I leader italiani tornano a sperare nel futuro. Nonostante un clima di incertezza generale, il dato in evidenza nel C-suite Barometer 2024 di Forvis Mazars è positivo. «Emerge un outlook ottimista», dice Marco Lumeridi, Partner e membro del Consiglio di Amministrazione di Forvis Mazars Italia. «In generale, rispetto al 2023 vediamo un innalzamento della fiducia. In termini di temi, si intravede un enorme trasformazione potenziale, generata soprattutto dalla tecnologia, che infatti i leader mettono al primo posto tra i fattori cui prestare attenzione quest’anno».
La ricerca, che si concentra sui C-suite – cioè quel ristretto gruppo di top manager il cui job title è un acronimo come CEO (Chief Executive Officer), CFO (Chief Financial Officer) o COO (Chief Operative Officer), per citarne alcuni – evidenzia anche altri temi al centro dell’attenzione del tessuto industriale. Su tutti, «l’espansione internazionale, la sostenibilità e la gestione dei talenti: direi che questi sono gli elementi principali di un quadro comunque molto positivo».
Vediamo che tensione e instabilità geopolitica tornano in fondo ai driver passibili di avere un effetto importante sulle organizzazioni. Nella percezione degli operatori le questioni internazionali sono solo il nono trend esterno più determinante nei prossimi 12 mesi. C’è il rischio di sottovalutare eventuali cigni neri?
«Sicuramente le dinamiche geopolitiche nell’ambito delle aziende hanno un impatto estremamente significativo. Possono avere delle implicazioni immediate, ma anche profonde, di cui abbiamo avuto diversi assaggi negli ultimi anni: basti pensare, ad esempio, alle interruzioni delle catene di fornitura. Tuttavia, mi viene quasi da dire, c’erano anche l’hanno scorso e probabilmente ci siamo abituati a conviverci. Non voglio dire che siamo assuefatti all’incertezza internazionale, però il tema è che fanno parte di ciò che le aziende si trovano a gestire in questo periodo. Alla fine, la guerra c’era anche l’anno scorso. Probabilmente le imprese osservano questo e cercano di concentrarsi su altri elementi, quindi come dicevamo prima, sull’Information Technology o le tematiche ESG, ad esempio, soprattutto in Europa».
Quali strumenti mettono in campo le aziende per adattarsi a un’incertezza ormai costante?
«Quello che esce dal barometro è un’attenzione prevalente dei leader aziendali sugli strumenti di Information Technology, sull’intelligenza artificiale e gli elementi di Cybersecurity. Poi ovviamente, prevale anche il tema del personale e della gestione delle risorse umane».
Se la tecnologia non la si produce, bisogna saperla assorbire nei propri processi. Guardando a un periodo in cui le innovazioni emergenti sono parecchie, dalla valanga del digitale, all’avvento di soluzioni Blockchain; ma anche e soprattutto la rivoluzione suscitata dalla Gen AI. Quali precauzioni possono prendere le imprese per essere pronte?
«Come dicevamo, la trasformazione tecnologica è in cima all’agenda delle priorità e questa attenzione, questo interesse suscitato dalla Generative AI, non ci sorprende. È sicuramente un dibattito in corso. Di fatto, l’intelligenza artificiale sta già avendo un impatto sulle aziende, probabilmente più come intelligenza artificiale che come Gen AI, quindi più sulla robotizzazione, quantomeno per ora.
Tuttavia, a poco a poco stiamo arrivando a implementare pure sugli aspetti più di grido. Anche i risultati cui accennavamo, dove l’85% dei leader aziendali ritiene che avrà un impatto sull’organizzazione e un 57% afferma avrà un forte impatto, rappresenta un elemento significativo da cui partire. Addirittura, quasi la metà degli intervistati si aspetta che l’intelligenza artificiale possa sostituire dei posti di lavoro all’interno delle loro organizzazioni, mentre il 57% dice che questo sta già avvenendo o avverrà entro l’anno. Sono numeri estremamente significativi. Sul tema AI, uno dei modi per tenersi pronti è sicuramente legato alla Cybersecurity, un elemento su cui le aziende si devono preparare per poter sfruttare a fondo questa nuova tecnologia. È un aspetto legato anche alla sicurezza dell’ambiente informatico, oltre che a quella del dato utilizzato».
