martedì, 18 Marzo 2025

Salmaso, Side by Side: «Una donna su tre non possiede un conto in banca, da noi occupazione femminile più bassa d’Europa»

DiIlaria Mariotti

1 Novembre 2024
Sommario

Per parlare di empowerment finanziario femminile si deve partire da un dato chiave: il 37% delle donne italiane non ha un conto corrente bancario a proprio nome (Fonte: Episteme). «Ma l’aspetto ancora più allarmante è che il numero non è collegato alla porzione di donne che non lavora», Alessia Salmaso, Presidente dell’associazione Side by Side e attivista per i diritti delle donne. «Al contrario, le ricerche evidenziano come, anche quando occupate – specie in alcune parti d’Italia – versino lo stipendio non sul proprio conto, ma in quello di un marito o altro familiare. È un retaggio culturale. E non ha necessariamente a che fare con la prevaricazione maschile sulla donna. Qui siamo al di fuori del perimetro della violenza, anche economica. Lo dico perché è quello che vedo nella mia esperienza: a volte i mariti lascerebbero fare, sarebbero anche contenti che la donna prendesse in mano la situazione. Sono le donne stesse che non escono dalla comfort zone. Si va avanti per abitudini».

Non bisogna confondere quindi la violenza di genere con l’empowerment. Sono due ambiti ben distinti

«Il fatto che una fetta consistente di donne non abbia un conto proprio non significa – ed è un dato di realtà – che dietro ci sia un marito o un partner che le obbliga o le manipola. Che eserciti un qualche genere di coercizione. L’empowerment finanziario femminile ha a che fare con l’interiorità delle donne. È una consapevolezza che devono prendere, che deve partire dalla loro volontà. Perché sbloccarsi e tenere in mano le redini della propria vita significa diventare libere, decidere in autonomia, gestire le proprie risorse finanziarie in modo indipendente e senza condizionamenti».

C’è poi un altro elemento da mettere sul piatto. Ed è la condizione delle donne italiane, ancora lontana dalla parità…

«L’Italia, purtroppo, registra il tasso di occupazione femminile più basso in Europa. Le nostre donne non solo lavorano meno, ma quando lo fanno sono pagate strutturalmente meno degli uomini. Lo conferma l’INPS: secondo l’Osservatorio sui dipendenti del settore privato, nel 2022 lo stipendio medio annuo degli uomini è stato di 26.227 euro, mentre quello delle donne si è fermato a 18.305. Una differenza di quasi 8mila euro».

Non sorprende, quindi, che molte donne italiane non parlino di denaro: spesso non lo fanno perché semplicemente non ne hanno

«Una ricerca condotta dall’Università Cattolica insieme a Banca Widiba mostra che il 29,4% delle donne non ha alcuna fonte di reddito, rispetto al 12,1% degli uomini. Servirebbe una legge anche per questo, per garantire parità tra i sessi sul piano finanziario, a partire dagli stipendi. È incostituzionale che ci sia il gender pay gap. Ma per potenziare l’empowerment femminile finanziario si deve viaggiare su un doppio binario: da una parte c’è quello delle istituzioni, ma dall’altra il cambiamento deve arrivare dal cuore delle donne, che devono prendere consapevolezza».

Volenti o nolenti, di fatto le donne si trovano spesso in una situazione di dipendenza economica. Quali sono i campanelli di allarme per capirlo?

«Secondo l’OCSE, gli elementi chiave sono tre. Il primo è l’incapacità di affrontare autonomamente un imprevisto finanziario. Se si rompe un elettrodomestico, una donna che non gestisce denaro deve chiedere il permesso per ricomprarlo a chi lo gestisce, che è solitamente il partner. Il secondo elemento è la delega strutturale della gestione economica a qualcun altro. Spesso le donne non si occupano delle questioni finanziarie per propria volontà, lasciando che il partner prenda in mano la situazione. Il terzo elemento è la mancanza di conoscenza sulla pianificazione finanziaria. Dettagli fondamentali come il numero di rate mancanti su un mutuo o quanto è già stato ripagato spesso sfuggono completamente alle mogli, o più in generale alle donne. Si autoescludono da quegli argomenti». 

Quante si trovano in tale condizione?

«Secondo i nostri dati, considerando insieme questi tre fattori, a trovarsi in questa situazione è il 22% delle donne italiane. Più di una su cinque, quasi una su quattro. Una percentuale allarmante, soprattutto se confrontata con quella di altri Paesi europei. In Germania e Austria accade solo per il 5% delle donne; in Slovenia per il 7% e in Polonia per il 10. La dipendenza economica risulta minore rispetto all’Italia anche in Paesi in cui i tassi di occupazione femminile non sono elevati. Traducendo, significa che l’empowerment non sempre va di pari passo con l’occupazione femminile». 

Chi è più colpito dalla dipendenza economica?

«Vale per ogni ceto sociale. E il lavoro, come detto, non salva. Questo è lo snodo cruciale. Non si può dare per scontato che una donna che lavora abbia pieno controllo sul proprio denaro, così come non si può pensare che la dipendenza economica riguardi solo chi si trova in condizioni di marginalità».

La maggior parte delle donne è consapevole della propria dipendenza e ne soffre oppure la vive come normalità?

