martedì, 1 Luglio 2025

Iorio, LND: «Per una società dilettantistica di calcio, generare valore economico immediato non è mai semplice»

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Calcio professionistico e dilettantistico rappresentano due mondi all’apparenza simili. Ma nelle loro radici profonde hanno in realtà grandi differenze. Non solo in campo ma anche per le strategie di sponsorizzazione e marketing adottate. Il primo opera a livello nazionale e internazionale, con un bacino di utenza sempre più ampio, che è capace di attirare grandi investitori e sponsor in cambio di visibilità mediatica. Il secondo si fonda invece su un forte legame con il territorio, puntando maggiormente sulle comunità locali e sulle piccole imprese.

Questo non vuol dire che si tratta di una realtà secondaria, anzi. Oggi il calcio dilettantistico in Italia «conta quasi 11mila società sportive, 60mila squadre, 1,1 milioni di tesserati, più di 36mila allenatori e poco meno di 250mila dirigenti» dice Stefano Iorio, referente commerciale e marketing della Lega Nazionale Dilettanti.

Numeri importanti, rafforzati anche dalle evidenze emerse dal punto di vista economico. Questo ramo dello sport più popolare del Paese incide per circa 2,8 miliardi di euro sul PIL italiano, tanto da rappresentare il 24% nella torta dell’impatto complessivo che il calcio ha in Italia. A livello di occupazione del settore, le cifre parlano di un contributo pari al 37%, con quasi 50mila posizioni annue all’attivo.

Un discorso che si lega di diritto alle sponsorizzazioni, da sempre caratterizzate da una forte componente territoriale. Le piccole e medie imprese hanno compreso l’importanza di poter sfruttare un’opportunità, quella del calcio dilettantistico, per rafforzare la propria posizione all’interno di una comunità, sostenendo e investendo su attività sportive capaci di coinvolgere migliaia di giovani e di famiglie. Quello che cambia, rispetto al professionismo, è l’obiettivo di base che ci si pone dal momento in cui si sottoscrive un accordo: consolidare relazioni locali, promuovere valori condivisi, senza mettere la visibilità su larga scala al primo posto.

Il discorso cambia quando si parla di calcio professionistico italiano, che oggi viene rappresentato in gran parte dalla Serie A, dalla Serie B e dalla Lega Pro. Soprattutto per il massimo campionato, il contesto in cui operano gli sponsor è ormai globalizzato e altamente competitivo. Solamente lo scorso anno, il Mercato italiano ha toccato quota 884 milioni di euro in sponsorizzazioni, registrando una crescita del +13,4% rispetto al 2023. Soltanto in Serie A, il paniere totale di introiti ha raggiunto la cifra di 492 milioni di euro, ossia il 55,7% del totale degli investimenti in campo sportivo.

A essere coinvolte sono le grandi aziende nazionali e internazionali, che sviluppano strategie di marketing volte a promuovere i propri brand a livello globale utilizzando le squadre e i calciatori come volano primario. La sola Juventus incassa 45 milioni di euro all’anno dal marchio Jeep, il Milan incassa 30 milioni da Fly Emirates, per fare alcuni esempi.

Alla pubblicità tradizionale, si aggiungono altre fonti di reddito di cui può godere il calcio professionistico. Basti pensare alla vendita dei diritti televisivi, oggi in possesso di DAZN e Sky Italia per un accordo del valore di 900 milioni di euro fino alla stagione 2028-2029, oppure al merchandising. Negli ultimi anni, sono sempre più in voga le cessioni dei naming rights degli stadi di proprietà. In prima linea si è mossa ancora una volta la Juventus che, nel 2020, ha rinnovato il suo accordo con Allianz per il suo Juventus Stadium fino al 2030 alla cifra di 103 milioni di euro totali.

Il Mercato delle sponsorizzazioni sportive «nel calcio dilettantistico oggi ha un valore molto alto e potrebbe, con le giuste impostazioni, strutturazioni e strategie, raggiungere livelli ancora più alti» dice Iorio: «le sponsorizzazioni, per le società del settore, rappresentano la fetta più importante e ampia di ricavi, anche garantendo la sopravvivenza delle squadre stesse. Non a caso, tra tutte le voci dei ricavi di una società dilettantistica – come iscrizione retta annuale, biglietteria, bandi, merchandising –, le sponsorizzazioni rappresentano la voce che più facilmente può generare sempre più introiti a seconda del volume di attività: più sponsor si hanno, più risorse economiche si possono ricavare».

