Essere mamma e imprenditrice. Un binomio non sempre facile da gestire, in cui la genitorialità non è ancora condivisa. Più di sei mamme su dieci – 44.699, il 72,8% del totale – in Italia, secondo lo studio condotto dall’Ispettorato del Lavoro, si sono dimesse dai propri impieghi e non riescono a conciliare impiego e famiglia nel 2022, ultimo anno a disposizione dalle statistiche. I dati evidenziano un tasso di disoccupazione pari al 42,6% tra le mamme tra i 25 e i 54 anni. E in dieci anni, le dimissioni delle lavoratrici mamme sono più che raddoppiate, passando da 18.454 nel 2012 a 44.699 nel 2022. Tra le motivazioni che più incidono, c’è la fatica di tenere insieme l’impiego e il ruolo di genitore.
«Essere mamma infatti significa riuscire a conciliare la vita lavorativa con quella familiare, con tutte le sfide imposte dalla società. Investire sul futuro significa garantire che i nuovi papà e le nuove mamme siano sostenuti da adeguate politiche che favoriscano la genitorialità e un bilanciamento tra professione e famiglia, a partire da forme di lavoro flessibile, congedi parentali e di paternità, nonché un’adeguata copertura dei servizi educativi per l’infanzia. Femminilità e imprenditorialità si coniugano con coraggio, visione e una grande consapevolezza del proprio valore. Significa vivere ogni giorno tra cura e responsabilità, ma anche trasformare l’esperienza personale in leva per un cambiamento collettivo.

La Luna del Grano è nata proprio così: da una maternità vissuta in azienda, che ha reso evidente quanto fosse urgente cambiare le regole del gioco. Riconoscere i diversi ruoli che una donna vive è il primo passo per trovare connessioni e sinergie tra di essi. Non sono mondi separati, ma dimensioni che si intrecciano: competenze, abilità e responsabilità si rafforzano e si contaminano. Le due esperienze dell’impresa e della maternità hanno molti tratti in comune: entrambe richiedono di gestire tante cose insieme, prendere decisioni rapidamente, tenere insieme visione e cura del dettaglio. Sono ruoli che si sovrappongono, si alimentano a vicenda e chiedono un lavoro continuo, fatto di equilibrio, ascolto e adattamento. E io sono felicissima di poterlo fare e avere avuto il coraggio di farlo», dice Sonia Zappitelli, CEO di La Luna del Grano.
Di cosa si occupa la vostra azienda?
«È una Startup innovativa e società benefit che promuove una cultura aziendale inclusiva, attraverso servizi di welfare e formazione legati alla genitorialità, alla parità di genere e al benessere organizzativo. Il nostro obiettivo è accompagnare le neomamme nel rientro al lavoro affinché non debbano rinunciare alla propria carriera dopo la maternità. Affianchiamo anche i neopapà nella scoperta del loro ruolo in famiglia, rafforzando l’equità dei ruoli e supportando le aziende nel promuovere una genitorialità condivisa come leva concreta per la parità di genere. Tutti i nostri servizi sono in linea con la UNI PdR 125:2022».
Da dove nasce l’idea dell’impresa?
«Da un’esperienza personale: la mia prima maternità vissuta in azienda. È da lì che è nato lo spunto per creare un progetto capace di accompagnare il rientro delle neomamme affinché non rinuncino alla propria crescita professionale. La Startup si è poi rafforzata con l’arrivo di Elisabetta Pesenti, che – come me – aveva vissuto le stesse difficoltà in azienda e deciso di mettere la propria esperienza e competenza a supporto del benessere dei genitori. Il nome si ispira alla luna piena d’agosto, simbolo di fertilità e prosperità dei campi di grano. Un invito a generare benessere coltivando parità e inclusione».

A chi vi rivolgete in termini di genitorialità?
«Alle imprese che vogliono innovare davvero, integrando la cultura della parità e del benessere nelle proprie strategie di Human Resources. Il nostro target sono tutte quelle realtà che desiderano costruire nuovi modelli organizzativi in cui il lavoratore/la lavoratrice è davvero al centro: modelli flessibili, inclusivi, basati sulla qualità del lavoro e non sul tempo speso in ufficio. Ambienti in cui la persona viene riconosciuta in tutti i suoi ruoli – genitore, professionista, individuo – e può essere sé stessa, accedere alle stesse opportunità e fare carriera per merito. Vogliamo contribuire a creare contesti sensibili e rispettosi, dove la maternità, la paternità e la cura non siano un ostacolo, ma un valore».
Qual è la risposta?
«Molto positiva. I nostri percorsi aiutano le aziende a non perdere le donne nel post maternità, a sostenere i papà nel loro ruolo e a valorizzare la genitorialità come una tappa normale della vita. I benefici si vedono in termini di benessere, fidelizzazione e crescita delle persone. Collaboriamo con medie e grandi imprese in tutta Italia e in diversi settori, co-progettando soluzioni personalizzate, spesso finanziabili al 100% tramite fondi interprofessionali. I nostri servizi digitali, scalabili su piattaforma, permettono di raggiungere anche le sedi più periferiche, abbattendo le disuguaglianze territoriali. Inoltre, dimostriamo ogni giorno che anche con budget zero o molto contenuti si può fare la differenza. Oggi più che mai, trattenere i talenti è una priorità: un business non può prescindere dalle persone, che vanno ascoltate e curate, anche nell’era dell’intelligenza artificiale».

