Il business della sanificazione funziona. E a dimostrarlo sono i numeri. Per capirlo basta fare un confronto: prima dell’esplosione di Covid-19, questo settore si attestava sui 12 miliardi di fatturato, potendo contare su circa 4.600 aziende con 322.000 dipendenti. A distanza di un anno dall’ingresso del virus nella quotidianità di aziende, enti pubblici e strutture sanitarie, le cifre raccontano una realtà ben diversa. Il comparto della sanifcazione registra 20 miliardi di fatturato con 500.000 addetti.
E se la richiesta aumenta anche lo Stato arriva in aiuto con incentivi per sostenere chi intenda dotarsi di tali dispositivi di protezione. Il Decreto Sostegni-bis riconosce, infatti, «un credito d’imposta in misura pari al 30% delle spese sostenute nei mesi di giugno, luglio e agosto 2021 per la sanificazione degli ambienti e degli strumenti utilizzati e per l’acquisto di dispositivi di protezione individuale e di altri dispositivi atti a garantire la salute dei lavoratori e degli utenti, comprese le spese per la somministrazione dei tamponi per Covid-19, con un limite massimo di spesa pari 60 mila euro per ciascun beneficiario.
Potranno accedere allo sconto gli operatori economici, gli enti non commerciali – compresi quelli del terzo settore e i religiosi civilmente riconosciuti – le strutture ricettive extra-alberghiere a carattere non imprenditoriale. E potrà essere utilizzato dai beneficiari fino all’importo massimo fruibile nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di sostenimento della spesa o in compensazione tramite F24. Per determinare, sulla base delle risorse disponibili, la quota del credito d’imposta effettivamente fruibile dai contribuenti, va presentata una comunicazione in via telematica all’Agenzia delle Entrate, dal 4 ottobre al 4 novembre 2021.
Le spese che possono essere oggetto di beneficio fiscale sono quelle sostenute per la sanificazione e quelle per l’acquisto di strumenti di protezione individuale e, in generale, di strumenti che servano a garantire la salute dei lavoratori e dei clienti. In pratica, costituiscono spese ammissibili: la somministrazione di tamponi diagnostici per il coronavirus Covid-19; l’acquisto e l’eventuale installazione di dispositivi che garantiscano il mantenimento delle distanze di sicurezza tra le persone (ad esempio barriere o distanziatori o altro); l’acquisto di prodotti detergenti, disinfettanti o igienizzanti; l’acquisto di dispositivi di protezione individuale di qualsiasi tipologia purché conformi alla normativa europea in tema di conformità (ad esempio mascherine, guanti, occhiali protettivi, altro); l’acquisto di strumenti e attrezzature che servano a tutelare la sicurezza dei lavoratori e dei clienti, purché conformi alla normativa europea in tema di conformità (ad esempio termometri, distributori di prodotti igienizzanti, altro); la sanificazione degli ambienti di lavoro e degli strumenti utilizzati nell’ambito dell’attività.
Il settore della sanificazione degli ambienti, però, non si è solo trasformato in un business da sostenere, ma è diventato anche un campo di ricerca. Con la pandemia le esigenze del mercato sono cambiate e oggi riuscire a garantire luoghi batteriologicamente sani in ogni tipo di contesto, da quello abitativo a quello lavorativo e di svago, è diventato fondamentale non più solo per il Covid-19. Si è riscoperta l’importanza dell’igiene e delle pulizia nella vita di tutti i giorni. E anche le aziende si sono messe all’opera per studiare e realizzare dispositivi sempre più all’avanguardia e sostenibili.
Tra i vari studi che si stanno portando avanti, c’è sicuramente quello della luce come possibile strumento di sterilizzazione e igienizzazione di ambienti e superfici. Da tempo si conosce il potere antibatterico e antivirale della luce ultravioletta e i LED, così come hanno rivoluzionato il mondo della illuminazione, potrebbero essere una novità estremamente utile anche questo campo. «La disinfezione attraverso l’utilizzo dei raggi UV-C è sicura ed efficace su tutte le superfici e per l’aria dell’ambiente in cui viene utilizzata», spiega Alessandro Pasquali ricercatore, esperto di Li-Fi, che sta per Light Fidelity e fondatore di SLUX, azienda che sviluppa, ingegnerizza e distribuisce soluzioni di comunicazione attraverso la luce.
