martedì, 16 Aprile 2024

I RISCHI DEL TRADING ONLINE: «Può essere come una droga e c’è chi pensa di avere conoscenze superiori a quelle reali»

A improvvisarsi esperti di finanza sul web ci si può bruciare e rischiare di non uscirne indenni. «È un fenomeno in crescita e purtroppo tra i paesi OSCE i risparmiatori italiani sono tra quelli che occupano gli ultimissimi posti come esperti sul tema», dice Gianpaolo Eduardo Barbuzzi, Presidente del Collegio per le controversie finanziarie.

«Per questo i ricorsi finanziari continueranno a crescere nei prossimi 4 o 5 anni, ma confido che si stabilizzeranno e poi diminuiranno grazie alla diffusione di strumenti per aumentare la conoscenza della materia. Si sta ampliando il panorama della casistica e cambiano le motivazioni. Prima il problema era la presenza di compratori di titoli inconsapevoli, soggetti che diventavano praticamente azionisti a loro insaputa. Negli ultimi tempi un grosso problema è un uso non corretto da parte degli intermediari del cosiddetto questionario di profilatura, la carta con cui il risparmiatore dichiara la propria conoscenza del mondo degli investimenti. Spesso i risparmiatori compilano queste carte con poca consapevolezza ma al tempo stesso molti intermediari non rilevano, come dovrebbero, le incongruenze necessarie. Il numero di ricorsi è aumentato circa del 5% e stanno emergendo fenomeni come il trading online».

Ci spieghi meglio i rischi…

«Gli economisti che si occupano di finanza comportamentale parlano di overconfidence. È quando si presume di avere conoscenze superiori a quelle reali. Gli automatismi dei sistemi online allentano i freni inibitori del risparmiatore, che diventa più propenso ad assumere dei rischi anche perché la soglia di attenzione cala. È sufficiente un click, un flag sbagliato o frettoloso. Con i trading online si crea lo stesso effetto di una droga o della ludopatia.
Ci sono persone che fanno decine, se non centinaia, di operazioni al giorno lucrando su margini molto ristretti accantonando a volte profitti per qualche centinaia di euro e altre volte perdendone per migliaia. Si pongono tante questioni che sono tutt’ora in analisi sui comportamenti psicologici dei risparmiatori. E c’è un dato anagrafico importante: i risparmiatori che vengono da noi sono di età avanzata, dai 55 anni in su, talvolta pensionati che decidono di investire della liquidità. Spesso non hanno molta conoscenza né della finanza né degli strumenti digitali. Le loro finalità sono per lo più di tipo conservativo: non vogliono intaccare il capitale e si accontentano di ottenere rendimenti non alti».

E i giovani?

«Sappiamo bene che hanno difficoltà a entrare nel mondo del lavoro, non hanno compensi che consentano loro di ipotizzare anche investimenti di natura finanziaria e quando accade è soprattutto grazie a disponibilità della famiglia. L’aspetto positivo però è che in questo fenomeno è presente una trasformazione sociale. Per le generazioni di età più avanzata si rivolgono a noi ancora i “capi famiglia”, ma nelle nuove generazioni c’è un gap di genere che scompare. Per quanto minoritarie, tra le fasce di investitori fino ai 45 anni c’è un’equiparazione tra uomini e donne, c’è più autonomia finanziaria e consapevolezza. E questo dipende anche dalla possibilità a tutti di accedere alle fonti finanziarie tramite la rete».

Il valore complessivo dei risarcimenti riconosciuti a favore dei risparmiatori cresce più velocemente dei ricorsi (+81,5%): 28,5 milioni di euro nel 2020 a fronte dei 15,7 milioni di euro fatti registrare a consuntivo 2019. È l’inizio di un trend in evoluzione?

«Si è affinato l’uso dello strumento. La media supera i 60.000 euro e siamo comunque competenti fino ai 500.000 euro. Nelle controversie che vediamo, gli investitori hanno a volte una buona propensione al rischio e una esperienza di base. Altre volte hanno importanti disponibilità di liquidità ma non sono esperti e, per questo, si rivolgono a intermediari. Solo che talvolta il rendimento si rivela non in linea o in perdita e ci si ritrova a perdere decine di migliaia di euro».

Il Testo Unico dell’Intermediazione Finanziaria del 1998 è dell’attuale Premier Mario Draghi. Con il suo governo c’è la possibilità di un aggiornamento normativo che possa portare beneficio ai risparmiatori?

«Per adesso non se ne parla in esplicito. Quel testo fu redatto quando Draghi era Direttore Generale del Tesoro, da allora ha subìto mutamenti. Tuttavia l’idea di ripensare le varie norme per renderlo più uniforme può essere utile. Un tema connesso è la presentazione da parte del nuovo Ministro della giustizia Marta Cartabia, in Senato, delle linee guida per la riforma della giustizia civile. Al primo posto della proposta c’è l’idea di l’incrementare l’utilizzo dei sistemi alternativi di risoluzioni delle controversie, esattamente come siamo noi, in maniera tale da ottenere delle pronunce in una sede diversa dalle aule di tribunali. Questo alleggerirebbe il lavoro dei giudici civili».

L’incremento dei ricorsi è un buono o un cattivo segnale?

«Ci sono entrambe le componenti. La situazione perfetta è certamente quella in cui si risolva un conflitto prima di giungere da noi. Ci aspettiamo che nei prossimi anni il trend rimanga in crescita proprio perché ci si potrà rivolgere a noi più agilmente. In Italia ci sono circa 10 milioni di conti titoli, ci arrivano 1800 ricorsi l’anno: non possiamo dire che sul mercato dilaghino i comportamenti di truffe e rapine. Nello stesso tempo siamo convinti che non stiamo ancora intercettando tutti i casi violativi possibili, perché siamo un organo giovane. Vorremmo anche dettare delle regole applicative dalle quali tutti possano imparare».