La Cina, dove la pandemia è cominciata, sta uscendo per prima dalla crisi. Anche grazie all’export, che in parte ha avuto impulso da produzioni legate proprio alla difficile situazione sanitaria, come mascherine e respiratori. «Il mercato interno è vasto e sono riprese le esportazioni, specie di materiale medico sanitario. A ciò si aggiungono i vantaggi di una pianificazione da parte di un partito unico privo di scadenze elettorali», spiega Simone Pieranni, autore di «Red Mirror» (Laterza 2020), dove racconta la società cinese di oggi, iperconnessa e tecnologicamente avanzata. Il Pil del terzo trimestre, in aumento del 4,9% su base annua e non così lontano dal +6,1% del 2019, insieme alle recenti stime del Fmi denota l’unica tra le grandi economie in crescita quest’anno.
Quali sono gli obiettivi futuri per l’economia cinese?
«Dal 26 ottobre si terrà il 5° Plenum del Partito comunista, dove sarà lanciato il piano quinquennale 2021-2025. Le indicazioni al momento riguardano il decoupling, ossia il disaccoppiamento dall’economia Usa. Ci si concentrerà così sul consumo interno. Per gli esportatori occidentali significa maggiore concorrenza e anche più opportunità, per chi saprà coglierle: si tratta di individuare i settori giusti in un mercato estremamente segmentato e complicato dalla variabilità dei gusti dei cinesi, specie della classe media in espansione».
A quando risale la svolta hi-tech nella Repubblica popolare?
«Il processo è partito negli anni ’90 concretizzandosi dal 2008, quando il modello basato sulle esportazioni è entrato in crisi. Da un lato si è così insistito sul mercato interno, dall’altro sull’innovazione in modo da esportare prodotti di più alta qualità. A ciò è legato l’aumento consistente dell’automazione, soprattutto nella produzione industriale, ma anche la progettazione e il finanziamento delle smart city – ormai a quota 600 – che stanno nascendo nel Paese».
I dazi di Trump hanno colpito proprio il comparto tecnologico.
«Sì, in particolare in settori fondamentali per l’economia come trasporti e logistica, sui quali il presidente Xi Jingping ha puntato fin dall’inizio della sua leadership con il piano Made in China 2025. Trump ha danneggiato le realtà produttrici di tecnologia e in più ha posto blocchi alle esportazioni americane per le aziende cinesi, in molti casi dipendenti dalla componentistica occidentale o comunque straniera».
Quale il peso della tecnologia nelle borse cinesi?
«Il Paese non è nel circuito mondiale dei mercati tanto che la Cina soffre solo di rimbalzo di eventuali scossoni sulle piazze mondiali. Dopo la pandemia per esempio le borse di Shangai e Shenzen hanno dato alti tassi d’interesse, tanto che quello cinese è diventato quasi un mercato di rifugio. Ma anche questo ambito dipende dalla volontà del partito: il peso dei tecnologici, che cercano di quotarsi anche in mercati occidentali e asiatici, è alto in rapporto alla bolla che si decide di favorire. Certo con i blocchi e le sanzioni Usa il periodo non sarà felice».
E i rapporti con i vicini asiatici?
«Essendo sempre stata la principale potenza asiatica, con i Paesi dell’area la Cina agisce in modo più muscolare. Obama ha tentato di contenerla ma Trump, al di là delle sanzioni, si è ritirato da quello scenario. Nei tecnologici, poi, in Asia la competizione è più forte che nel resto del mondo, specie con Indonesia, Corea e Taiwan. Una vittoria di Biden può implicare rischi se legata alla scelta di altre alleanze».