«Oltre a ciò porta grandi vantaggi ovunque si desideri ridurre al minimo il rischio di infezione con una soluzione pratica, rapida e a basso impatto. Per esempio, noi abbiamo creato Cleaning Ray, uno sterilizzatore che sfrutta appieno le proprietà dei raggi ultravioletti di annientare, smontare e inattivare il DNA di agenti patogeni tra cui anche il SARS COV-2 che causa il Covid-19».
Quindi la luce può essere efficace contro il Covid-19?
«L’efficacia è altissima, nel senso che si può ottenere una sterilizzazione praticamente totale anche in pochi secondi a seconda della distanza di irraggiamento. La sterilizzazione via UV-C è un metodo già ampiamente noto e applicato in campo medicale, per esempio per la sterilizzazione degli attrezzi chirurgici. Quello che abbiamo cercato di fare noi è stato creare un prodotto che potesse essere utilizzato in più ambiti caratterizzato da altrettanta efficacia e sicurezza ma con una maggiore semplicità di utilizzo».
La sanificazione con la luce è un metodo ecologico e sostenibile?
«Assolutamente sì perché parliamo di sistemi di trasmissione che utilizzano solo e soltanto tipologie di onde estremamente compatibili con gli esseri viventi e perché concettualmente si può parlare di “risparmio energetico” grazie alla possibilità di tramettere dati utilizzando la luce naturale visibile. Non si riscontrano problemi neppure dal punto di vista della Compatibilità Elettromagnetica (tema questo di importanza cruciale) e questo ci pone sotto osservazione da parte degli altri Paesi europei».
Facciamo un passo indietro, che cosa significa esattamente Li-Fi, o appunto Light Fidelity?
«Letteralmente significa “fedeltà della luce” ed è una forma di comunicazione bidirezionale che ricorda da vicino il Wireless Fidelity (Wi-Fi). A differenza del WiFi, però è il primo tentativo di utilizzare la luce visibile al posto dello spettro di radiofrequenze classico, che ormai risulta sempre più congestionato. La comunicazione attraverso la luce visibile è molto meno soggetta a interferenze, può fornire velocità di più Gbps e risulta intrinsecamente più sicura (perché i segnali luminosi possono essere contenuti e protetti in un’area fisica ben delimitata). Li-Fi, però è un marchio registrato (privato) e perciò in Slux preferiamo definire il Li-Fi come “applicazione della luce alla fotonica».
Quanto siamo avanti con questa tecnologia in Italia?
«Esiste qualche azienda che sta lavorando per sviluppare queste tecnologie però, rispetto a quanto si sta facendo in altri Paesi europei, non si rileva grande fermento in questo ambito. Io, inventore italiano che si è traferito all’estero, sto cercando di fare del mio meglio per dare un forte contributo allo sviluppo del Li-Fi, ad esempio per quanto riguarda le prestazioni dei segnali di trasmissione, in modo da poter essere in grado di competere con le altre aziende internazionali di tutto il mondo».
Quali sono i Paesi, europei e non, che già la utilizzano e quali sono i risultati?
«Edimburgo, nel Regno Unito, è senza dubbio una città chiave, perché proprio lì è stato coniato il termine Li-Fi. Seguono poi la Francia, dove già ci sono diverse aziende che iniziano a muoversi in questo settore, e la Germania, dove in diversi centri di ricerca stanno facendo esperimenti di ottimizzazione di queste tecniche. C’è però parecchia attenzione su questi temi anche nel resto d’Europa dove ci si sta comunque muovendo, ma meno velocemente, soprattutto su argomenti e tecnologie per lo sviluppo di smart cities e per migliorare la larghezza di banda».
Che cosa richiede per essere utilizzato?
«Come per gli standard dei sistemi radio tradizionali si richiede la presenza di trasmettitori e ricevitori che possono essere anche bidirezionali “full” (per gestire il segnale sia all’andata, sia al ritorno); immaginiamo ad esempio dei “router” che, anziché avere delle antenne per ricevere onde radio abbiano delle estensioni che le possano collegare a sorgenti luminose (come fossero delle finestre da cui entra la luce). Dal punto di vista degli standard di comunicazione, molti protocolli oggi in uso nei sistemi tradizionali possono essere implementati senza problemi anche qui». ©