sabato, 20 Aprile 2024

Piazza Affari, ammissioni in attivo nel 2002-2021

Piazza Affari in attivo negli ultimi vent’anni per quanto riguarda le ammissioni di nuove società. Dal 2002 al 2021, sono 448 i listing, a fronte di 336 delisting. Nel 2021 è stata superata la soglia delle 400 società quotate (407), con un mutamento del mercato azionario più orientato verso le small cap. Al 31.12.2021 in Italia il rapporto fra capitalizzazione di mercato e Pil era del 43,8%.

A rilevarlo è uno studio della Investment Bank Intermonte svolto assieme alla School of Management del Politecnico di Torino, presentato nella sesta edizione annuale dei “Quaderni di ricerca Intermonte”. Questo numero si è concentrato sul fenomeno del listing e delisting, evidenziandone le motivazioni e le strategie alla base, considerandone l’impatto in termini numerici. Ne emerso anche un concetto interessante, quello della Borsa vista anche come “porta girevole”. Ma in genere non paga.

Nonostante l’attivo delle ammissioni – come si legge nel report – resta importante il numero dei delisting, che pesa 55 miliardi negli ultimi 5 anni per la capitalizzazione della Borsa Italiana, mangiandosi quasi un quarto della crescita dei corsi azionari nello stesso periodo. L’analisi ha dimostrato che le matricole sono spesso società in buona crescita del volume d’affari e della marginalità, pure dopo l’ingresso nel listino. In media, contrariamente a quanto riscontrato storicamente, rendono  più dell’indice di mercato (seppure  grazie a pochi casi di imprese). Il fenomeno del delisting, fanno notare i ricercatori, è comunque di portata globale e risente in gran parte della concorrenza del private equity e degli investitori istituzionali, che riescono a drenare al loro interno molto capitale e hanno beneficiato dei bassi tassi d’interesse. Le cancellazioni sono tuttavia ben distribuite in tutto il ventennio  e per la maggioranza dovute ad acquisizioni.

LE PERFORMANCE DEGLI ENTRANTI

Lo studio ha poi indicato la distribuzione e i risultati delle aziende analizzate: le neo quotate sono affidabili sul mercato. 300 le imprese italiane entrate a Piazza Affari dal 2012 al 2021 (63 su listino principale e 237 su EGM, ex AIM Italia). Se guardiamo alla performance operativa di tali imprese, si osserva un aumento del volume d’affari sia prima sia dopo la quotazione; il valore medio del CAGR dei ricavi sul periodo è +12,0% per il listino principale, +23,3% per EGM. Per quanto riguarda la performance di mercato, nell’arco dei dieci anni si osserva un rendimento assoluto mediamente positivo sia per il listino principale (si arriva a +31,7% dopo 3 anni) sia per EGM (+20,0%). Al netto del rendimento dell’indice di mercato, si evidenzia che le matricole di MTA/EXM sui 3 anni successivi rendono in media il 22,6% in più, mentre quelle del listino non regolamentato conseguono un rendimento differenziale pari a +6,2%.

Il risultato è in controtendenza rispetto al passato e riguarda soprattutto le nuove quotazioni sul listino principale dal 2014 in avanti – per le quali si osservano rendimenti medi differenziali a 3 anni positivi rispetto all’indice MIB che vanno dal 5,4% al 72,0% – e quelle sul mercato non regolamentato dal 2018 in avanti – con rendimenti differenziali medi a 3 anni per le quotate nel 2018 pari, ad esempio, a +106,3%. Il rendimento positivo medio è spesso però generato da una minoranza di imprese, che ottengono risultati molto lusinghieri.

DELISTING, I MOTIVI

Il report fornisce poi i dettagli in merito a chi ha abbondonato il mercato. Delle società uscite dalla Borsa, il 29% lo ha fatto in seguito a fallimento, dissesto finanziario o perdita di requisiti, in seguito a performance deludenti. un 30%, invece, fa riferimento a aziende acquisite da soggetti esterni (spesso esteri) con il conseguente ritiro delle azioni dal mercato. In 9 casi si tratta di un gruppo industriale, bancario o assicurativo già quotato su Borsa Italiana. In altri 4 casi l’acquirente è un gruppo italiano non quotato, mentre in ben 23 casi si tratta di un gruppo industriale straniero. Sono 14 i casi di acquisizioni da parte di investitori finanziari, quasi sempre fondi di private equity, per lo più stranieri. Un 14%, invece, è di società ristrutturande. Ossia spesso acquisite da altri gruppi che erano in riorganizzazione. Un ultimo gruppo, pari al 26% del campione, riguarda le cosiddette “pentite”. Ovvero aziende che hanno deciso di abbandonare i listini per decisione interna. Prevedendo performance negative future o per ottenere più spazi di manovra alla luce di nuove strategie.

Guglielmo Manetti, Amministratore Delegato di Intermonte ha commentato in merito all’analisi fatta: «Per le aziende sane la quotazione in Borsa risulta essere un acceleratore della crescita e remunera gli investitori in maniera soddisfacente. Il messaggio finale che ne traiamo è che la quotazione in Borsa rappresenta un vantaggio competitivo di lungo termine. In quest’ottica, utilizzare l’IPO come “porta scorrevole” può essere sì una forte tentazione laddove ci siano condizioni attraenti, ma vanifica numerose opzioni future di sviluppo». Secondo Giancarlo Giudici, Professore ordinario della School of Management del Politecnico di Milano e referente della ricerca: «Dall’indagine emerge l’importanza di analizzare attentamente i modelli di business, mantenere un rapporto costante fra comunità finanziaria e imprenditori, a maggior ragione in tempi di transizione dove le imprese dovranno affrontare trasformazioni interne (come la sfida digitale) ed esterne (i megatrend mondiali) mantenendosi competitive. In poche parole, rimanere quotati molto spesso paga di più nel lungo termine rispetto a strategie più opportunistiche di breve respiro».

Giampiero Cinelli

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Da Pixabay, autore PIX1861