Vento in poppa per il segmento ESG, che batte le aspettative, confermandosi sempre di più come un trend stabile nel lungo periodo. Nel primo trimestre 2025, gli investimenti in fondi sostenibili in Italia crescono del 18,7% in un anno, raggiungendo quota 235 miliardi. A trainare sono soprattutto le imprese di dimensioni più piccole, per le quali l’incremento oltrepassa il 24% (Fonte: Assogestioni).
Secondo i dati, l’87% delle PMI italiane ha già adottato misure per la riduzione di carbonio, mentre solo il 13% si dichiara ancora non intenzionata a portare avanti questi obiettivi (Fonte: Qonto). Delle conferme che arrivano nonostante uno scenario internazionale in modificazione, di fronte al deciso cambio di rotta nelle politiche USA. «Il Mercato e gli investitori continuano a premiare le realtà che integrano davvero i criteri ESG nel proprio modello di business» dice Maurizio Caviglia, Segretario Generale della Camera di Commercio di Genova. «Più che un’inversione di tendenza, parlerei di una fase di assestamento».

A livello ESG, stiamo assistendo a una fase di apparente contraccolpo nel contesto internazionale. Questa situazione ha avuto dei riflessi indiretti anche sulle nostre imprese?
«Sì, un contraccolpo c’è stato, soprattutto sul piano della percezione. A livello internazionale, alcune tensioni politiche e pressioni economiche stanno rallentando il ritmo con cui certi Paesi stavano implementando le strategie ESG. In questo contesto, l’Unione Europea sta individuando soluzioni utili a garantire lo stesso livello di competitività delle nostre PMI rispetto a quelle degli altri sistemi economici internazionali. Questo clima più cauto ha avuto riflessi anche in Italia, dove alcune imprese – specie quelle meno strutturate – tendono a vivere la sostenibilità come un costo o un vincolo burocratico più che come un’opportunità. Ed è su questo approccio che noi, come sistema camerale, vogliamo intervenire, agevolando le imprese, soprattutto quelle di più piccola dimensione, a riconoscere pratiche già in atto, che possono essere esempio di sostenibilità, e a comunicarle in modo adeguato».
Cosa cambia con le misure contenute nel nuovo pacchetto Omnibus europeo?
«Il pacchetto Omnibus introduce semplificazioni e chiarimenti che erano molto attesi dalle imprese. In particolare, punta a rendere più praticabili e proporzionati gli obblighi di rendicontazione, specialmente per le PMI, evitando un approccio “taglia unica”. Ma non è un allentamento degli impegni; è piuttosto un tentativo di rendere le regole più aderenti alla realtà operativa delle imprese europee, connotate da dimensioni contenute e da una ancora limitata capacità di lavorare in rete.
Non si tratta quindi – come è stato in parte interpretato – di fare “marcia indietro” sull’ESG ma di una mossa pragmatica, che dimostra la volontà delle istituzioni europee di accompagnare meglio le aziende nella transizione. Gli standard volontari per le PMI elaborati da EFRAG, l’organismo tecnico di supporto alla Commissione UE, possono inoltre essere un riferimento unico a livello europeo per redigere bilanci di sostenibilità secondo criteri condivisi e omogenei. E ciò vale anche per i rapporti tra la grande impresa e la sua catena di fornitura, consentendo una razionalizzazione dei parametri di valutazione ESG».
Per le imprese di dimensioni minori gli obblighi sono ridotti. Converrà comunque portarsi avanti nell’affrontare questi temi?
«Certo. Le PMI che affrontano ora i temi ESG otterranno un vantaggio competitivo nel medio periodo. Non solo perché molti grandi clienti e partner finanziari già oggi chiedono standard di sostenibilità lungo tutta la filiera, ma anche perché i criteri ESG stanno diventando una metrica chiave per l’accesso al credito, ai fondi pubblici e alla fiducia degli stakeholder. Portarsi avanti significa non farsi trovare impreparati e, soprattutto, cogliere per tempo nuove opportunità di Mercato. Le imprese più piccole hanno anche la flessibilità per innovare più rapidamente: è un’occasione da non perdere».
Quali sono le ulteriori novità all’orizzonte sul fronte regolamentare?
«Sul fronte internazionale, il 2025 sarà un anno chiave: entreranno in vigore i primi standard globali dell’ISSB (International Sustainability Standards Board), che mirano a creare un linguaggio comune per la rendicontazione di sostenibilità, soprattutto sul piano finanziario. È un passaggio importante per le imprese che operano su più Mercati e che oggi si trovano a destreggiarsi tra normative frammentate. In Europa, proseguirà l’attuazione della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), con l’estensione graduale degli obblighi anche alle imprese non quotate di grandi dimensioni.
A livello nazionale, siamo in attesa di una maggiore definizione su come verranno recepite queste normative europee, sia in termini di controlli sia di supporto alle imprese. In questo contesto, la revisione della tassonomia verde e i relativi impatti sulla finanza sostenibile hanno un ruolo centrale. Ci saranno aggiornamenti per rendere più chiare le attività effettivamente allineate agli obiettivi ambientali, nel tentativo di limitare il fenomeno del Greenwashing. In sintesi, la direzione è tracciata: più trasparenza, più comparabilità e un crescente allineamento tra performance economica e impatti ESG, in linea con il concetto di reputazione, che per le imprese è fondamentale».
Vede all’orizzonte cambiamenti di scenario rilevanti?
«In Italia, oltre al recepimento di queste norme europee, ci si aspetta una maggiore definizione del ruolo degli enti certificatori e un rafforzamento delle misure di accompagnamento alle PMI. Per il settore dei servizi, il tema centrale sarà la gestione della catena del valore, mentre per l’industria, l’accento cadrà su efficienza energetica, approvvigionamento responsabile e gestione delle emissioni. Inoltre, twin transition e cybersecurity sono sempre più centrali nella gestione di impresa, guidandone le strategie di sviluppo».
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Articolo tratto dal numero del 1 giugno 2025 de Il Bollettino. Abbonati!
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