Rispetto al calcio professionistico quali sono le principali differenze e criticità in termini di attrattività per sponsor e investitori?

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«Con il continuo processo di innovazione dei canali di comunicazione e degli strumenti social che utilizziamo tutti i giorni, siamo continuamente sottoposti alle dinamiche del calcio professionistico, sia italiano che internazionale. Sta diventando normale per noi parlare, come tifosi o semplici appassionati, di plusvalenze, stipendi, sponsorizzazioni, trasferimenti e anche di dinamiche proprie dei manager che gestiscono le grandi squadre. Dobbiamo però essere consci del fatto che queste dinamiche sono proprie esclusivamente di certi livelli e che il mondo dilettantistico debba tararsi su altri criteri. Quando si parla di attrattività per le aziende nel calcio dilettantistico non dobbiamo pensare alla classica e semplice visibilità che immaginiamo nel caso della Serie A e della Nazionale. Ogni ambiente ha i propri punti di forza e il calcio dilettantistico deve poter sfruttare la capacità di creare connessioni con il territorio che abbraccia».

In che modo il calcio dilettantistico può rappresentare una piattaforma efficace per attivazioni digitali e campagne di comunicazione mirate? Ha esempi concreti?

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«Come detto, il calcio dilettantistico è il calcio che è più vicino alla gente e alle famiglie. Basti pensare a numeri indicativi del nostro mondo: 60mila squadre, 10.908 società, un milione e 115mila tesseramenti. Sono cifre che ci permettono di capire come venga vissuto il calcio dilettantistico in Italia. Tutte le attivazioni, siano queste digitali che fisiche, che le aziende sponsor possono portare avanti con la società di turno, saranno più funzionali nel momento in cui verrà promosso un prodotto o un servizio che, allo stesso tempo, riuscirà a raccontare una storia e a creare empatia. L’obiettivo delle società deve essere quello di mettere un’azienda nelle migliori condizioni. Per arrivare più facilmente al proprio target di cliente: ma ciò sarà possibile solo se si ragiona al di fuori dei più classici schemi commerciali».

Quanto conta oggi il radicamento territoriale dei club dilettantistici nel costruire valore per i brand? E come si può strutturare un’offerta commerciale su misura?

«Il radicamento territoriale dei club dilettantistici è la vera chiave di volta. Una società deve essere in grado di riuscire a raggruppare tutti gli stakeholders del proprio quartiere e territorio. È da sottolineare il fatto che anche le grandi aziende stanno cambiando il proprio punto di vista e questo dipende soprattutto dal loro obiettivo. È indubbio che l’obiettivo ultimo di uno sponsor è quello di promuovere i propri servizi. Molte aziende però iniziano a immaginare queste attivazioni in modo che non si promuova solo commercialmente il proprio brand. Il vero obiettivo di questi ultimi anni è quello di rimanere impressi nella mente della fanbase. Soprattutto perché, attraverso una partnership, si è in grado di generare valore.

E il valore non va inteso solo come valore economico, ma soprattutto come valore sociale che permette alle aziende di posizionarsi in maniera strategica. Un’offerta commerciale deve essere costruita ad hoc per l’azienda. Il primo obiettivo della società deve essere quello di bilanciare le proprie attivazioni e visibilità. In modo da ottenere in cambio un contributo funzionale al sostentamento delle proprie attività. Le società devono essere in grado di sapere differenziare le diverse visibilità che si mettono a disposizione di un’azienda. Oltre che di saperle gestire durante una stagione sportiva e saper aggiustare il tiro laddove la stessa partnership metta in evidenza particolari criticità».

Eventi locali, storytelling sociale, coinvolgimento delle famiglie: quanto pesano questi asset “intangibili” per i partner? Si riesce a monetizzarli concretamente?