Come promuovere la parità aziendale?
«È necessario attivare un cambiamento culturale profondo, che parta dal board e dai manager, per poi coinvolgere tutta la popolazione aziendale. Il cambiamento non si impone, si coltiva. Il nostro claim è “Coltiviamo cultura, seminiamo parità di genere, raccogliamo benessere”. Racconta proprio questo: come per il lavoro nei campi, anche in questo contesto occorrono cura, visione e costanza per far crescere ambienti di lavoro inclusivi. Lavoriamo con formazione, coaching, analisi dei gap, progettazione di azioni concrete, redazione di parental policy e welfare co-costruito. Solo dove il terreno è fertile e chi guida l’organizzazione semina con consapevolezza, la parità può mettere radici vere e trasformarsi in valore condiviso».
Perché è ancora difficile l’affermarsi di una genitorialità condivisa?
«Perché implica un cambio di mentalità, tanto culturale quanto organizzativo. La genitorialità è ancora troppo spesso percepita come una questione femminile, mentre il ruolo paterno fatica a trovare pieno riconoscimento, dentro e fuori dalle aziende. Nella maggior parte dei contesti, il carico di cura continua a gravare quasi esclusivamente sulle donne, ancora identificate come caregiver principali. Per promuovere una reale condivisione serve un’azione su più livelli: di supporto ai papà nella costruzione del loro ruolo in famiglia, offrendo al contempo alle aziende strumenti per veicolare nuovi modelli culturali. Se vissuti e praticati sul luogo di lavoro, questi possono radicarsi anche nelle famiglie e contribuire a trasformare la società».
Come stroncare sul nascere la discriminazione di genere?
«Educando alla consapevolezza, giorno dopo giorno. Le disuguaglianze si radicano in abitudini, linguaggi e modelli culturali che spesso adottiamo senza rendercene conto. Non si tratta solo di episodi evidenti, ma anche di micro-aggressioni, silenzi, automatismi che alimentano un sistema sbilanciato. È fondamentale riconoscere parole e azioni che feriscono, ma anche le disuguaglianze strutturali presenti nei processi aziendali: selezione, onboarding, crescita professionale, salari, accesso alle opportunità. Dopo la consapevolezza, l’educazione passa attraverso percorsi di formazione continui e la costruzione di nuovi modelli organizzativi e culturali più equi, rispettosi e rappresentativi della realtà che si intende costruire».

In che modo si possono aiutare i dipendenti a tornare al lavoro post congedo maternità?
«Partendo dall’ascolto e dall’analisi dei nuovi bisogni, con la consapevolezza che la maternità non è una pausa come un’altra e che non tutto può – o deve – essere come prima. Le persone cambiano, i bisogni evolvono, le competenze crescono. È fondamentale essere aperti alla possibilità che qualcosa si trasformi. Le aziende rigide, prive di strumenti, spesso si spaventano davanti al cambiamento perché non sanno come gestirlo. È qui che percorsi come il nostro fanno la differenza. Con il nostro progetto Back To Work, supportiamo le mamme in cinque step strutturati e completamente digitali, ma affianchiamo anche l’azienda nel costruire un rientro sereno, valorizzante e sostenibile per entrambe le parti».
A che punto siamo in Italia in termini di welfare?
«Si sta appena iniziando a parlarne davvero, ad andare oltre la mera defiscalizzazione di qualche servizio su piattaforma. Nelle aziende, questo aspetto è ancora poco integrato con la cultura organizzativa e spesso si riduce a benefit standardizzati, soprattutto nelle realtà più piccole. A questo si aggiunge la fragilità del welfare pubblico, che spinge molte persone a considerare come avanzate anche iniziative minime promosse dalle imprese. Ma siamo ancora molto indietro: il welfare aziendale dovrebbe essere un’opportunità strutturata, accessibile e sostenibile, pensata a partire dai reali bisogni delle persone. Con i nostri percorsi aiutiamo le aziende a costruirlo insieme, anche con budget limitati e strumenti finanziabili fino al 100%».
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📸 Credits: Canva.com
Articolo tratto dal numero del 15 maggio 2025 de il Bollettino. Abbonati!