sabato, 20 Aprile 2024

Covid-19 e contratti: «Per ristabilire l’equilibrio e tutelarsi le aziende sono obbligate a rivedere forniture e vendite», dice l’avv. Borlasca

Revisioni di contratti esistenti e stipule di nuovi (spesso internazionali) sempre più specifici e dettagliati, per prevenire futuri contenziosi. Il Covid-19 fa balzare in cima alla lista delle priorità delle aziende del settore moda il tema della contrattualistica. Impegnando gli studi legali a capire e a inserire all’interno degli accordi, clausole che tutelino maggiormente aziende, fornitori e clienti.

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«Il settore della moda – ci spiega l’avvocato Michele Borlasca dello Studio Legale Zunarelli e Associati – così come altre industries sia dal lato clienti, sia dal lato fornitori, subisce degli effetti da qualunque evento coinvolga altri Paesi. Questo perché, dal lato fornitori, ad esempio, la supply chain, la gestione della catena di distribuzione, è estremamente complessa».
Spieghiamo meglio
«Prendiamo un oggetto di pelletteria di un brand di lusso: le materie prime provengono da stabilimenti in Indonesia, poi viene lavorato in Toscana, ma assemblato con componenti metalliche prodotte in Cina. A questo punto parte la vendita che avviene attraverso canali diversi, dal franchising a quella diretta, a quella tramite distributori o ingrosso, oltre al canale e-commerce. È dunque di tutta evidenza come una pandemia globale, in cui i singoli governi nazionali hanno adottato differenti misure restrittive e di contenimento, abbia necessariamente influito negli ormai consolidati equilibri sia di approvvigionamento, sia di produzione, sia indubbiamente di vendita».
È per questo che le aziende stanno cercando di inserire nei contratti nuove clausole per tutelarsi? Di che cosa si tratta?
«In questo periodo i giuristi hanno sicuramente approfondito attentamente la “force majeure clause” e la “hardship clause”, clausole volte a definire contrattualmente gli effetti e i correlativi obblighi o diritti che derivano da eventi imprevisti e inevitabili che rendono impossibile la prestazione dovuta dal contratto, ovvero eccessivamente gravosa per una delle parti. Tali clausole mirano a ristabilire l’equilibrio contrattuale e a tutelare le parti».

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Da che cosa le aziende hanno capito di doversi tutelare?
«Il maggiore timore sono le eventuali clausole di esclusiva verso i propri fornitori e, più in generale, la responsabilità per inadempimento. Nel nostro ordinamento, anche in assenza di queste specifiche clausole, esistono degli istituti che possono essere invocati per esonerare la parte dal risarcimento dei danni che dovessero derivare dal proprio inadempimento. Sono la forza maggiore e l’eccessiva onerosità sopravvenuta. Che però trovano applicazione, per esempio per l’eccessiva onerosità, solo qualora sia sopravvenuta e, quindi, in un momento successivo alla stipula del contratto. Dall’altro lato, alcuni ordinamenti giuridici e in particolare quelli di common law tendono a escluderne l’applicazione, o comunque a limitarla fortemente, nel caso in cui le parti non li abbiano espressamente previsti nel contratto».
In pratica oggi servirebbe a poco per inadempimenti derivanti dalla pandemia?
«Per un soggetto che dovesse stipulare un contratto oggi, in caso di impedimenti derivanti dalla pandemia, la norma attuale potrebbe rendere inoperante l’istituto della forza maggiore. Eventuali restrizioni alle attività produttive o commerciali potrebbero infatti non ritenersi quali eventi imprevedibili. Allo stesso modo, qualora il contratto fosse sottoposto esclusivamente a legge straniera, dove le norme hanno una portata più limitata della “forza maggiore” italiana, potrebbe risultare difficile per una parte invocare la forza maggiore qualora tale rimedio non sia contrattualmente disciplinato».
La pandemia ha cambiato le regole?
«Prima del gennaio 2019 risultava estremamente difficile immaginare la situazione che stiamo vivendo: dal blocco delle produzioni alle città deserte. E considerato che il contratto è lo strumento con il quale le parti regolano pro futuro i reciproci obblighi, è chiaro che le clausole stipulate prima del Covid-19 risultino spesso inadeguate e scarsamente tutelanti».
Come consiglio, qual è la clausola più importante da far inserire?
«Dipende dalla parte, da quale è il suo core business e come è sviluppato. Ad ogni modo, la pandemia ci ha insegnato come siano necessarie quelle che consentono di reagire in modo rapido ed efficiente a cambiamenti improvvisi. Si pensi ad esempio all’impresa che fa produrre a conto terzi i propri beni. Se questi ultimi si ritrovano bloccati a causa di norme nazionali, l’azienda deve essere nelle condizioni di poter tempestivamente interrompere il rapporto con tali soggetti e instaurarne uno nuovo con altri che si trovano in Paesi in cui tali misure non ci sono».
Ma gli studi legali in che modo possono cambiare norme già esistenti?
«Possono essere cambiate solamente dal legislatore, gli avvocati tuttavia possono utilizzare l’assetto normativo esistente e gli istituti giuridici dell’ordinamento per creare schemi contrattuali tutelanti per il proprio cliente. È dunque fondamentale conoscere l’azienda, i suoi punti di forza, le sue debolezze e le strategie imprenditoriali che vogliono essere adottate, in modo da poter predisporre un contratto che consenta il conseguimento degli obiettivi di business prefissati».
A livello di nuovi accordi internazionali sarà ancora più difficile?
«La tematica relativa alla forza maggiore, a seguito della pandemia, è stata e continua ad essere oggetto di approfondimento da parte di numerosi organismi internazionali. Ne rappresentano un esempio i principi elaborati dall’istituto per la riunificazione del diritto privato (Unidroit) e quelli della Camera di Commercio internazionale, che seppure abbiano efficacia solo se le relative clausole vengono espressamente inserite o richiamate nei contratti, rappresentano un significativo punto di riferimento nella redazione dei contratti internazionali. Così ad esempio la Camera di Commercio internazionale (ICC) ha recentemente aggiornato la “hardship clause”, e la “force majeure clause”. Ritengo che tali strumenti abbiano indubbiamente il pregio di promuovere l’uso di strumenti contrattuali nei rapporti transnazionali».