venerdì, 26 Aprile 2024

Guerra e carenza di chip mettono il settore agricolo in ginocchio

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I rincari mettono a dura prova il comparto agricolo. Più di un imprenditore su dieci attraversa una situazione economica critica che lo costringe alla chiusura. Ma c’è di più. A livello nazionale, un terzo si trova costretto a lavorare in una condizione di reddito negativo a causa dell’aumento dei costi di produzione. «Bisogna rivedere la distribuzione del reddito lungo la filiera», dice Cristiano Fini, neo Presidente di Cia-Agricoltori Italiani. «Purtroppo, il settore primario è stato penalizzato da questo punto di vista. Per sostenere il comparto i prezzi devono essere più remunerativi per le imprese agricole. Tutto ciò significa anche prezzi delle materie prime più equi».

Per esempio?

«Il prezzo del grano a 40 euro al quintale, che oggi viene tanto decantato in senso negativo, in realtà è quello a cui dovrebbe essere venduto, per due ragioni: la prima perché l’aumento dei costi delle materie prime ed energetici incide sia nella parte iniziale sia in quella finale della filiera. In secondo luogo, bisogna intervenire per cercare di calmierare tutti i costi, soprattutto quelli energetici evitando speculazioni e cercando di mettere in campo delle fonti alternative e meno costose. Ma c’è un terzo aspetto: bisogna diminuire anche i costi dei fertilizzanti e soprattutto dei mangimi per la zootecnia. Elementi che stanno mettendo in ginocchio filiere, in particolare i comparti zootecnico e ortofrutta, maggiormente penalizzati neill’impennata dei costi che c’è stata nell’ultimo anno e mezzo».

Quanto inciderà la guerra tra Russia e Ucraina sul settore agroalimentare italiano?

«Il conflitto sta gravando pesantemente sul nostro export, in quanto alcuni prodotti del Made in Italy del comparto perdono quote di mercato. Peraltro, un commercio che ha buona marginalità. Inoltre, alcuni prodotti di altri Paesi europei, che trovavano sbocco in Russia e Ucraina, vengono oggi venduti a prezzi bassi, condizionando molto il mercato. Ultimo aspetto: a causa della situazione attuale, si sono ridotte drasticamente le semine di cereali, alterando prezzi e forniture».

Il trasporto su gomma è aumentato del 25%, per quanto riguarda i costi di container e noli marittimi, si oscilla da +400% al +1000%. In generale, secondo il global index Freightos, l’attuale quotazione di un container è pari a 9.700 dollari contro 1.400 dollari di un anno fa. Quanto incidono sulle casse delle imprese?

«Parecchio. È un problema enorme soprattutto per chi esporta all’estero, ma anche sul territorio nazionale ed europeo».

Nel 2022 l’export agroalimentare ha registrato una crescita complessiva del 21,6%. Nella Missione n. 2 del PNRR “Rivoluzione verde e transizione ecologica” e, in particolare, nella Componente 1 “Economia circolare e agricoltura sostenibile” sono stati destinati 5,27 miliardi di euro: basteranno? Quali ricadute avrà a livello occupazionale?

«È una cifra importante che può essere molto utile per il rilancio del settore, in particolare sulla sostenibilità ambientale. È chiaro che questo non sarà sufficiente. Un ruolo importante lo giocano le politiche che saranno messe in campo, non solo con l’obiettivo di rendere le imprese più Green, ma anche per contrastare l’impatto dei cambiamenti climatici che oggi sta fortemente minando la produttività delle aziende».

La Commissione europea chiede all’Italia una drastica correzione di rotta per l’attuazione della Pac. Quali sono le maggiori criticità?

«Sul tema degli eco-schemi e sul settore biologico c’è da fare qualche intervento per migliorarli. Bisogna sottolineare anche che siamo ormai molto avanti con i tempi. Non si può stravolgere l’impianto. Di questo ne siamo consapevoli. Quindi vanno messe in campo delle correzioni definendo le priorità, in base alle osservazioni fatte e intervenire su quelle».

Nel nostro Paese solo l’8,9% delle imprese agricole è gestito da giovani (contro la media Ue dell’11%). In che modo cambiare rotta?

«Favorendo l’accesso al bene terra e al credito. Per quanto riguarda il primo aspetto, mettendo a disposizione i terreni incolti. Mentre, nel secondo, rivedendo gli stardard che utilizza il sistema bancario per favorire i giovani imprenditori agricoli. Bisogna creare un clima di fiducia maggiore nei confronti dell’imprendotoria giovanile, che rappresenta il futuro del nostro settore».

La carenza di chip potrebbe durare fino al 2024. Quanto inciderà in termini economici sul comparto agricolo?

«Moltissimo, anche perché il settore è lanciato verso l’innovazione, quindi, è facile prevedere che si invesirà molto su macchinari più tecnologici collegati anche all’agricoltura 4.0. Il fatto di trovarsi senza chip può costituire un problema per quelle imprese che devono fare investimenti nei prossimi anni».

Il Parco Agrisolare potrebbe dare una mano d’aiuto alle aziende per superare la crisi energetica?

«Sicuramente. Ma non solo possono essere molto utili e importanti per le imprese agricole che utilizzano abbastanza energia, ma possono essere anche una fonte alternativa di reddito per le stesse. È chiaro che bisogna incentivare gli investimenti, soprattutto i fotovoltaici sui tetti, perché rappresentano una risorsa sia per le aziende agricole ma, in generale, per il Paese».

Il valore aggiunto dell’agricoltura italiana, pari a 33 miliardi circa, resta il più elevato dell’Ue. Il sistema agroalimentare, nel suo insieme fa il 15% del PIL. Quali sono le priorità e le battaglie che porterete avanti nei prossimi mesi?

«Innanzitutto, la redistribuzione lungo la filiera e al contrasto dei danni da fauna selvatica, a cui si è aggiunta la PSA (Peste suina africana). È chiaro che bisogna cercare di costruire dei rapporti con cittadini e consumatori per far capire loro da un lato quello che facciamo, quindi in maniera trasparente far vedere che siamo sostenibili da un punto di vista ambientale e del benessere ambientale. Ma anche stringere un patto affinché tutti i costi che noi sosterremo nei prossimi anni con l’obiettivo di essere sempre più Green non siano a carico solo alle imprese agricole, altrimenti non sarebbero sostenibili economicamente, ma che possano essere dei costi di cui se ne faccia carico tutto il sistema. Infine, un’altra battaglia è quella della sensibilizzazione e tutela delle aree interne, tutte quelle aree svantaggiate che hanno più bisogno di sostegno, non solo da un punto di vista economico, ma anche politico e strategico». ©

Mario Catalano

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