Aumentano i fondi per la ricerca. Il rapporto tra finanziamenti e PIL ha raggiunto lo 0,75%, portandosi in linea con l’Europa. Ma per mantenere le coperture, una volta avuta la spinta del PNRR, serviranno altri 6,4 miliardi dopo il 2026. «I fondi europei hanno cambiato le cose, negli ultimi anni», dice Sahra Talamo, Professoressa Ordinaria presso il dipartimento di Chimica Ciamician dell’Università di Bologna e autrice di Misurare la storia, un viaggio nel tempo con un orologio futuristico: il radiocarbonio 3.0. Il suo team lavora per scoprire le origini più remote dell’umanità, grazie al radiocarbonio, il metodo di datazione più utilizzato in archeologia, che però non calcola ancora alla perfezione l’età del reperto. E proprio aumentare le potenzialità di questa tecnologia rappresenta la sfida con cui i ricercatori di Bologna si misurano.

C’è un problema di fondi alla ricerca pubblica in Italia?
«Negli ultimi anni le cose sono molto migliorate grazie al PNRR, che ha stanziato 6,8 miliardi per la ricerca pubblica. Arriva molto anche dai progetti PRIN (Progetti di Ricerca di rilevante Interesse Nazionale). Io stessa sono stata finanziata dal PRIN per un totale di 700mila euro. I PRIN sono infatti destinati al finanziamento di progetti di ricerca pubblica, allo scopo di favorire il rafforzamento delle basi scientifiche nazionali, anche in vista di una più efficiente partecipazione alle iniziative europee relative ai programmi quadro dell’Unione Europea».
Come è arrivata fin qui?
«Ho lavorato all’estero per vent’anni. Dopo la laurea ho fatto un dottorato di ricerca in Archeologia presso il Max Planck di Lipsia in Germania in collaborazione con l’Università di Leiden…».

Quindi è subito espatriata?
«Sì e sono rimasta a lungo all’estero perché dopo alcuni anni di ricerca a contratto (dal 2001 al 2007) per l’Accademia delle Scienze di Heidelberg in Germania, con lo scopo di ricostruire la curva di calibrazione fino ai 14,000 anni BP. Sono partita per Lipsia dove ho fatto il dottorato di ricerca. Dovevo restarci tre anni, e invece ho continuato a lavorare e dal 2012 sono diventata ricercatrice sempre al Dipartimento di Evoluzione Umana al Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology. Lo stesso istituto del Premio Nobel per la Medicina 2022, il genetista Svante Pääbo. Facevo ricerca allo stato puro».
Poi ha scoperto di aspettare un bambino…
«Sono rimasta incinta di mia figlia. Era il 2010 e io avevo 36 anni, nel pieno del dottorato. Era una situazione pesante, ma si può fare. Ricordo ancora che il mio supervisore disse “E adesso?”».
E adesso invece è qui, in un ruolo apicale. Quando è rientrata in Italia?
«Grazie al fatto che ho vinto un finanziamento dall’Unione Europea: l’ERC_StG dell’European Research Council. Il grant è molto sostanzioso, parliamo di un milione e mezzo di euro. Ci sono vari livelli, dallo starting all’advanced. Le risorse sono così tante da indurre le università a contattarti, perché anche per loro è un prestigio. Lo scopo è infatti mettere in piedi un laboratorio e un team per lavorare al mio progetto di ricerca che si chiama Resolution per cinque anni».

Come funzionano questi fondi?
«L’European Research Council (ERC) è l’organismo dell’Unione europea che finanzia i ricercatori di eccellenza di qualsiasi età e nazionalità che intendono svolgere attività di frontiera negli Stati membri dell’UE o nei Paesi associati. Supportano progetti ad alto rischio, condotti da Principal Investigator (PI) con curriculum di rilievo a livello internazionale. I progetti sono finanziati sulla base delle idee presentate dai ricercatori, in qualsiasi campo della scienza e valutati sulla base del solo criterio dell’eccellenza scientifica».
Il suo è stato uno starting grant?
«Sì, che mi ha permesso di portare avanti il mio progetto innovativo e ad alto rischio in grado di aprire nuove direzioni. Per l’ERC i ricercatori devono essere scientificamente indipendenti, attivi negli ultimi dieci anni ed avere un profilo che li identifichi come leader del rispettivo settore di ricerca. Il finanziamento può arrivare a 2,5 milioni di euro per singolo progetto per una durata massima di cinque anni. È chiaro che così si aprono parecchie porte. E infatti stavo per partire per Bordeaux, quando mi hanno chiesto se volessi andare all’Alma Mater di Bologna».
Un bel dilemma?
«Una scelta non da poco. Ma i tempi per fare le valigie erano maturi, sentivo che le passate esperienze mi avevano dato la forza di affrontare un futuro tutto nuovo».
E ha accettato?
«Sì, anche se significava spostare tutta la mia famiglia. Ma un milione e mezzo di euro sono una vincita importante, così come lo è un posto da ordinario, quindi a tempo indeterminato. Si entra in organico negli atenei senza inizialmente gravare sulle spese perché ci si autofinanzia almeno per i primi cinque anni».
Di cosa si occupa nei suoi studi?
«Di capire le tempistiche dello sviluppo dell’uomo di Neanderthal e dell’Homo sapiens, quando si incontrano e iniziano a condividere il territorio. Il tema è uno dei più affascinanti della nostra storia evolutiva. L’orologio che si utilizza è il radiocarbonio, che però non è preciso. Ma ci sono state grosse evoluzioni, tanto che oggi parliamo di radiocarbonio 3.0, che consente errori molto inferiori rispetto al passato. L’esempio che faccio sempre per far capire è questo. È come se lei stesse intervistando un personaggio che potrebbe essere Cleopatra e invece è Litz Taylor. Lo spazio temporale è sbagliato, ma comunque l’errore si riduce».

