Stabilire se e quanto il Fuorisalone è sostenibile è un problema non da poco. Infatti, essendo ogni singola azienda espositrice unica responsabile del suo allestimento, diventa molto difficile tracciare una a una tutte le catene di rifornimento e gli eventuali cicli di riutilizzo dei materiali impiegati.
Alcuni padiglioni “verdi” ci sono. Ad esempio, la mostra evento Materially Now in Via Tortona, concepita in modo tale da poter riutilizzare al 100% tutto il materiale. Oppure Design Variations, in zona Darsena, che ha utilizzato una struttura in mattoni di canapa, a ridotto impatto ambientale e montaggio secco, cioè senza calcestruzzo o altri leganti. O ancora, la mostra Is one life enough? a Isola, dove cartoni di uova sono serviti da base per piedistalli.
In compenso, sul destino di moltissimi degli altri pezzi esposti resta il mistero. Cosa ne faranno le aziende coinvolte?
Come abbiamo visto, il Fuorisalone stesso dichiara di non essere una fiera vera e propria, e in quanto tale non si occupa di monitorare questi aspetti. Eppure, esistono un sito, una piattaforma di comunicazione e un tema comuni a tutti gli espositori. Quello di quest’anno era proprio “materia natura”, mettendo l’accento sull’impiego di materiali naturali e di riciclo nelle opere esposte.
Uno slogan del genere fa drizzare le antenne e mette in luce un problema di fondo. L’accostamento di opere sul cui impatto non sappiamo nulla a un evento di per sé sostenibile, con l’uso di claim che si richiamano a tematiche “verdi”, apre a un forte rischio di Greenwashing. Un rischio che, in assenza di una comunicazione chiara e trasparente, non si potrà dire evitato. (altro sul tema qui)
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