L’AI generativa è al centro delle preoccupazioni dei leader italiani, ma come diceva non ha ancora applicazioni così ampie nel concreto. La rivoluzione della gen AI rappresenta quindi un cambiamento soprattutto in termini di comunicazione?
«Sì, certo. In ogni caso, questi sono tutti aspetti in continua evoluzione, e l’intelligenza artificiale generativa è proprio uno dei principali elementi su cui si sta lavorando ultimamente, anche in senso concreto, di processo. Sicuramente ci saranno degli impatti significativi, però li vedremo più avanti. Anche se mi viene da prevedere che l’attesa non sarà troppo lunga».
L’attrazione di giovani talenti è un’altra priorità che emerge con forza dalla vostra ricerca. In compenso, è interessante come la retribuzione rientri solo al quinto posto tra i fattori considerati come determinanti nella scelta dell’azienda. Questo però sempre secondo i leader d’impresa, i C-suite. È un dato che vi sembra sia confermato alla prova dei fatti?
«Io direi di sì. Lo stipendio comunque importante, perché gli elementi da valutare quando si cerca lavoro sono numerosi e il quinto non è esattamente l’ultimo. Quello che però osserviamo, come Forvis Mazars, è che effettivamente la remunerazione dei professionisti non è l’unico elemento da prendere in considerazione. Quella della retribuzione non è spesso la prima domanda che riceviamo in fase di colloquio. Molto spesso, invece, la prima cosa che ci viene chiesta è se facciamo smart working, ad esempio. Poi, ovviamente, la remunerazione viene chiesta, ma non prima di tutto. Direi che sicuramente sul benessere generale delle persone è un cambiamento importante. Il bilanciamento tra vita lavorativa e vita personale è un fattore da valutare. Noi stessi, come Forvis Mazars, cerchiamo di dare importanza a questo tema, per esempio organizzando degli eventi di well-being o altre iniziative a supporto dei dipendenti».
Nel nostro Paese, il problema delle retribuzioni resta macroscopico. Come mostra l’approfondimento nell’articolo di focus, a pagina 20 di questo numero, i salari italiani sono calati del 9,3% in termini reali tra il 2019 e il 2023. Questa transizione cui accennava, con la crescita in importanza di altri fattori rispetto allo stipendio, è più lenta in Italia?
«Dal mio punto di vista, le spinte che vediamo in questo senso sono abbastanza omogenee a livello internazionale. Sicuramente condividiamo in tutto il mondo il fatto della difficoltà di attrarre giovani eccellenze. Quindi questa difficoltà è comune, come è comune il fatto che le prime domande che riceviamo non siano quelle della remunerazione. Probabilmente, in Italia la domanda arriva magari al terzo posto, piuttosto che al quinto. Ecco, questo potrebbe essere, che cioè nel nostro Paese lo stipendio continui ad avere un peso maggiore che altrove, ma comunque non è al primo posto».
Le imprese italiane hanno scoperto il concetto di employer branding solo relativamente di recente. Quali sono gli ingredienti che occorrono loro per attirare i giovani talenti?
«Io posso raccontare la nostra esperienza, cioè quello che, come Forvis Mazars, stiamo facendo per creare un ambiente di lavoro che stimoli le giovani eccellenze a venire da noi. Stiamo cercando di lavorare su diversi fronti, perché per rendere l’azienda riconoscibile dall’esterno bisogna curare più di un aspetto. Innanzitutto, il benessere dei dipendenti, attraverso l’implementazione di un programma di benessere psicologico e dei webinar che vengono organizzati per rispondere a questo tipo di esigenze. Sempre restando in argomento, noi manteniamo una percentuale di smart working abbastanza alta e altre iniziative di well-being.
