Un grande passo avanti tutto italiano. Nel 2023, nei consigli di amministrazione quattro poltrone su dieci sono state occupate da una donna. Una percentuale significativa – il 43,1%, secondo CONSOB – e in netta crescita nell’ultimo decennio. Eppure riuscire a coniugare professione e sfera personale non è da poco. «Vorrei poter dire che sono riuscita a trovare un equilibrio tra vita privata e lavoro, ma in realtà ho dovuto scegliere tra famiglia e carriera» dice Paola Veglio, Amministratrice Delegata di Brovind. «Ho scelto la carriera e a oggi non me ne pento, posso dire che ho sposato la libertà. Ma perché una donna deve per forza scegliere? Sto cercando di fare il possibile affinché questo non capiti ai miei dipendenti: dagli orari flessibili, al fornire ai genitori servizi utili, come la retta dell’asilo nido pagata dall’azienda. La volontà è di agevolare le famiglie dove entrambi i coniugi lavorano».
In Italia riusciamo a distinguerci anche rispetto alla media globale, dove la percentuale di quote rosa nei board si ferma al 23,3%. Questo ciò che rileva l’ottava edizione di Women in the boardroom: A global perspective, lo studio di Deloitte condotto su oltre 18mila aziende in 50 Paesi che esplora la rappresentanza delle donne nei Cda. E un segnale positivo arriva anche tra le donne CEO che, secondo il rapporto Women in Business 2023 di Bernoni Grant Thornton, lo scorso anno sono salite al 24%, rispetto al 20% del 2022.
Non tutti i settori possono vantare una situazione così rosea. Lo studio condotto dalla Fim Cisl ha rivelato una marcata disuguaglianza di genere all’interno del settore metalmeccanico, evidenziando che solo un dipendente su cinque è donna. Secondo i dati Confcommercio, sono circa 1.300 le donne meccanico in Italia. Numeri bassi anche quelli delle donne al volante di mezzi pesanti. Sebbene superino quota 3mila alla guida di camion e di tir, rappresentano solo il 5,6% per cento del totale degli autotrasportatori. Nonostante si parli di numeri ancora irrisori, l’educazione gioca un ruolo fondamentale. In base ai dati riportati nella ricerca “L’universo femminile nell’ingegneria italiana” condotta dal Centro Studi CNI, sul totale dei laureati in Ingegneria il 18% è donna, circa 175mila studentesse che hanno deciso di perseguire e sfatare una professione tipicamente associata alle figure maschili.
Qual è il suo background?
«Da un punto di vista scolastico, ho scelto l’ingegneria elettronica all’età di sei anni e non ho mai cambiato idea. Fin da piccola, mio papà, quando mi stufavo dei giocattoli me li faceva smontare e mi spiegava il loro funzionamento, meccanico ed elettronico. Era bellissimo. Ero una bambina strana, sempre curiosa e perfezionista. Ho avuto una parte razionale e una parte creativa. Alimentando sempre entrambe, sono diventata un “tecnico creativo”, che quando smette di guardare numeri e formule, dipinge e crea. Devo dire che la vita mi ha anche messo davanti a prove durissime, che hanno alimentato quella sensibilità, che ho trasformato in una capacità forte del mio lavoro».
Quali difficoltà si affrontano per farsi strada in un settore, quello metalmeccanico, poco associato alla presenza femminile?
«Come giovane e donna, sono stata ostacolata e criticata. Quando entrai in Brovind nel 2006, l’azienda versava in gravi condizioni finanziarie, organizzative e le mancava la scintilla per invertire la rotta. L’ho cercata a lungo. La gavetta fatta mi ha permesso di entrare in contatto con pregi e difetti organizzativi, gestionali e produttivi, per provare a risanare la situazione. Con fatica mi sono ritagliata una posizione di leadership, pur avendo molti contro, incluso mio padre, che sosteneva fosse troppo presto per guidare l’azienda. Mi sono scontrata con persone che lavoravano in Brovind da trent’anni e con la logica del “si è sempre fatto così”. Circondandomi di persone fidate, ho progressivamente stravolto l’organigramma e i processi aziendali, abbiamo diversificato i Mercati, assunto giovani e ampliato le vendite. I risultati sono arrivati e con loro anche il rispetto di molte persone che inizialmente mi avevano osteggiata. È stata una sensazione impagabile».
Ci sono delle azioni che possono essere messe in campo per superare il gap di genere?
