Le quotazioni dell’oro continuano a macinare record su record, in una corsa in apparenza inarrestabile. Un breve sguardo ai contratti futures più prossimi alla scadenza quotati al Commodity Exchange (COMEX) di New York fornisce subito una prospettiva chiara. I futures GCK5, in scadenza il 28 maggio, prezzano il metallo prezioso a 3.311 dollari l’oncia, mentre i GCM5 di giugno puntano addirittura a 3.322. Lo stesso accade ai prezzi spot – riferiti all’acquisto immediato di oro – che viaggiano ben al di sopra dei 3.300 dollari all’oncia. Si parla di 91-97 euro al grammo, guardando alle oscillazioni delle ultime settimane.
Cifre da capogiro, specie se confrontate con quelle di poco meno di tre anni fa: a ottobre 2022, il prezzo era a 1.654,90 dollari l’oncia, quasi la metà di oggi. In altre parole, in questo lasso di tempo il valore del metallo è praticamente raddoppiato.
«Si sa, l’interesse risiede dove c’è guadagno. Quello cui stiamo assistendo è il risultato naturale di un’instabilità politica ed economica registrata a scala globale» dice Ferruccio Invernizzi, fondatore e Presidente di PRONTO GOLD S.p.A., gemmologo ed esperto di metalli preziosi.
«Senza entrare nelle ragioni macroeconomiche né sviscerare le scelte di politica interna delle grandi potenze mondiali – si vedano i dazi di importazione americani – pare si sia consolidato un sentimento comune che considera il metallo giallo come l’unica vera ancora di salvezza a protezione del proprio capitale».

Quali sono i principali pregi e difetti degli investimenti in oro?
«Un primo difetto è che per conservarlo occorrono dispositivi di sicurezza per evitare furti e rapine, il che ha un costo. In più, l’oro non produce reddito – come cedole o dividendi – e non dà lavoro che non sia quello impiegato nei processi di estrazione e commercializzazione. Ha due grossi utilizzi: uno è industriale, in campo tecnologico e nella produzione di gioielli. L’altro è come investimento: da sempre è considerato il bene rifugio per eccellenza. In questo ambito, i vantaggi sono che non ha nome, non subisce deterioramento, non va fuori corso ed è valido sempre e ovunque, senza il bisogno di convertirlo, come per le valute. Questi fattori giustificano anche la presenza di una richiesta tanto forte: in un momento di incertezza come questo, si ingenera negli investitori uno stato di ansia che li porta a puntare sull’oro».
Qual è la modalità preferita dai clienti per acquistare oro, in questo momento?
«A differenza di quanto succedeva nella seconda metà del secolo scorso, la scelta di acquistare e indossare gioielli e orologi è stata sostituita dalla ricerca spasmodica di sterline e lingotti. Non è un caso che siano sempre meno i laboratori orafi nei poli italiani di Valenza Po (AL) e di Vicenza, per di più occupati sui disegni di grandi maison del lusso come Bulgari o Damiani, per citarne alcune. Al di là dei nostri confini, sono Cina e India a trainare sia la domanda sia la produzione di gioielli. Ma anche in questo caso, dopo un decennio di continua crescita, pare che l’entusiasmo si stia raffreddando».
A quali fattori guardare per cercare di prevedere le prossime evoluzioni del Mercato?
«Il Mercato di qualsiasi prodotto si basa sul suo prezzo, che è la cifra minima che un acquirente è disposto a spendere per accaparrarselo. Tralasciando tutte le scelte politiche e sociali che traineranno la domanda del prezioso metallo, è bene osservare con attenzione la disponibilità di oro e la sua estrazione».
Cosa ci dicono i dati, su questo fronte?
«Da studi dell’US Geological Survey (USGS) pare che ad oggi siano state estratte circa 200.000 tonnellate di oro a fronte di altre 50.000 a disposizione nelle riserve estraibili conosciute. Se consideriamo che ogni anno vengono raccolte dalle 2.500 alle 3.000 tonnellate, si potrebbe ipotizzare che le riserve mondiali possano esaurirsi nel giro di massimo vent’anni. Non è proprio così. Geologi e ricercatori delle varie compagnie minerarie lavorano quotidianamente per scoprire nuovi giacimenti sfruttabili in giro per il mondo. Pare inoltre che il quantitativo d’oro disponibile al di sotto della superficie terrestre – e al momento inaccessibile – sia di circa 400.000 tonnellate, pari cioè al doppio di tutto il metallo mai estratto fino ai nostri giorni. Inaccessibile con i mezzi attualmente a disposizione, s’intende. Ma in un’epoca di grandi innovazioni tecnologiche, è lecito pensare che l’attività estrattiva sia garantita per molti anni ancora. Non dimentichiamo che nel nucleo terrestre ci sono oltre 1,6 quadrilioni di tonnellate di oro…».
