martedì, 18 Febbraio 2025

Nell’ecologia il futuro dell’arredo. Federlegno: «La transizione non gravi però sui cittadini»

Sommario

ll mobile italiano di design è il vezzo della classe medio-alta. Un comparto chiave della nostra economia. Sono circa 66.500 le aziende che compongono la filiera legno-arredo, il 14,8% del manufatturiero nazionale. Gli addetti arrivano a 300mila (l’8% del comparto). Il settore continua a presentare conti in positivo, superiori rispetto al 2019 sia per quanto riguarda il mercato italiano che per l’export. Nonostante il fatturato della filiera abbia chiuso il 2023 in flessione, segnando un meno 7,8% si è passati dai 57,2 miliardi di euro del 2022 ai 52,7 attuali: 33 di mercato interno e circa 20 miliardi di euro di export. Nel 2019 il valore era però di 42 miliardi. «Nessuna sorpresa quindi», dice il Presidente di Federlegno Arredo Claudio Feltrin. Se oggi i numeri sono più contenuti «è per la fisiologica caduta dopo due anni eccezionali e di crescita incessante a seguito della pandemia».

A cosa attribuisce l’exploit del 2021?

«In quell’anno e quello successivo la domanda è schizzata del 14%. Ha sicuramente contribuito il fatto che durante la fase pandemica le persone non avessero nessuna occasione di spesa. Non si usciva di casa, non si andava al ristorante o in vacanza e questo ha consentito di concentrare la capacità di spesa per ristrutturare casa o per cambiare gli arredi».

Il calo era dunque normale e prevedibile?

«Si tratta di una normalizzazione del mercato dopo quel periodo eccezionale. Nello specifico a impattare è stato l’andamento del macrosistema legno, che ha un mercato pari a 21,6 miliardi di euro, e che è diminuito del 10,5%. E poi anche il mercato nazionale, del valore di 16,5 miliardi, che segna un -11,5%. Non bisogna dimenticare che parte della crescita è dipesa dall’inflazione a due cifre che si è trasformata in aumento del fatturato».

Una crescita un po’ dopata?

«Il 2023 si è chiuso con un segno negativo. Ma sulle performance precedenti ha certamente influito il peso inflattivo, che ha trasformato la crescita in termini di fatturato, piuttosto che nel volume delle vendite, come dimostrano i dati ISTAT sulla produzione industriale. La variazione del 2023 rispetto al 2019 è imputabile per lo più all’aumento dei prezzi, mentre è solo in parte attribuibile ai costi la differenza tra l’andamento del fatturato e quello della produzione industriale nel confronto tra 2022 e 2023».

Un peso ce l’ha anche l’impoverimento generale del Paese?

«Anche gli “altospendenti” piangono. Viviamo tempi in cui perfino i professionisti si lamentano di come le entrate si siano ridotte, anche magari solo di qualche centinaio di migliaia di euro. Ovviamente con le dovute differenze e proporzioni rispetto a chi ha difficoltà reali ad arrivare alla fine del mese, anche per commercialisti, avvocati, notai e professionisti di questo genere, ma se i guadagni si assottigliano per loro è chiaro che poi l’effetto si sente a cascata in maniera diffusa. Perché la propensione di spesa ha un suo lato psicologico».

Del resto, i prezzi sono saliti?

«Un mobile costa mediamente il 25% in più, a causa dell’aumento dei listini. Ma non ci puoi fare nulla nel momento in cui aumenta il prezzo della bolletta elettrica. Specialmente sui prodotti finiti come gli arredi, una volta che aumentano i costi di base non puoi più tornare indietro. Una cucina che prima si vendeva a 20mila euro, oggi ne vale 24mila. C’è da dire però che giocando con i materiali ci si può adeguare al budget, quindi alla fine l’acquisto si conclude. Il che ci permette di parlare solo di un ridimensionamento del Mercato, ma viaggiamo ancora in territori positivi».

Le cucine sono uno degli asset strategici?

«Il fatturato 2022 aveva sfiorato i 3 miliardi di euro, nel 2023 la flessione è stata del 2%. Ma i valori sono comunque molto elevati e pari a circa 2,94 miliardi. Si è contratto il Mercato italiano, ma è stabile l’export, che pesa il 35% con 1 miliardo di euro. Quello francese rimane stabile a 196 milioni di euro, coprendo il 19% del totale. Seguono Stati Uniti, con 151 milioni e un +10%, e poi terza è la Svizzera, con 74 milioni».

I vostri beni si possono classificare come lusso?

«Siamo posizionati in fascia medio alta, se parliamo di percepito poi sui mercati esteri siamo ancora più inquadrati verso il quadrante del lusso. Perché c’è da considerare che i nostri mobili finiscono in alberghi a cinque stelle, in boutique hotel. E poi sono anche per le famiglie, chiaramente con una determinata capacità di spesa».