«Il primo passo, di un lungo percorso verso la parità, penso debba partire dall’assumere le persone per le loro competenze e soft skill e non per il genere d’appartenenza. Uomini e donne hanno i medesimi diritti e doveri familiari, quindi dovrebbe esserci totale parità anche nella questione dei congedi genitoriali, senza che tutto ricada necessariamente sulla donna. Dover scegliere tra carriera e famiglia è un diktat che vorrei venisse presto dimenticato».
Quanto al gap salariale, invece?
«Iniziamo ad adeguare i salari agli anni di esperienza professionale e non al genere. È vergognoso e non più giustificabile che un uomo debba percepire uno stipendio più alto, a parità di mansione, rispetto a una donna. È importante che anche le donne ne siano consapevoli e facciano valere questo sacrosanto diritto».
Sono ancora poche le donne in Italia a essere a capo di una società. Ha consigli per le donne che vogliono intraprendere questa strada nel mondo del lavoro?
«Credere in se stesse e non autoimporsi limiti che in realtà non esistono, spesso frutto di vecchi condizionamenti sociali. Troppe volte ci si ritrova a pensare di non essere abbastanza, di non essere all’altezza o ancora peggio a essere giudicate più duramente, rispetto a un uomo, per eventuali errori o scelte fatti. Cerchiamo invece di essere coerenti con noi stesse, lasciandoci scivolare addosso i giudizi sterili, che a volte devastano. A 44 anni, cerco di imparare ogni giorno con umiltà da tutti, ma l’unica cosa che mi interessa davvero è potermi guardare allo specchio e sapere che di fronte ho una donna di cui probabilmente mia mamma andrebbe fiera».
Qual è l’approccio da adottare per guidare l’azienda?
«Tanta umiltà e dedizione, senza mai dare nulla per scontato. La realtà è fatta di tante prospettive, non è detto che la nostra sia sempre quella giusta. Bisogna sapersi mettere in gioco, senza arrendersi. Solo chi non fa nulla, non sbaglia mai. L’importante è metterci la faccia, nel bene e nel male, sapendo anche chiedere scusa. Se si sa dove si vuole arrivare, dandosi obiettivi ben precisi e raggiungibili, il percorso cambia in funzione dell’esperienza e degli errori pregressi, verso la meta».
In che modo il welfare aziendale può fare la differenza sul lavoro?
«Ogni impresa è fatta di persone e il loro benessere è cruciale per la crescita dell’azienda stessa. In particolar modo, in un piccolo borgo come quello di Cortemilia, difficile da raggiungere quanto a servizi e opportunità. Per me il welfare non è mai stato il fringe benefit fine a se stesso, si basa sull’ascolto del dipendente e sulla ricerca della soluzione più appropriata. Da diversi anni cerco di far ricadere gli effetti positivi delle iniziative aziendali anche sul territorio. A Natale, ad esempio, distribuiamo ai 150 dipendenti buoni da 500€ da spendere rigorosamente nei negozi locali. Ho ristrutturato il ristorante-pizzeria-albergo nel centro di Cortemilia perché serviva una mensa più grande per i nostri dipendenti. Settanta persone ogni giorno pranzano al ristorante e il pasto è sostenuto per l’80% dall’azienda; la struttura naturalmente offre anche accoglienza ai turisti e agli abitanti locali».
Quali sono i prossimi progetti?
«Cortemilia è un luogo ricco di bellezza, di natura e di quiete. Le sue potenzialità sono molteplici, ma naturalmente vanno scoperte, incentivate; bisogna lavorarci a testa bassa. Il mio sogno è di rendere questo territorio, noto principalmente per enogastronomia e turismo, uno hub tecnologico, capace di attrarre giovani talenti e portare nuova linfa creativa, che possa ricondurre il borgo al suo antico splendore. Penso sia fondamentale procedere nel rispetto del territorio e della sua storia e soprattutto facendo rete tra privati, pubblica amministrazione e terzo settore; le singole iniziative individuali, per quanto lodevoli, non vanno molto lontano. Stiamo ristrutturando un polo industriale abbandonato di circa 33mila metri quadri, con un capannone di quasi 13mila. È un investimento titanico per la nostra azienda, ma necessario, anzi fondamentale. Vorrei tanto riportare Cortemilia a essere conosciuta e scoperta per la meraviglia che è».
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📸 Credits: Canva.com
Articolo tratto dal numero del 15 novembre 2024 de il Bollettino. Abbonati!