L’attività produttiva aumenta o diminuisce?
«Secondo il World Gold Council, l’associazione industriale che raduna le più importanti aziende minerarie del settore aurifero, la produzione annua è stabile da circa 7 anni. Di contro, la domanda cresce a ritmi sempre più sostenuti. Ricordiamo le scelte recenti di alcuni Paesi come Cina e Russia, che hanno deciso di aumentare le proprie riserve auree. Questa stasi produttiva è sopraggiunta dopo il decennio 2008-2018, in cui si sono registrati incrementi record. Sembra che oggi non sia solo più difficile estrarre l’oro, ma anche solo ottenere i permessi di esplorazione».
Qual è il ciclo di vita di una miniera?
«Scoprire, autorizzare, sviluppare e rendere produttivo un deposito d’oro richiede tipicamente almeno 10 anni, più frequentemente 15. Segue l’attività di estrazione vera e propria, la cui durata dipende dalle dimensioni dell’area da sfruttare e dalla sua ricchezza di materia prima. Se stimiamo questo periodo pari a 30 anni, cui aggiungiamo altri 5 anni necessari per lo smantellamento e la bonifica delle aree sfruttate, facciamo presto a capire che la vita di una miniera d’oro è di circa 50 anni.
Quali sono gli aspetti più complessi da gestire, in questo periodo?
«Non è da sottovalutare la questione ambientale, che comporta un aggravio sui conti delle società. In seguito all’inasprirsi delle sanzioni sugli eventuali danni ambientali, sono aumentati vertiginosamente i costi di bonifica dopo l’esaurimento dei giacimenti. Si pensi che l’estrazione di una tonnellata di metallo comporta il rilascio di 300.000 tonnellate di rifiuti tossici, che vanno smaltiti in modo opportuno. Insomma, per raggiungere l’obiettivo di un’estrazione etica e sostenibile il primo passo da fare è aprire i cordoni della borsa. In generale, è facile comprendere la fatica con cui il settore dell’estrazione aurifera cerca di imporsi come investibile, ossia attraente per gli investitori in cerca di ritorni. Le società in grado di oltrepassare i primi 10 anni circa di improduttività e assicurare dei guadagni per gli investitori devono quindi registrare performance straordinarie anno dopo anno, per conservare attrattiva. E questo non è scontato».
Quanto costa estrarre l’oro, dunque?
«Per estrarre un’oncia di materiale, i costi medi sono passati da 253 dollari del 1990 ai 705 dollari del 2019, per arrivare a ben 1.300 del 2022. Ed è lecito pensare che questo dato sia destinato a salire ancora, per una serie di motivi. In primo luogo, per una progressiva diminuzione della concentrazione del minerale nelle rocce. Alcuni dati mostrano che negli anni ’70 era possibile estrarre 10 grammi d’oro per ogni tonnellata di roccia. Oggi siamo a 1 grammo per tonnellata. Di pari passo aumentano inevitabilmente anche i costi fissi relativi al carburante, all’acciaio e ai microchip».

Ma il prezzo dell’oro è quindi allineato ai costi d’estrazione di oggi?
«Facciamo parlare i dati. Ci viene in aiuto un grafico pubblicato del World Gold Council in merito alla variazione dei costi di estrazione anno dopo anno. Prendendo a titolo di esempio i valori del 2015, vediamo come estrarre un’oncia d’oro puro costasse circa 930 dollari, ossia 29,90 euro al grammo. Contemporaneamente, le borse internazionali registravano una quotazione dell’oro di 1.200 dollari l’oncia, quindi 38,58 euro al grammo. Ciò vuol dire che la differenza tra quotazione dell’oro e costi estrattivi era del 22,5% circa. Questo valore risulta essere perfettamente in linea con l’andamento storico degli ultimi 15 anni, in cui la discrepanza si è assestata sempre tra il 20% e il 30%. Fa eccezione il 2013, anno in cui questa differenza si è assottigliata. Allora, ero stato tra i pochi ad aver notato questa anomalia, mettendo in guardia tutti sull’imminente rialzo delle quotazioni: la storia mi ha dato ragione. Ebbene, ritengo che lo stesso evento si stia verificando in questi mesi, ma questa volta al contrario. Una quotazione di 3.176 dollari l’oncia imporrebbe dei costi produttivi di circa 2.200 dollari, poco meno del doppio di quanto registrato nel 2022. Poco verosimile, direi. Ritengo che i prezzi attuali siano fin troppo alti».