I bonus edilizi hanno dato una spinta al settore?

«Sicuramente, così come all’intera economia. Ma è chiaro che ci sono delle distorsioni e che adesso la situazione è diventata drammatica per i conti pubblici. Va messo ordine su uno strumento che in linea di principio è ottimo».

Non è tutto da buttare quindi?

«No, la nostra idea come filiera è quella di un allungamento dei tempi per recuperare i rimborsi. Noi produciamo beni durevoli e con noi si fanno investimenti immobiliari. Quando si ristruttura una casa lo si fa per almeno un decennio, quindi è lì che si potrebbe andare a intervenire. Non intaccando quindi il principio del 110%, ma spalmandolo su periodi più estesi. Devono però diventare normative strutturali e non soggette a cambiamenti continui, altrimenti il rischio è che ci si tiri indietro di fronte all’incertezza delle regole del gioco».

Lo stesso penserà per il bonus mobili?

«Sì, anche quello sarebbe uno strumento da mantenere, specialmente adesso che l’Europa ci richiede entro l’orizzonte del 2050 di rivedere l’intero patrimonio immobiliare per renderlo sostenibile. Non è qualcosa che si fa dall’oggi al domani e soprattutto non è qualcosa che si può lasciar ricadere per intero sulle spalle dei proprietari di case».

Come vanno le cose sul fronte esportazioni?

«Nonostante la situazione geopolitica, la nostra filiera ha tenuto, contenendo nel 2023 la contrazione al 4,6% e mantenendo un valore di circa 2,8 miliardi di euro sopra i livelli 2019. Anche il saldo commerciale della filiera, grazie all’export del macrosistema arredamento supera gli 8 miliardi di euro, in crescita del 16,7% rispetto al 2022».

Il Made in Italy è sempre lì a confermare il proprio valore

«È ancora riconosciuto e desiderato in tutto il mondo. Il saldo commerciale del macrosistema arredamento lo conferma, toccando quasi quota 10 miliardi e rimanendo stabile rispetto all’anno scorso».

Cosa pensate del DDL Made in Italy?     

«Ne siamo stati molto soddisfatti. A partire dall’articolo 7 in cui si fa riferimento alla filiera legno-arredo 100% nazionale. Un riconoscimento al valore strategico del settore e al lavoro svolto da FederlegnoArredo negli ultimi anni per portare il tema all’attenzione della politica e mettere in campo misure che rendano il nostro comparto e le nostre imprese sempre meno dipendenti dall’import di materia prima legnosa dall’estero. Siamo consapevoli che è solo un passo iniziale, che lo stanziamento del fondo è ancora esiguo, ma si tratta di un passaggio significativo che indica una direzione di marcia giusta. Si resta nel solco della strategia forestale, verso una filiera sempre più corta che coniuga sviluppo delle industrie di prima lavorazione con la sostenibilità».

Il tema della sostenibilità è diventato prioritario

«Assolutamente sì, è al centro del mio mandato. Il nostro intento è stato fin da subito quello di sollecitare le aziende della nostra filiera nel cammino verso la sostenibilità, per diventarne leader. Ci siamo chiesti da subito, con una survey realizzata su un campione rappresentativo di tutte le componenti della filiera, ovvero dalla materia prima al prodotto finito, quali fossero i punti di forza e di debolezza delle nostre imprese. Da lì abbiamo elaborato un decalogo con le linee guida da seguire per i prossimi anni. Dobbiamo essere più sostenibili per essere più competitivi, ma nessuno può essere lasciato solo».

Quali sono gli obiettivi che si è data la filiera?

«Innanzitutto, l’attenzione al ciclo di vita dei prodotti, con l’obiettivo di allungarne la durabilità, la rigenerazione, la riparabilità-disassemblamento, il riuso ed estensione della garanzia, la valorizzazione dei materiali sostenibili, il recupero di materia ed energia anche attraverso la valorizzazione del patrimonio boschivo nazionale. Abbiamo ottenuto l’ammissione al Global Compact come prima filiera del legno-arredo al mondo, a testimonianza della forte coerenza tra il nostro decalogo e i dieci principi delle Nazioni Unite in materia di diritti umani, lavoro, ambiente e lotta alla corruzione e alle differenze di genere».

Qualcosa già si muove, dunque?

