Nell’anno della pandemia e delle presidenziali Usa la sfida, anche dopo l’annuncio di ulteriori restrizioni, è scommettere su innovazione e nuovi mercati. «Purtroppo la sensazione è che ci si sia fatti trovare impreparati, nonostante fosse chiaro che ci sarebbe stata una seconda ondata», dice Barbara Beltrame Giacomello, vicepresidente Confindustria per l’internazionalizzazione. Oggi la via della ripresa non può che passare dal digitale: «Sarebbe auspicabile e importante per il nostro export che l’Italia, insieme all’europa, si giocasse la carta di un proprio e-commerce che possa competere con colossi quali Amazon e Alibaba», spiega. Una proposta, questa, utile a far fronte a incognite presenti e future.
Quali le ricadute per l’economia?
«Anche se non siamo ancora in grado di fare previsioni certe, fanno temere un peggioramento della caduta del Pil per quest’anno, che solo un mese fa il nostro Centro Studi aveva stimato in un -10%. Potrebbe quindi esserci un’ulteriore discesa tra l’1 e il 2 percento, quindi -11/-12% del Pil, con un danno per l’economia di 216 miliardi di euro, una cifra superiore alle risorse attribuite all’italia dal Recovery Fund. Chiediamo di essere coinvolti nelle scelte, per supportare il Governo in questa fase di emergenza e, soprattutto, in quella di rilancio del Paese. Abbiamo presentato un Piano organico di proposte perché dobbiamo cominciare da subito a progettare il futuro».
Qual è l’impatto dell’emergenza?
«Nelle stime precedenti alla seconda ondata il calo dell’export si aggirava attorno al 14%, ma ora i numeri potrebbero essere peggiori. Tutti i settori hanno sofferto, con alcuni che ne sono usciti meglio – come l’alimentare e il farmaceutico – e altri, come il turismo, che hanno accusato maggiormente. Anche se a settembre i dati sul commercio con Paesi extra Ue hanno evidenziato un incoraggiante aumento del 3% su base annua, segno comunque di una fiducia da parte degli investitori».
La pandemia ha dato impulso alla digitalizzazione?
«Su questo siamo indietro rispetto ai nostri competitor: siamo quart’ultimi nel Digital Economy and Society Index della Commissione Ue. Per noi è però un aspetto importante: le nostre aziende si stanno aggiornando ma certamente dobbiamo fare di più, agendo insieme al Governo e alle altre categorie, e proprio l’attuale crisi ha messo in luce i punti deboli sui quali occorre lavorare».
E l’internazionalizzazione?
«L’Italia, con 136mila operatori che esportano, è la seconda manifattura d’Europa. Il valore del nostro export è realizzato al 50% da piccole e medie imprese, una percentuale molto più alta di quella francese e tedesca. Purtroppo la crisi post-pandemia è stata maggiormente sentita proprio dalle realtà di dimensioni più contenute».
Quali scenari dopo il voto Usa?
«L’attenzione di Biden è rivolta alla politica e all’economia domestica. Dalle dichiarazioni in campagna elettorale non sembra che stipulare nuovi accordi commerciali sia una sua priorità, almeno non nei primi 100 giorni. Tuttavia, il commercio potrebbe entrare tra gli obiettivi della leadership democratica come parte integrante dell’agenda sul cambiamento climatico. Il connubio commercio-ambiente, inoltre, potrebbe rivelarsi funzionale a posizioni condivise con Europa, Canada e Giappone nei confronti della Cina, contribuendo a lenire la spinta unilateralista impressa da Trump. A quest’ultimo riguardo, il passaggio chiave è sulla riforma del Wto, per la quale ci si attende un atteggiamento più costruttivo da parte degli Usa, che rientrerebbero così nelle dinamiche multilaterali. Per il mondo delle imprese, sarebbe una buona notizia».
Cosa aspettarsi dalla Brexit?
«È una situazione rischiosa e auspichiamo che sia siglato almeno un semi accordo. L’impatto sarà forte: l’Italia esporta nel Regno Unito per circa 25 miliardi di euro e al momento sappiamo che ci saranno dei dazi. Che su alcune merci potrebbero arrivare a pesare fino al 30%».
Quali sono i mercati extraeuropei più interessanti?
«Tutti quelli dove siamo attualmente meno presenti: l’Asia è enorme e noi vi realizziamo il 10% del nostro export. Ci sarebbero quindi importanti margini di crescita. Poi grazie agli accordi di libero scambio firmati con l’Ue potremo lavorare in Paesi come il Vietnam o il Giappone».
E con la Cina?
«In generale, in Asia e non solo, possiamo puntare su competenze, sui beni di consumo ma anche su macchinari, sul tessile e sul cuoio».