Mi farebbe un esempio di combinazione tra la sua disciplina, l’archeologia e il suo dipartimento di Chimica?
«Il radiocarbonio utilizza un metodo distruttivo. Siamo a Chimica, per cui usiamo strumenti come gli infrarossi che consentono di visualizzare il collagene all’interno delle ossa fossili che ritroviamo. E così riusciamo a fare le datazioni, andando a campionare solo i reperti dove c’è collagene, senza distruggere le altre ossa».
Cosa manca all’Italia che ogni anno vede partire migliaia di ricercatori?
«In teoria non le manca niente. Basti pensare al valore superiore che ha la nostra laurea rispetto agli altri Paesi. Noi siamo già dottori una volta laureati, tanto che io sono stata subito inserita come ricercatrice quando sono partita per la Germania per il dottorato. Poi ci sta anche che si parta per ampliare in altri Paesi la visione della propria ricerca».
Cosa dovrebbe migliorare?
«Il problema sono le regole applicate che sono ancora molto retrograde. Faccio il mio esempio. Quando richiedi un macchinario perché hai i soldi per comprare uno strumento da 160mila euro, ci vogliono in media due anni prima che arrivi, con una gara di appalto, e per cose meno costose ci vogliono tre preventivi da presentare e approvare. Li richiede il Ministero perché chiaramente poi si va ad acquistare quello che costa meno. E ancora per le datazioni al carbonio 14, il costo è in media di 400/500 euro a campione. E abbiamo bisogno di fare diversi acquisti, tra filtri e provette. Ogni volta la stessa trafila dei preventivi. E poi ci sono le diarie per i viaggi».
Sono insufficienti?
«Assolutamente pensate da chi forse non ha mai viaggiato. Noi che vinciamo una borsa ERC siamo obbligati a fare viaggi in varie parti di Europa a cercare campioni. Quando ci si sposta in Italia viene riconosciuta un’indennità giornaliera di 100 euro, che facciamo fatica a spendere perché da noi si può mangiare anche bene con poco. Se vai a Parigi, la diaria è di 60 euro, quando lì costa tutto molto di più».
È un tarpare le ali a chi fa ricerca?
«Sì, anche se c’è da dire che poi chi vuole fare veramente ricerca in Italia, la fa. Non voglio lamentarmi e aggiungermi alla lista di chi lo fa sempre. Se c’è la passione ci si arriva, con molte rinunce perché non si conoscono sabati, domeniche e Ferragosto. Mia figlia si lamenta che lavoro sempre, ma purtroppo così è».
Aiuterebbe disporre di maggiori finanziamenti?
«Sì, anche se non è una questione solo italiana, perché allo stesso punto sono anche Francia e Spagna, per poi non parlare dei Paesi come la Macedonia dove non hanno neppure i soldi per comprare i sacchetti dove conservare i campioni. Ci sono Paesi che al contrario stanno correndo, e sono quelli dell’Est. Poi esiste anche la possibilità di ricevere fondi da enti privati, ad esempio le banche. Per il momento i soldi per la mia ricerca ci sono, ma prevedo che il futuro mi porterà a fare nuove richieste».

A livello di stipendi per i ricercatori la situazione è impari rispetto al resto d’Europa
«Quando ero al Max Planck come senior lo stipendio era sui 3mila euro mensili. Quando sono rientrata, e l’ho fatto come professore ordinario grazie alle pubblicazioni scientifiche, al mio curriculum e alla borsa ERC non arrivavo a quella cifra. E dire che ho usufruito di un buon incentivo fiscale».
Parla della legge Controesodo?
«Sì, quella che prevede uno sconto fiscale per chi rientra all’estero e porta la sua attività in Italia come ricercatore. Serve molto perché attirare le persone da fuori non è facile quando lo stipendio che è offerto a un ricercatore senior è da noi al massimo di 2.000 euro».
Parlando di Gender gap c’è molta strada da fare anche nelle materie STEM?
«Non solo, ma aggiungo che tutto il mondo è Paese in questo senso. Ho creato un evento a porte chiuse sull’evoluzione umana per ricercatori da tutta Europa. E dei venti che verranno solo tre sono donne».
Forse la parte più difficile è far capire alle donne che ci si può appassionare anche a questi temi?
«Penso proprio di sì. Quando chiesi la tesi di laurea, l’argomento aveva a che fare con lo studio degli alberi, che però era tutto fuorché quello che volevo fare. Io mi ero sempre appassionata ai fossili umani, volevo maneggiarli. A quel punto deve esserci anche un po’ di pragmaticità, perché mi sono chiesta: che cosa manca e per cosa mi prenderebbero a lavorare? E ho pensato al radiocarbonio, che era quello che non c’era, era un settore ancora inesplorato».

Che cosa la appassiona di più del suo lavoro?
«La datazione al radiocarbonio è una chiave che apre le porte del tempo, e aiuta a ricostruire le complicate storie ambientali e culturali che si celano dietro i resti organici. Ci consente di penetrare nella profondità inesplorata della storia umana e della misteriosa e affascinante evoluzione ambientale: possiamo risalire al momento in cui un albero è cresciuto, a quando un animale è morto o al quando una cultura si è estinta, come quella dei neandertaliani».
Quali sono le applicazioni pratiche?
«La tecnica di datazione può valere per le ossa, ma anche per dipinti, manufatti in legno, tessuti e molto altro ancora. Il radiocarbonio è un vero e proprio dono prezioso della chimica che ci consente di decifrare il mondo intorno a noi».
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📸 Credits: Canva
Articolo tratto dal numero del 1° luglio 2024 de il Bollettino. Abbonati!