L’utilizzo del trading online si intensifica o diminuisce a seconda delle fasi economico-finanziarie, scandite da fattori come crisi o oscillazioni delle quotazioni di borsa, esattamente come accade per gli altri canali (sportello bancario, consulenza). «La pandemia è stato un potente volano di ripresa di questa metodologia, che negli ultimi anni aveva subito una contrazione», spiega Andrea Fiorini, autore del libro “Trading e investimenti online” (Hoepli) e titolare di Mediosfera. «A cavallo tra la fine del 2020 e i primi mesi del 2021, alcuni broker online attivi in Italia hanno registrato crescite di eseguiti e di volumi del 50% o più».
Però ci sono dei rischi da non sottovalutare…
«Sì, sono di tre categorie: la prima relativa ai mercati e agli strumenti finanziari su cui si investe, la seconda all’utilizzo degli strumenti informatici e la terza alle competenze e alle conoscenze finanziarie del trader. La prima è comune a tutti i canali d’investimento, perché se mi rivolgo a un consulente indipendente o a uno di una banca, finirò comunque per investire in strumenti finanziari quotati, e ognuno di questi presenta problemi e vantaggi specifici, legati anche al profilo di rischio dell’investitore.
La seconda è legata al fatto che gli strumenti informatici si possono impiantare proprio nei momenti più critici, quindi è necessario attrezzarsi di conseguenza e prevenire eventuali blocchi. La terza, che è la categoria che ha maggiore impatto sui risultati, può essere affrontata studiando a fondo i cinque pilastri del trading online: analisi tecnica, analisi fondamentale (per chi opera sulle azioni), meccanismi di funzionamento dei mercati, meccanismi di funzionamento degli strumenti finanziari, funzionamento delle piattaforme di trading».
Quali sono le possibilità di investimento più vantaggiose?
«Non esiste una risposta univoca a questa domanda e chiunque dicesse il contrario sarebbe un pessimo consulente. Ogni investitore ha un profilo di rischio, un capitale, una situazione famigliare, obiettivi e tempi d’investimento, attitudine al rischio, competenze finanziarie e un portafoglio di investimenti in essere differenti, quindi l’opportunità di investire in azioni, obbligazioni, derivati o bitcoin dipende dalla capacità di esaminare la propria situazione complessiva e dalla diversificazione del rischio che vuole attuare. Quindi studio e auto-analisi sono le due basi almeno per ridurre il rischio di perdite sistematiche. Siamo in un mondo complesso, che deve essere affrontato come tale e non ci sono scorciatoie».
Quali sono i consigli più utili per un risparmiatore che vuole investire per la prima volta parte del suo capitale?
«Studiare costantemente per alcuni mesi, prima di investire. E se non ci si sente sicuri, se non si ha voglia di intraprendere la strada della preparazione, anche solo per interagire in modo consapevole con un consulente, è difficile trovare il consiglio giusto da dare. Quando compro una lavatrice spendo mezz’ora a leggere il libretto d’istruzioni: perché se devo investire migliaia di euro devo farlo con superficialità?».
Come si difendere il proprio capitale?
«Non esiste un investimento privo di rischi. A livello mondiale, i titoli di Stato emessi dagli Stati Uniti sono gli unici convenzionalmente considerati “a rischio zero”, ma in realtà non lo sono perché ogni Stato è potenzialmente soggetto al fallimento. Per difendere il capitale non si deve abbandonarlo su qualche conto ma bisogna seguire
le fasi del mercato, essere pronti a modificare l’investimento quando cambia il vento, diversificare il rischio in modo efficace, sfruttare più canali contemporaneamente».
Le nuove generazioni sono attratte dal trading online o interessa maggiormente le vecchie?
«È un’attività ciclica. Negli Anni ’90 – 2000 la gran parte dei trader aveva un’età media di circa 30 anni, quindi bassa, con un ampio numero di entusiasti ventenni. Tuttavia si trattava di un target solitamente a reddito medio-basso come universitari ed impiegati, con una conoscenza media della finanza. Questa prima ondata di giovani ora è invecchiata e l’età media, dopo vent’anni di trading, si è alzata quasi in proporzione (oggi è di 40 anni circa, il 70% ha tra 35 e 60 anni). Si tratta quindi di ex-giovani che hanno acquisito tanta esperienza, sono sopravvissuti a varie fasi di mercato difficili e che oggi rappresentano lo zoccolo duro del trading. Sono imprenditori, professionisti. Accanto a loro si sta affacciando ora una nuova generazione di trader, più giovani, entusiasti e inesperti e maggiormente interessati a “cose nuove” come CFD e Bitcoin».
Gli investrader saranno gli investitori più diffusi in futuro?
«Quando a fine Anni ’90 l’investitore tradizionale, quello che andava al borsino, ha scoperto i primi servizi di trading online, allora è diventato investrader, cioè ha affiancato al canale tradizionale quello per investire per via telematica e in autonomia. La categoria del trader, come investitore che opera soltanto online, probabilmente non è mai esistita, perché tutti, prima di diventarlo, investivano in BOT o CCT, conti di deposito, azioni o altro. È il mercato che ha creato la categoria del trader, perché inizialmente le società che offrivano servizi di trading, come il pioniere italiano Direct SIM, non prospettavano altro.
Ma le banche online, come sono Fineco, IW Bank, Sella o Webank hanno da sempre considerato gli investitori a tutto tondo, offrendo sia servizi di trading sia d’investimento tradizionale. E quella è stata la loro fortuna. Molte banche tradizionali, ancora oggi, al loro interno, fanno gestire il trading e l’investimento per esempio in fondi, da due divisioni diverse, con budget, strategie e approcci di marketing separato».
Che previsioni fa per il settore?
«Il trading ha avuto varie fasi di sviluppo, anche a strappi. Attualmente il mercato è diviso in due settori. Da una parte i grandi broker online che offrono un servizio completo, sono cinque o sei e rappresentano l’80% del mercato in termini di eseguiti, volumi e numero di clienti; dall’altra, oltre 200 broker online per lo più esteri ma autorizzati da Consob a operare in Italia che offrono solo trading in CFD e Forex, quasi tutti con piattaforma MT4 e poco differenziati nell’offerta.
Nella prima categoria, la tendenza è stata quella di offrire un servizio molto sofisticato attraendo i trader verso tutti gli altri servizi bancari e di credito offerti. Ciò anche perché a livello di normativa bancaria europea, l’attività di trading dei clienti rappresenta un rischio che abbassa le valutazioni circa la qualità delle performance e dell’attività complessiva della banca, senza d’altra parte fornire una redditività adeguata, quindi costringe la banca stessa a coperture collaterali e accantonamenti che altrimenti potrebbe evitare. Insomma, a mio giudizio è soprattutto un’attività di marketing, che serve cioè ad attrarre clientela verso altri servizi e prodotti.
Per i broker esteri, invece, che non sono intermediari puri ma market maker, l’attività è stata in grande sviluppo, ma i rischi che comportano i servizi da loro offerti hanno spinto gli enti di vigilanza europei a limitarne l’attività. Ciò significa che il trend potrebbe essere mantenuto per i prossimi anni, ovvero servizi evoluti per un numero limitato di investrader da parte dei broker tradizionali e progressiva riduzione o trasformazione dei broker esteri in CFD o Forex. In questo trend potrebbero però inserirsi killer application, come sistemi di intelligenza artificiale, elaborazioni quantistiche, nuove normative, consulenza automatizzata o nuovi tipi di investimenti che potrebbero modificare il quadro esistente». ©
Matteo Vittorio Martinasso