Il Paese punta sull’ecosistema innovativo. In che modo? CDP Venture Capital, principale gestore VC partecipato da CDP Equity e Invitalia, lancia il nuovo piano industriale 2024-2028 “Shaping Future”.
Gli obiettivi: gestire fino a 8 miliardi di euro tra risorse pubbliche e private di qui al 2028. Lo strumento per farlo è una nuova strategia articolata su 7 settori fondamentali per il Paese: SpaceTech, CleanTech, IndustryTech, Infratech & Mobility, AgriFood Tech, Healthcare & Lifescience, ma soprattutto AI e Cybersecurity.
«L’intelligenza artificiale avrà una rilevanza autonoma, ma sarà anche trasversale agli altri sei settori», dice Anna Lambiase, dal 4 ottobre Presidente di CDP Venture Capital, già CEO di IRTOP Consulting, IPO Partner di Borsa Italiana. Elemento fondamentale per la crescita delle Startup nel Paese, gli investimenti in VC italiani hanno visto negli ultimi anni una crescita notevole, sia per numero di operazioni che per raccolta totale. «È un settore, per il Mercato italiano, fondamentalmente “giovane”: dal 2020 al 2023 gli investimenti sono stati pari a circa 6,1 miliardi di euro. Ma, essendo ad alta intensità di capitale, questo segmento richiede continui round di investimento per proseguire nelle fasi di ricerca». Innalzare il livello della raccolta è essenziale anche per superare una situazione che ci vede ancora indietro a livello internazionale, con un’incidenza del mercato VC sul PIL pari allo 0,1% contro allo 0,4% della Francia e allo 0,3% dell’Europa.
Cosa vi ha guidato nella messa a punto del vostro nuovo piano industriale, basato su una strategia settoriale?
«Il nostro piano si basa su due linee guida: sostenere l’infrastruttura del Venture Capital in Italia e investire per stimolare la crescita dell’ecosistema. Prevede un riposizionamento rispetto a tre elementi trasformativi chiave. Il primo è un approccio di investimento focalizzato su specifici ambiti strategici per il Paese, 7 per la precisione, con 3,8 miliardi di assets under management e 1,5 miliardi di investimenti già deliberati.
Il secondo elemento innovativo è l’enfasi sulla gestione attiva di portafoglio, per guidare la creazione di valore in tutte le Startup partecipate; quindi, un ruolo non limitato al puro “investitore finanziario”. E nel concetto di value creation è compreso anche il tema dell’exit, con la logica di M&A o IPO o ulteriori operazioni di finanza alternativa per favorire un ritorno sulle operazioni e creare track record di successo. Il terzo elemento chiave del nostro nuovo piano è il tema della catalizzazione di risorse dal Mercato dei capitali nell’ottica del cosiddetto crowding-in. Il nostro obiettivo è quello di convogliare il maggior numero di capitali privati, ossia a intermediari finanziari e banche, assicurazioni e fondi pensione, coinvolgendo più operatori, anche internazionali, nella logica di accrescere le risorse da dedicare a questa asset class, ossia all’innovazione nell’economia reale».
Qual è l’obiettivo di lungo termine?
«Il piano industriale è legato a un tema di fondo: contribuire al raggiungimento della maturità del Mercato italiano del VC, creando un ecosistema finanziario integrato che consenta alla Startup di crescere e agli investitori di valorizzare le partecipazioni e reinvestire in nuove startup. Quando parlo di ecosistema integrato intendo tutto il mondo degli investitori: dai Business Angel ai Venture Capital, dai Private Equity alle Corporate, fino alla quotazione in Borsa».
Come avete individuato i macro-ambiti strategici in cui focalizzare le attività di investimento?
«Sono tre i parametri base: in primis, la maturità del Mercato, esplicitata dal numero di operazioni e dalla presenza e dimensione dei fondi specializzati. Il secondo fattore è la strategicità di quel settore per il Paese. In questa logica, abbiamo valutato i singoli ambiti in base all’allineamento con le politiche europee, rispetto alla rilevanza del programma europeo Horizon, incidenza delle tecnologie abilitanti (definite con una tassonomia dedicata) sui vari settori e rilevanza del settore nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Infine, abbiamo valutato l’impatto dell’innovazione tecnologica nei singoli settori, ossia l’incidenza delle tecnologie abilitanti sulla base del totale degli investimenti cumulati. Questo ha permesso di delineare un approccio agli investimenti che possiamo definire modulare: abbiamo scelto di posizionarci su quei settori ad elevata rilevanza strategica e maturità ancora relativamente bassa, dove quindi l’azione di CDP Venture Capital potrà beneficiare di trend strategici di lungo termine a bassa competizione per trainare lo sviluppo del Mercato e generare ritorni attrattivi, e lo faremo attraverso un’attività diretta. In quei settori, invece, in cui il Mercato è più maturo e sono già presenti soggetti terzi, interverremo in maniera indiretta, attraverso i nostri fondi».
