venerdì, 19 Aprile 2024

Fatturato, investimenti: quanto rende il business del calcio?

Sommario

Acque agitate nel calcio che vive un momento estremamente critico. Sia dal punto di vista economico, sia sportivo e i risultati deludenti in Europa – eccezion fatta per la vittoria in Conference League della Roma di Mourinho – e la seconda eliminazione consecutiva dai Mondiali, ne sono la dimostrazione.

Dalla crisi pandemica il Sistema Calcio ne è uscito profondamente colpito e le conseguenze del Covid-19 si sono aggiunte ai problemi ormai strutturali: dai conti in rosso, aggravati proprio dall’emergenza sanitaria, passando alla ormai annosa questione delle carenze infrastrutturali, fino allo scarso utilizzo dei giovani nei campionati di vertice e alla decisione di sempre più giocatori di cercare fortuna all’estero.

«I numeri confermano la necessità di avviare un programma di sviluppo sostenibile che parta dalla responsabilità e dalla credibilità», dice il presidente della FIGC Gabriele Gravina riferendosi al ReportCalcio 2022, a cura del Centro Studi FIGC in collaborazione con AREL, Agenzia di Ricerca e Legislazione e PwC Italia.

«L’urgenza non più rinviabile riguarda la messa in sicurezza del calcio professionistico sotto il punto di vista economico-finanziario, poi servono investimenti nei settori giovanili e nelle infrastrutture, assieme all’aumento del numero dei selezionabili per le Nazionali azzurre. Sono queste le priorità su cui si sta concentrando l’iniziativa della Federazione e su cui intendo coinvolgere le componenti federali per trovare le soluzioni più condivise possibili. Alla situazione strutturalmente critica prima del Covid-19 si è aggiunta la carenza di liquidità generata dalla pandemia, non possiamo più rinviare una presa d’atto collettiva su dati onestamente impietosi, dobbiamo lavorare per un risanamento generale e una diversa gestione dei nostri Club».

Ma qual è l’effetto principale della pandemia sul calcio professionistico italiano?

«Enfatizzare le fragilità di un sistema convalescente da lunga data», afferma Federico Mussi, Partner Deals PwC Italia. «A oggi le azioni, seppur tempestive, introdotte dai vari stakeholders e rinforzate dal percorso di trasparenza FIGC, risultano ancora insufficienti. Il Sistema Calcio deve adottare, in tempi rapidi, misure volte a mettere in sicurezza il settore che, nonostante le difficoltà, continua ad attirare capitali e investitori internazionali, a conferma che ha indubbiamente un valore ancora non riflesso nelle risultanze economiche, patrimoniali e finanziarie. Le azioni da implementare dovranno far emergere questo valore inespresso attraverso il contributo di tutti gli attori coinvolti, Istituzioni, FIGC, Lega e Club».

Quali sono le più urgenti

«L’introduzione di modelli e strumenti di sostenibilità economica e finanziaria che promuovano tetti di spesa in linea con la propria capacità di generare flussi di cassa, allineandosi alle analoghe misure studiate dall’UEFA, lo sviluppo infrastrutturale, gli investimenti nei settori giovanili, le opportunità da cogliere offerte dalla digital transformation e dalle strategie di marketing e comunicazione per allargare gli orizzonti e valorizzare le grandi opportunità di crescita».

Il punto focale è la sostenibilità economico-finanziaria. È sotto questo profilo che il calcio presenta dati allarmanti: nei 12 anni prima dell’impatto del Covid-19, dal 2007-08 al 2018-19, il calcio professionistico italiano ha prodotto un “rosso” aggregato pari a circa 4,1 miliardi di euro, all’incirca un milione di euro al giorno. In particolare, il fatturato aggregato dei club di Serie A, B e C ha raggiunto nel pre Covid-19 quasi 3,9 miliardi di euro, con un aumento di 1,5 miliardi rispetto a 12 anni prima, ma quasi il 90% della crescita dei ricavi tra il 2007-2008 e il 2018-2019 è stata utilizzata per coprire l’aumento di stipendi – di calciatori e staff tecnici – e degli ammortamenti/svalutazioni.

L’indebitamento totale ha raggiunto nel 2018-2019, ultimo anno pre pandemia, quasi 4,8 miliardi di euro, circa il doppio rispetto ai 2,4 miliardi registrati nel primo anno analizzato, la stagione 2007/08.

Una crisi “strutturale” che l’emergenza sanitaria non ha fatto che aggravare ulteriormente: la perdita complessiva è passata dai 412 milioni del 2018-2019 agli 878 del 2019-2020, fino agli oltre 1,3 miliardi del 2020-2021. Nel biennio contraddistinto dalla pandemia, il “rosso” aggregato prodotto dal calcio professionistico italiano è stato pari a oltre 2,2 miliardi di euro, mentre a livello finanziario l’indebitamento è salito dai 4,8 miliardi di euro del 2018-2019 ai quasi 5,4 del 2020- 2021.

Un risultato influenzato dagli effetti negativi prodotti dal Covid-19 sulla capacità dei club di generare ricavi, dai costi connessi all’implementazione dei protocolli sanitari, ma anche dal continuo incremento degli stipendi e degli ammortamenti: il costo del lavoro medio tra 2019/2020 e 2020/2021 è stato pari a 2.231 milioni, in aumento del 7,9% rispetto al 2018-2019, mentre gli ammortamenti/svalutazioni sono saliti del 24,5%.