Come secondo aspetto, cerchiamo di creare una cultura aziendale inclusiva: stiamo lavorando a iniziative di Diversity & Inclusion: come azienda abbiamo creato un comitato apposito di D&I, dove cerchiamo di favorire e stimolare il dibattito interno su queste tematiche. Stiamo facendo dei corsi di formazione sugli unconscious bias e altri temi specifici. In più, favoriamo percorsi di coaching e mentoring e abbiamo creato percorsi di genitorialità.
Come terzo punto, abbiamo stimolato iniziative di sostenibilità e responsabilità sociale. Su questo aspetto organizziamo giornate in cui i nostri dipendenti lavorano assieme ad associazioni non profit per delle giornate di volontariato. Poi abbiamo portato l’AVIS (Associazione Volontari Italiani del Sangue) direttamente all’interno dell’azienda, per facilitare la donazione. Inoltre, cerchiamo anche di lavorare sulla tecnologia. Come dicevamo prima, è un elemento importante, che può essere d’aiuto per attirare e stimolare i giovani talenti. Per esempio, qui abbiamo un’applicazione che si chiama Applical per l’onboarding, cioè l’integrazione dei nuovi dipendenti.
Quindi le persone che arrivano da noi, fin dalla firma del contratto hanno un dialogo con l’azienda in cui presentiamo la nostra organizzazione e la mansione che andranno a svolgere, di modo che la persona, anche prima di arrivare a lavorare da noi, riesce a iniziare il percorso di avvicinamento. Infine, lavoriamo molto sull’employer branding interno. Ad esempio, sullo sviluppo personale e professionale, sui percorsi di carriera e organizziamo degli eventi di team building».
Tornndo sull’AI, cui accennavamo prima: ha influenzato le procedure di selezione del personale?
«Sì, sicuramente anche il fatto che un’azienda abbia un’attenzione particolare verso l’ambito IT, in generale, può essere un buon elemento di attrazione del personale. Quindi il fatto che un’azienda utilizzi sistemi innovativi è parte anche di elementi che possono aiutare nell’employer branding e quindi nell’attrazione di talenti».
Venendo al terzo e ultimo grande tema che emerge dalla ricerca, cioè la sostenibilità, vediamo come il 90% dei leader italiani si senta pronto alla rendicontazione, contro un 79% e 71% in Francia e Germania. Si tratta di eccessiva fiducia o è la testimonianza di un primato nazionale reale in questo ambito?
«La prima osservazione che mi viene da fare è che le percentuali sono molto elevate in tutti e tre i Paesi. È un elemento importante, che fa pensare che ci sia stato già un lavoro significativo su questi aspetti, che sono sicuramente rilevanti e che riguardano non solo la rendicontazione, dal mio punto di vista, ma spingono la loro influenza sul business e le politiche aziendali. Questa mi sembra in ogni caso l’osservazione più pertinente che si può fare. Quanto alle differenze tra i singoli Paesi, non è detto che siano così rilevanti ed è piuttosto difficile stabilire da quali fattori siano influenzate».
Nonostante questa fiducia, quella della sostenibilità resta una sfida estremamente impellente. Quali sono gli aspetti principali che potrebbero dare del filo da torcere alle nostre imprese?
«Sicuramente le sfide ci sono. Dal mio punto di vista possono nascere delle opportunità, per il fatto stesso che le aziende devono trovare la maniera di cogliere queste tematiche ESG come opportunità di business. Tenendo conto del fatto che il pubblico guarda sempre di più a questi aspetti, possono nascere delle occasioni inedite quando le aziende. Cogliendo questa sfida positiva, possono andare spontaneamente incontro a queste istanze. Da qui anche le opportunità collegate alla rendicontazione. Sicuramente ci sono degli obblighi normativi da tenere in considerazione, ma se l’impresa riesce a fare di necessità virtù, poi la rendicontazione verrà in automatico».
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Articolo tratto dal numero del 15 settembre 2024 de il Bollettino. Abbonati!