Degli 8 miliardi previsti dal piano, 1 dovrebbe venire dal settore privato. Come pensate di coinvolgerlo?
«La policy di crowding-in, come viene definito il coinvolgimento di investitori esterni nei nostri processi di investimento, è un aspetto che copre tutti gli ambiti di attività. Puntiamo a raggiungere tutti gli operatori che oggi non sono presenti sul nostro modello di investimento Venture Capital. Facendo una considerazione puramente quantitativa, se si pensa che Assicurazioni, Casse di previdenza e Fondi pensione in Italia gestiscono più o meno 350 miliardi di euro, se anche solo l’1% delle masse gestite da questi enti fosse investito in Venture Capital, avremmo almeno 3,5 miliardi di risorse da dedicare all’innovazione per essere più competitivi nei mercati globali e questo potrebbe catalizzare altre risorse private creando un circolo virtuoso”.
La strategia settoriale può facilitare questo processo?
«Oggi possiamo offrire alla valutazione dei nostri investitori target un ventaglio di opzioni settoriali specifiche, attraverso fondi specializzati. Questo richiederà valutazioni di investimento con competenze dedicate per settore non solo di matrice finanziaria, ma anche industriale».
L’Healthcare è uno dei campi principali in cui si esplica il vostro impegno. Qual è il ruolo strategico delle biotecnologie nella competitività del Paese?
«Sono molte le ragioni per cui il tema della salute è assolutamente rilevante. Innanzitutto, c’è un aspetto legato alle competenze nazionali: l’Italia ha forti capacità in questo ambito specifico, tanto che è stata riconosciuta a livello internazionale al nono posto per qualità del servizio sanitario. Inoltre, c’è una presenza numerosa di università di alta qualità nel settore, con una rete di almeno 30 atenei e centri di ricerca con prestazioni elevate nel mondo Healthcare & Life sciences. I ricercatori che contribuiscono a generare innovazione in questo campo sono pari a oltre 450mila. Questo settore è estremamente capital intensive rispetto ad altri: richiede significativi investimenti indirizzati alla ricerca e sviluppo, in media pari al 13% del loro fatturato rispetto al dato medio del 3% richiesto per la qualifica di Startup o PMI innovativa.
Un altro elemento che caratterizza questo settore è legato agli ingenti investimenti che si associano a un lungo ritorno temporale. Occorre molto tempo affinché il settore possa conseguire risultati scientifici e correlatamente finanziari e questo favorisce strumenti di equity rispetto al tradizionale canale bancario. Allo stesso tempo il settore è anticiclico in quanto legato alla tutela della salute umana e quindi in grado anche di difendere le strategie di diversificazione di portafoglio. Il settore Healthcare & Lifescience è un settore importante per il VC italiano con investimenti nel periodo 2020-2023 pari a circa 465 milioni, con il numero più alto di round di investimento pari a 139 in 4 anni dopo il settore ICT».
Qual è l’impegno attuale di CDP Venture Capital in quest’ambito?
«Siamo già presenti con un polo di trasferimento tecnologico Extend dedicato all’innovazione specialmente nelle aree terapeutiche con un elevato fabbisogno medico insoddisfatto. Pensiamo all’oncologia, alle malattie del sistema nervoso centrale o ai disturbi genetici, per esempio. Abbiamo istituito inoltre due programmi di accelerazione, VITA e NextAge, per sviluppare soluzioni e servizi per la salute essenzialmente legate alla tematica dell’invecchiamento della popolazione. Si tratta di applicativi tecnologici per i bisogni emergenti, tra cui benessere e salute mentale delle persone. La nostra posizione di oggi è anche di investire indirettamente attraverso fondi specializzati in Healthcare & Life sciences, con un valore totale investito di circa 100 milioni. Abbiamo poi investito direttamente in circa 50 Startup, per un totale di 100 milioni. Attualmente, la posizione di CDP Venture Capital è di 220 milioni di investimenti diretti e indiretti nel settore, che rappresentano il 14% del deliberato del gruppo.».
Su quali linee d’azione si dispiegherà il vostro investimento nei prossimi anni?