Quali sono le principali ragioni per questa anomalia?
«Quel che succede è che le quotazioni di oggi risentono della particolare situazione geopolitica e del fatto che due grosse potenze come Cina e India stiano procedendo ad acquisti massicci di oro fisico. Questo ha portato a un innalzamento ulteriore delle quotazioni».
Perché queste potenze stanno acquistando oro a ritmi tanto sostenuti?
«Difficile rispondere. Credo si tratti, soprattutto per la Cina, di una politica che tende a reperire la maggior quantità possibile di materie prime. Lo sta facendo con l’oro, ma anche con le terre rare o con il rame. E lo fa non solo acquistando il metallo, ma rilevando le stesse miniere. In questo modo, stanno colonizzando tutta l’Africa».
Cosa ci aspetta in futuro?
«Di sicuro, tutte le nuove scoperte in ambito tecnologico saranno messe a disposizione delle compagnie estrattive per rendere sfruttabili tutti quei giacimenti al momento inutilizzabili, ad esempio perché il metallo è poco concentrato oppure perché è ubicato in aree al di sotto della superficie terrestre, difficili da raggiungere. Una piccola percentuale del nuovo materiale a disposizione sarà ricavata dal trattamento dei circuiti elettronici dei vecchi dispositivi. Un iPhone, ad esempio, contiene 0,034 grammi d’oro insieme ad altri metalli preziosi. Numerosi studi condotti nelle più importanti università del mondo hanno mostrato che è possibile estrarre tutto l’oro dai vari microchip senza l’utilizzo di sostanze tossiche, contrastando così un fenomeno che di anno in anno sarà sempre più controverso e pericoloso: l’accumulo esponenziale dei rifiuti elettronici».
Quali fattori rendono possibile questo aumento importante nelle attività estrattive?
«La quantità di oro teoricamente estraibile è enorme. La differenza nei livelli di estrazione dipende semplicemente dalla capacità delle compagnie di sfruttare miniere che fino a pochi mesi fa non erano nemmeno prese in considerazione. Addirittura, si sta ri-estraendo dagli scarti degli anni passati, perché lo consente la tecnologia, ma soprattutto perché i prezzi di vendita molto alti lo rendono vantaggioso».
In che modo questa tendenza potrebbe influire sui prezzi, a lungo andare?
«Il fatto è che questi processi tendono ad alzare il costo di estrazione. Ora, poiché una miniera impiega qualche anno prima di diventare produttiva, è presumibile che nei prossimi anni le capacità estrattive aumenteranno molto, finendo per soddisfare del tutto l’attuale domanda e perfino per creare una sovrabbondanza. Di conseguenza, il prezzo dovrebbe tornare ad adeguarsi ai costi reali di produzione. C’è anche chi la pensa diversamente: alcuni analisti prevedono che il prezzo possa salire ancora, stabilendosi oltre i 100 euro al grammo. Io preferisco fare riferimento ai costi di estrazione, perché è da lì che si parte. E in questo momento osserviamo un costo nettamente più basso del prezzo di Mercato, proprio per il fatto che l’offerta impiega vari anni per adeguarsi alla domanda».
È quindi probabile che le due curve, quella dei costi di estrazione e quella dei prezzi, tornino ad avvicinarsi?
«Il buonsenso direbbe questo. Quanto ai tempi, la mia previsione è che nel giro di qualche anno il prezzo dovrebbe riallinearsi. Certo, non tornerà a 50 euro al grammo, perché i costi di estrazione sono saliti. Però presumo che possa scendere all’incirca del 20%. Il tutto a meno che non si verifichino eventi internazionali di gravità estrema, come una guerra su scala globale. In caso contrario, presumo che una volta stabilizzata la situazione internazionale, probabilmente si potrà creare una situazione di maggiore sicurezza e stabilità che renderà meno attrattivi i beni rifugio, e su tutti proprio l’oro».
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📸 Credits: Canva
Articolo tratto dal numero del 15 maggio 2025 de il Bollettino. Abbonati!