto temi finanziari in formato "pop".