«Nell’ambito dell’Healthcare & Lifescience prevediamo di intensificare gli investimenti investendo sia in modalità diretta che indiretta. Lanceremo un Fondo dedicato come previsto da Piano Industriale e, per le realtà più mature, utilizzeremo l’esistente Fondo Large Venture che investe su scale up con ticket da oltre 10 milioni di euro.
Qual è l’intersezione tra l’AI e questo settore?
«L’AI prevede a piano un obiettivo di 1 miliardo di investimenti sarà declinato in due aree: l’istituzione di un fondo ad hoc interamente dedicato da 500 milioni di euro per lo sviluppo di tecnologie deeptech e altri 500 milioni di euro in co-investimento con i 6 fondi settoriali che abbiamo presentato nel Piano Industriale (ndr. AgrifoodTech, SpaceTech, Healthcare & Lifescience, CleanTech, IndustryTech, InfraTech & Mobility) in società che già oggi utilizzano l’AI per sviluppare i loro progetti. Nello specifico: 120 milioni andranno al Trasferimento Tecnologico, anello di congiunzione fra Ricerca e Mercato, 580 milioni andranno a realtà già esistenti che lavorano su applicazioni verticali e 300 milioni di euro andranno al sostegno di uno o più campioni nazionali.
Di recente ha preso parte a un convegno sull’internazionalizzazione delle biotecnologie, a Roma. Quali sono le frecce al nostro arco, di fronte agli investitori esteri?
«Un tema importante è quello della nostra competenza legata alla capacità brevettuale e alla ricerca scientifica. L’Italia ha un ruolo importantissimo nel percorso delle scienze della vita e questo può coinvolgere e attrarre investitori internazionali. Le nostre Startup dimostrano un’appetibilità internazionale di assoluto rilievo. Dall’analisi delle exit nel Mercato italiano del VC notiamo una forte componente estera che rappresenta il 28% nelle operazioni di M&A, di cui il 23% europee e il 5% americane, a conferma dell’eccellenza delle nostre realtà.»
Quanto alle exit, qual è il ruolo della quotazione?
«Da un’analisi comparativa sulle exit strategies delle società venture-backed, ossia partecipate da fondi VC, relativa a Italia, Europa e America emerge che negli Stati Uniti la principale strategia d’uscita per gli unicorni consiste quasi al 90% nell’IPO. Tra il 2020 e il 2023, ci sono state in USA 339 exit, avvenute solo per l’11% in M&A, mentre per il resto in quotazione, diretta o tramite SPAC (Special Purpose Acquisition Company). In Europa, questo dato è capovolto: la maggior parte delle exit avviene tramite M&A e in particolare tramite vendita a Corporate. Purtroppo, la cultura dei Public Market è molto meno diffusa.
Eppure, la quotazione è uno strumento che consente un maggior respiro finanziario e un mantenimento della governance in capo ai soci fondatori. Un dato interessante riguarda le prime dieci società americane per Market Cap, 7 di queste sono state supportate da Venture Capital nei primi anni di attività. Questa evidenza dimostra che il listino azionario è deputato ad accogliere e finanziare società venture-backed che consideriamo tra le opzioni di sviluppo delle nostre partecipate».
Lei parlava di “unicorni” americani. Le Startup italiane così grandi, però, si contano sulle dita di una mano. È possibile che la dimensione, oltre che la cultura, sia un fattore determinante nella scelta di strategie diverse?
«Se guardiamo al Venture Capital in Italia, osserviamo un chiaro gap infrastrutturale: la media dei fondi VC nazionali ha un valore di asset under management di 60 milioni, rispetto a Francia e Regno Unito dove il dato medio è di 140 milioni. In Italia, CDP Venture Capital è nata circa 3 anni fa e ha già contribuito in maniera significativa allo sviluppo del Mercato, veicolando finanza e sostenendo un numero elevato di fondi VC all’interno di un contesto ancora molto giovane che sta crescendo e colmando il gap con l’Europa. Certamente è un segmento che potrà svilupparsi ancora di più nei prossimi anni, finanziando l’innovazione e queste nuove tecnologie».
Insomma, cambiare la cultura è il primo tassello…
«Occorre far comprendere agli investitori istituzionali che investire in VC significa investire in impresa, in economia reale. Investire in innovazione significa investire nel futuro, in tutti i suoi ambiti. È un passaggio culturale che auspichiamo possa avvenire in un futuro prossimo grazie al coinvolgimento di un numero sempre più ampio di investitori “equity oriented”». ©
Articolo tratto dal numero dell’1 luglio 2024 de il Bollettino. Abbonati!
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