1. Non centra l’obiettivo
Secondo gli esperti del CNEL (Comitato Nazionale dell’Economia e del Lavoro), il problema della povertà lavorativa in Italia non deriva tanto dalla paga oraria, quanto dal numero medio di ore lavorate e dalla produttività del lavoro (ne avevamo parlato qui). Introdurre una soglia minima sarebbe dunque curare i sintomi invece che la malattia.
2. Si squalifica la contrattazione
Un’altra argomentazione contro il salario minimo è che la sua introduzione potrebbe indebolire gli strumenti attualmente in mano ai lavoratori, in particolare la contrattazione sindacale, che in Italia è già ampiamente diffusa in quasi tutte le categorie.
3. Ne beneficiano pochi
A quanto pare, i contratti che non rispettano la soglia, escludendo i lavoratori del settore agricolo e i collaboratori domestici, sarebbero solo lo 0,4% del totale.
4. La cifra è troppo alta
I 9 euro proposti sono ritenuti una cifra fuori dai valori di riferimento del Mercato. Il procedimento considerato standard per il calcolo del salario minimo prevede di considerare il 60% dello stipendio mediano. Per la proposta in questione, è stato invece adottato come riferimento il 50% del salario medio, aggiustandolo all’inflazione. Se la soglia fosse davvero troppo alta, il risultato sarebbe mettere in difficoltà le imprese e potenzialmente incoraggiarle ad assumere in nero.
Tuttavia, e nonostante tutte queste argomentazioni, le voci a favore sono a loro volta molte e autorevoli. Un dato su tutti mostra l’eccezionalità del dibattito che avviene oggi in Italia: dei 27 Paesi membri dell’UE, ben 22 hanno già in vigore misure di questo tipo.