«C’è una contraddizione che emerge dalle nostre rilevazioni. I sondaggi hanno evidenziato che sette donne su dieci dichiarano di avere una scarsa conoscenza finanziaria: non sanno come gestire al meglio il proprio denaro, le proprie finanze, non sanno fare un uso consapevole degli strumenti finanziari. Allo stesso tempo però, le stesse sette donne su dieci riconoscono nella propria indipendenza economica l’obiettivo principale delle loro vite. Sono dati riportati da una analisi Mastercard e Banca d’Italia, svolta nel 2024. Questo vuol dire che le donne in realtà vorrebbero fare il passo di emanciparsi».

Per diventare padrone dei propri soldi e quindi di sé stesse va lanciata una rivoluzione culturale?

«Sì, e per fortuna si sta andando nella giusta direzione a livello delle istituzioni. È una fortuna che nel 2024 sia arrivata una legge, la 21 del 5 marzo del 2024, meglio nota come Legge Capitali. Una norma che all’articolo 25 introduce l’educazione finanziaria nei programmi scolastici, collocandola all’interno dell’insegnamento dell’educazione civica e stabilendo un numero di ore minimo. È una speranza perché significa che finalmente si trasmetteranno nozioni finanziarie anche ai bambini, e soprattutto alle bambine. È un’arma potentissima contro gli stereotipi. Se si continua a dire o a pensare che le donne non sono portate per la matematica o per la finanza, finiranno per crederci. Invece le attitudini non sono né maschili né femminili, sono attitudini e basta».

Anche chi è madre ha, in questo senso, nelle proprie mani un potere strepitoso

«Solo educando si abbattono certe barriere. Si perpetuano di default, quando la mamma dice per esempio che il figlio maschio deve fare finanza e la femmina letteratura. Invece le materie STEM devono essere per tutti, indipendentemente dal genere. E poi è dalle famiglie che deve provenire l’insegnamento circa l’importanza di gestire il proprio denaro e quindi la propria libertà, in modo che i bambini crescano con questi valori. Il denaro offre possibilità di scegliere, di essere padroni del proprio destino e di realizzare le proprie ambizioni. Per troppo tempo, alle donne è stato insegnato che parlare di soldi è volgare, ma la verità è che è fondamentale per costruire potere, indipendenza e libertà personale».

Come si veicola un pensiero di questo tipo?

«Abbiamo detto della scuola, ma quella vale per chi ci va ancora. Nei più giovani si può agire direttamente sui banchi di scuola. Ma come si trasmettono alcuni valori a donne di 40 o 50 anni che a scuola non ci vanno più? L’unica via è parlarne.Il denaro è circondato da tabù che sono invece da rompere. Parlare di soldi senza vergogna è il primo passo verso una società più equa e giusta. Vanno incoraggiate discussioni aperte e trasparenti e normalizzato l’argomento nelle conversazioni quotidiane. Bisogna fare conferenze, divulgare il più possibile. Di empowerment finanziario femminile si parla ancora troppo poco, quando invece il tema è un tassello fondamentale per promuovere una maggiore parità di genere e anche per la crescita economica, sociale e culturale del nostro Paese».

Come state portando avanti questo obiettivo?

«Side by Side ha organizzato a Roma una conferenza il 25 settembre nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, aperta a tutti. Il titolo era proprio “Le sfide dell’empowerment finanziario femminile”. La situazione delle donne e della loro competenza finanziaria ha un impatto diretto sulla libertà, sull’indipendenza femminile e sulla crescita economica del nostro Paese. È questo il motivo alla base della conferenza. E la location scelta non è casuale, ma un luogo simbolico come il Senato: perché è lì che i diritti trovano voce».

La partecipazione vi ha soddisfatto?

«La platea era piena. Abbiamo ricevuto istituzioni, delegazioni di organizzazioni della società civile e molti ospiti. Alcuni posti erano riservati agli studenti universitari e ai loro docenti, perché per noi è importante portare questi temi alle giovani generazioni. Non volevamo limitarci a una riflessione teorica, ma offrire pillole di conoscenza e spunti pratici per ispirare il cambiamento e coinvolgere tutti nel sostenerlo. Ogni relatore ha portato il proprio contributo: dalla Banca d’Italia a esperti di finanza e politiche di genere, fino al vissuto personale di Fiona May, che ha enfatizzato l’importanza di una gara alla pari».

Di cosa si occupa l’associazione Side by Side da lei cofondata e presieduta?

«Intendiamo accompagnare istituzioni e imprese fianco a fianco nel passaggio verso un ambiente di vita e di lavoro più inclusivo e in cui l’equità, anche di genere, e le pari opportunità siano valori cardine. Siamo un’associazione culturale che si impegna per promuovere il dibattito e il confronto, forniamo storie di cambiamento culturale e contributi scientifici che generano soluzioni con un impatto tangibile e duraturo sulla vita di tutti. Organizziamo spesso conferenze ed eventi, il cui obiettivo è mettere a confronto modelli inclusivi provenienti da diversi mondi e stimolare la diffusione delle best practice. L’ottica è quella di una crescita complessiva, che riguardi ogni filiera produttiva».

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📸 Credits: Canva   

Articolo tratto dal numero del 1° novembre 2024 de il Bollettino. Abbonati!                

Giornalista professionista, classe 1981, di Roma. Fin da piccola con la passione per il giornalismo, dopo la laurea in Giurisprudenza e qualche esperienza all’estero ho cominciato a scrivere. All’inizio di cinema e spettacoli, poi di temi economici, legati in particolare al mondo del lavoro. Settore di cui mi occupo principalmente per Il Bollettino.