«Sì, ne abbiamo testimonianza grazie all’ultima Survey 2023 realizzata da FederlegnoArredo nell’ambito del progetto Plus, una piattaforma nata per offrire alle aziende l’opportunità di affrontare queste sfide con strumenti concreti e innovativi. La ricerca evidenzia un impegno tangibile del settore: basti pensare che il 96% delle aziende adotta materiali sostenibili nei processi, oltre il 58% è concentrato sulla riciclabilità e negli ultimi tre anni circa il 70% ha effettuato investimenti in efficientamento».

Proprio in tema di sostenibilità vi siete espressi di recente. Il riferimento è allo European Deforestation-free product Regulation (EUDR)…

«Sì, che è una regolamentazione che impegnerà le nostre aziende nell’applicare la dovuta diligenza e che è totalmente condivisibile negli obiettivi. Abbiamo però rivolto un appello al Governo affinché si apra un dialogo su alcuni temi per noi spinosi e per tutelare l’operato della filiera».

Quali sono i rischi?

«Gli oneri burocratici sono difficilmente assolvibili per non dire in alcuni casi impossibili da attuare. Rischiamo di ottenere l’effetto contrario rispetto ai principi che sono alla base dello stesso EUDR. Siamo da sempre attenti al tema della deforestazione, ma in primis si rischia di porre un freno alle politiche già in atto per aumentare il legname italiano. E poi limitando l’ambito di validità del regolamento alla sola Unione Europea il timore è che alcuni operatori decidano di trasferire i propri stabilimenti produttivi in aziende e Paesi limitrofi».

Delocalizzazioni quindi…

«Sì, per esempio la Turchia o il Nord Africa. Così si depaupererebbe la filiera nazionale collegata al legno e alle sue lavorazioni. FederlegnoArredo intende mettere in atto tutti gli strumenti che possano scongiurare un epilogo così disastroso per il settore, per la tutela dell’ambiente e per la competitività del nostro Paese».

Anche le vostre aziende faticano nella ricerca di personale?

«È un tema che ci sta molto a cuore. Iniziamo con il dire che i mestieri che contraddistinguono la nostra filiera sono almeno suddivisi in tre categorie. E cioè chi i mobili li disegna, chi poi li realizza e infine chi li vende. Sul primo fronte non abbiamo problemi perché è la parte più affascinante, creativa se vogliamo. La scarsità si riscontra di più nel lavoro manuale e quello della manodopera».

Come cercate di risolvere?

«Stiamo avviando una campagna di sensibilizzazione, un vero piano di comunicazione che coinvolga famiglie e ragazzi, perché la vera difficoltà è abbattere il muro culturale che crea distanza fra determinate professioni e il percepito appunto di famiglie e ragazzi. Stiamo parlando anche con la Rai per capire se ci sarà l’opportunità di realizzare un docufilm che ha come obiettivo quello di parlare alle famiglie dei ragazzi in età da lavoro per spiegare come funzionano davvero le nostre aziende. Realtà che hanno poco a che vedere con l’idea che abbiamo del falegname che viene a casa a prendere le misure».

Come lo spiegate ai ragazzi?

«Organizziamo Open Day nelle nostre fabbriche, specie quelli delle medie. All’inizio hanno lo sguardo vacuo, poi man mano – quando scoprono come si producono i mobili, come diventano – iniziano a incuriosirsi. Anche perché non si finisce in catena di montaggio, si tratta di un lavoro con una componente forte di manualità».

La formazione dovrebbe partire dalle scuole?

«Ne siamo convinti. Per questo motivo stiamo collaborando con alcune regioni soprattutto del Nord e di recente si è aggiunto anche il Lazio, per formare figure specifiche con corsi di breve durata che consentano poi di essere assunti subito dopo. Succede grazie al sostegno delle aziende del territorio. I corsi sono al momento circa 350 e gli assunti praticamente il 90%».  

Quali sono le previsioni per il 2024 per la vostra filiera?

«È alla seconda metà dell’anno che dobbiamo guardare per tornare a pensare positivo e supporre che la curva, seppure fisiologica di discesa, si sia arrestata. Vogliamo pensarlo perché l’ottimismo è un po’ la follia che contraddistingue noi imprenditori. Dal campione rappresentativo di aziende le previsioni per la filiera parlano di un +4,5% del totale, scorporato in +8,5% di export e +1,7 di mercato interno. L’augurio è che queste stime possano essere confermate, visto il panorama internazionale così incerto».                                            ©

📸 Credits: Canva   

Articolo tratto dal numero del 15 giugno 2024 de il Bollettino. Abbonati!

Giornalista professionista, classe 1981, di Roma. Fin da piccola con la passione per il giornalismo, dopo la laurea in Giurisprudenza e qualche esperienza all’estero ho cominciato a scrivere. All’inizio di cinema e spettacoli, poi di temi economici, legati in particolare al mondo del lavoro. Settore di cui mi occupo principalmente per Il Bollettino.