L’impatto del Covid-19 è stato evidente, in particolare per quanto riguarda i ricavi da ingresso stadio. Tra il 2018-2019 e il 2020-2021, il numero complessivo di spettatori presenti negli stadi italiani per competizioni di alto livello è passato da 16,1 milioni a meno di 150mila, mentre gli spettatori potenziali persi ammontano a 23,1milioni, con un impatto in termini di ricavi potenziali da ticketing non realizzati pari a 513,3 milioni di euro.

A fronte di queste criticità, l’obiettivo del percorso di riforme che la FIGC sta sviluppando nelle ultime settimane riguarda necessariamente il tentativo di dare stabilità al calcio professionistico italiano, al fine di valorizzare ulteriormente uno dei principali settori industriali italiani e un asset strategico dell’intero Sistema Paese. A livello fiscale e contributivo, il solo calcio professionistico ha prodotto inoltre nel 2019 un gettito complessivo pari a quasi 1,5 miliardi di euro, dato che equivale a circa il 70% del contributo fiscale generato dall’intero sport italiano.

Complessivamente negli ultimi 14 anni la contribuzione ammonta a circa 15,5 miliardi di euro e, per ogni euro investito dal Governo italiano nel calcio, il Sistema Paese ha ottenuto un ritorno in termini fiscali e previdenziali pari a 18,3 euro.

Il calcio continua inoltre a costituire per distacco il principale sport italiano in termini di interesse: nel 2021 il 55% della popolazione over 18 si è dichiarata interessata a questo sport, un dato superiore a quello della media europea, per un totale pari a circa 27,4 milioni di persone.

Il secondo sport, ovvero il tennis, non supera il 28%. Una delle principali conseguenze della crisi pandemica è stata la diminuzione dei tesseramenti e del livello di attività sportiva: i calciatori tesserati per la FIGC sono diminuiti del 21% tra il 2018- 2019 e il 2020-2021, passando da un milione o poco più a meno di 850mila. L’impatto più significativo ha riguardato il Settore Giovanile e Scolastico: nel 2020-2021 sono andati persi quasi il 30% dei tesserati, in diminuzione di circa 200.000 rispetto al pre Covid-19.

A livello territoriale, l’area Sud e delle Isole ha evidenziato un decremento pari al 37,8%, significativamente superiore rispetto alle altre: il Centro ha perso il 19,8% dei calciatori tesserati, il Nord Ovest il 13,3% e il Nord Est il 12,9%.

Un altro aspetto collegato alla dimensione sportiva messo in luce dal ReportCalcio riguarda la valorizzazione del talento giovanile: da una parte, gli ottimi risultati ottenuti dalle Nazionali giovanili italiane testimoniano il livello qualitativo dei giovani italiani, con quattro recenti finali di Europei Under19 e Under17, un terzo e un quarto posto mondiale Under20 e il raggiungimento dei migliori ranking storici a livello internazionale; l’Italia giovanile rappresenta una delle Nazionali europee che negli ultimi 10-15 anni ha ottenuto il maggior numero di qualificazioni alle fasi finali dei Campionati Europei nelle varie categorie.

Ma, al tempo stesso, è palese che i giovani fatichino a entrare nelle rotazioni del calcio di vertice. Questo crea una dispersione del talento, da chi preferisce cercare fortuna all’estero a chi invece si deve accontentare delle serie minori, dopo aver esordito in Serie A, fino a coloro che invece risultano addirittura svincolati.

L’avvio di un programma di investimento per la realizzazione di una nuova generazione di impianti calcistici nel nostro Paese appare sempre più imprescindibile, al fine di accorciare il sempre crescente gap accumulato con le principali realtà internazionali: negli ultimi 15 anni in Europa sono stati realizzati un totale di 187 nuovi impianti, con un investimento pari a 21,7miliardi di euro; le principali nazioni in termini di nuovi stadi sono Turchia e Polonia, Germania e Russia.

L’Italia con i 5 nuovi stadi inaugurati in questo periodo – quelli di Juventus, Udinese, Frosinone, Albinoleffe e Südtirol –  ha intercettato solo una minima parte di questo potenziale, incidendo per appena l’1% degli investimenti totali prodotti in Europa. Solo nel 12% degli stadi della prima serie professionistica vengono utilizzati impianti con fonti rinnovabili di energia e appena il 7% degli impianti del calcio professionistico italiano non risulta di proprietà pubblica.

Con riferimento ai 12 progetti di realizzazione di nuovi stadi attualmente in fase di pianificazione e/o di effettiva realizzazione, si stima che, dove finalizzati, questi interventi potranno comportare un investimento complessivo di 1,9 miliardi di euro, con un impatto positivo in termini di aumento dell’affluenza degli spettatori e ricavi da ticketing, nonché in termini occupazionali, con la creazione di circa 10mila posti di lavoro.

Alessio Incerti

Linkedin: Alessio Incerti

Twitter: @aleince7

Foto: Unsplash.com

Grafici: ReportCalcio 2022 realizzato da Centro Studi FIGC in collaborazione con AREL (Agenzia di Ricerche e Legislazione) e PwC