Per avere una misura di quanto il trend delle acquisizioni potrebbe cambiare il volto del sistema bancario, basta guardare ai numeri. E uno parla più di tanti altri: delle prime 10 banche per capitalizzazione di Mercato, sono solo 4 gli istituti che si tengono al di fuori del gioco delle M&A. Ma quali sono le ragioni dietro alla scelta di non scendere in campo?
La passività di Intesa
La più illustre delle assenti è senza dubbio Intesa Sanpaolo, la più grande per asset detenuti e – da pochissimo – seconda per market cap. Era stata proprio lei l’ultima a effettuare, nell’ormai lontano 2020, l’ultima acquisizione di grandi dimensioni, inglobando UBI con un’operazione da 4,9 miliardi di euro. Oggi, a impedirle ulteriori fusioni è anche e soprattutto la sua dimensione. La banca detiene oltre il 22% dei depositi di clientela nazionali (Fonte: Intesa Sanpaolo). Una percentuale che lascia poco spazio per ulteriori margini di espansione. Già in occasione dell’operazione di UBI, l’Antitrust aveva imposto a Intesa la cessione di 532 sportelli collocati in aree critiche in cui la fusione avrebbe messo a rischio la concorrenza. Oggi, un’ulteriore espansione non potrebbe venire senza uno scrutinio ancora più severo da parte delle autorità italiane ed europee.
«Quello che vediamo è un aumento della confusione che conferma la mia opinione che è assolutamente molto meglio rimanere concentrati nel realizzare risultati per gli azionisti» ha detto l’AD Carlo Messina, ribadendo l’intenzione di restare mero spettatore nella partita a Risiko.
Fineco e CREDEM
Un ragionamento simile, ma dettato da ragioni diverse, quello fatto da FinecoBank, che ha scelto di privilegiare la crescita per linee interne. L’istituto continuerà a privilegiare la presenza sul territorio italiano, ma prediligendo un approccio basato sull’ottimizzazione dei servizi, attraverso un approccio su digitalizzazione ed efficienza operativa.
Più aperto è, invece, il Credito Emiliano (CREDEM), i cui vertici si dicono «aperti a valutare opportunità», ma a patto che aprano prospettive coerenti con i disegni della banca e ancorate a obiettivi industriali.
Il caso Mediolanum
Un discorso a parte, infine, vale per Banca Mediolanum, che ha chiuso il 2024 con un record di utili a 1,12 miliardi, in rialzo del 36% rispetto all’esercizio precedente. «Nessuna fusione in vista», taglia corto l’Amministratore Delegato Massimo Doris. Ma anche dalla panchina, l’istituto gioca un ruolo fondamentale nella partita. La sua recente decisione di disfarsi delle sue quote in Mediobanca – pari al 3,492% – attraverso un collocamento accelerato, non fanno che complicare la già difficile situazione di Piazzetta Cuccia di fronte alla battaglia con MPS e dell’assalto a Banca Generali. ©️
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Articolo tratto dal numero del 1 luglio de il Bollettino. Abbonati!