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«Questi potrebbero essere, infatti, erroneamente, considerati asset “intangibili”. È proprio qui che deve cambiare il modo di pensare delle società: questi sono gli asset strategici che fanno la differenza. Quello che le aziende stanno ultimamente ricercando è proprio il contatto diretto con le persone per far capire meglio la propria dimensione. Gli eventi, inoltre, permettono anche alle aziende di iniziare a instaurare un rapporto con il potenziale cliente. E consentono alle aziende stesse di iniziare a profilare il pubblico tramite un’eventuale raccolta dati. In occasione di questi momenti è anche preferibile consentire alle aziende la distribuzione di gadget che invoglino le persone a cercare il contatto.

Gli eventi e il coinvolgimento della fanbase fanno parte degli asset che riescono meglio a convertire possibili vendite. Facciamo l’esempio di una partnerhsip con un’azienda di GDO. In questo caso si potrebbero strutturare raccolte punti le quali, raggiunto un determinato punteggio, potrebbero portare benefici diretti in termini di attrezzatura sportiva per la propria società calcistica».

La sostenibilità – ambientale, sociale ed economica – sta diventando un elemento sempre più centrale. Come viene integrata nelle strategie di marketing dei club dilettantistici?

«Il virare sulla sostenibilità è una strategia che ho anche riscontrato personalmente con alcune aziende. Il valore percepito da un progetto vincente dal punto di vista sociale è considerato di grande impatto rispetto a una normale campagna di promozione commerciale. Alcune aziende puntano esclusivamente su progetti sociali che possano portare valore al territorio. Più una società riesce a prevedere attività socialmente utili, più questa può risultare appetibile per instaurare un rapporto di partnership. Proprio per questo motivo è necessario che le società individuino delle realtà, nel proprio territorio, che svolgano attività sociali come onlus, comunità, e via dicendo».

C’è una differenza nella percezione del calcio dilettantistico tra pubblico e sponsor? E come si può lavorare per colmare eventuali gap?

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«Ritengo che questa possibile differenza di percezione possa verificarsi, in primo luogo, all’interno del pubblico stesso. Se io sono solo tifoso di una squadra di Serie A e non ho situazioni familiari in cui c’è il coinvolgimento di una realtà dilettantistica, sarò più propenso a pensare al mondo dilettantistico come un modo di minor valore rispetto al calcio professionistico. Al contrario, vivendo in prima persona le attività di una prima squadra dilettantistica o di una categoria di una scuola calcio, riuscirò più facilmente ad avere un punto di vista diverso e più oggettivo.

È molto probabile che anche le aziende possano pensare che il mondo dilettantistico sia in grado di generare poco in termini di visibilità. È proprio in queste situazioni che le società dilettantistiche devono saper emergere nel mare magnum di squadre. E sapersi raccontare sulla base della propria capacità di creare sinergie reali. Ciò che fa la differenza è la capacità di strutturare strategie a lungo termine. Per una società dilettantistica, generare valore economico immediato non è mai semplice».

Immaginando una sinergia tra il mondo dilettantistico e quello professionistico: ci sono modelli di collaborazione o contaminazione virtuosa che potrebbero essere replicati?

«Il mondo professionistico ragiona in modo totalmente diverso da quello dilettantistico. Un esempio di contaminazione, seppure non proprio fedele al 100%, è rappresentato dal fatto che anche le squadre professionistiche iniziano a immaginare un coinvolgimento del pubblico. Non solo durante i 90 minuti di gioco. Pensando a una famiglia che va allo stadio per assistere a una gara della propria squadra del cuore, è molto importante che al singolo tifoso rimanga impressa l’esperienza della giornata intera. È in questo contesto che è necessario sapere offrire servizi aggiuntivi e prevedere ulteriori modalità di intrattenimento sia prima che dopo una partita. Il mondo dilettantistico può anch’esso “emulare” i parenti del calcio professionistico con una gestione del tifoso a 360 gradi».©

📸Credits: Canva

Articolo tratto dal numero del 1° luglio 2025 de Il Bollettino. Abbonati!

Sempre pronto a rinnovarmi e ad approfondire ogni giorno i temi che mi appassionano, credo che il giornalismo abbia una responsabilità enorme nella società. Per il Bollettino scrivo di sport e tecnologia, mi occupo anche di economia, attualità, musica e cinema.