Marcia controcorrente rispetto al resto del mondo, il Giappone, scegliendo di mantenere negativi i tassi di interesse. Risultato: yen in picchiata da mesi. Il rincaro di energia, materie prime, generi alimentari importati e di altri beni di prima necessità si ripercuote sui consumatori. E forte è la pressione sulle famiglie. La difficile situazione economica intacca la popolarità del premier nipponico Fumio Kishida, sceso al 29% nei sondaggi. «La debolezza dello yen, pur gravando sul potere d’acquisto delle famiglie, avrà un impatto positivo sull’economia, a patto di evitare fluttuazioni estreme», ha affermato il governatore della Banca centrale giapponese, Haruhiko Kuroda, che insiste sulla prosecuzione della politica monetaria ultra-espansiva condotta dall’istituto di credito. Il 22 settembre, la moneta nipponica è precipitata al livello più basso da 24 anni rispetto al dollaro statunitense. E Governo e Bank of Japan (BOJ) sono intervenuti sul mercato dei cambi per arginare il calo della valuta nazionale. Non succedeva dal 1998, anno della crisi economica asiatica. Lo yen, che prima dell’intervento era precipitato a oltre 145 contro il dollaro, si è rapidamente apprezzato fino a scendere sotto 141 in meno di un’ora. Ma da quel momento, la moneta è scivolata di 1,70 yen rispetto alla valuta USA.
Federal Reserve americana, Banca centrale europea e Banca d’Inghilterra cercano di contenere l’inflazione con programmi di acquisto di asset e aumentando i tassi d’interesse. Ma la Banca di Tokyo segue da molti anni la via opposta. Il Giappone mantiene bassi i tassi di interesse e non mostra segni di volersi discostare dalle sue politiche di allentamento monetario. Una decisione che contribuisce ad ampliare il divario con gli Stati Uniti, accelerando la tendenza a vendere yen e acquistare dollari. «Nel migliore dei casi, questo rallenterà il ritmo del deprezzamento dello yen. Ma la mossa da sola non è in grado di alterare la tendenza di fondo, a meno che il dollaro e i rendimenti del Tesoro USA non scendano o la Bank of Japan non modifichi la sua politica monetaria», ha spiegato Bloomberg. L’inflazione, nel Paese del Sol Levante, ha appena raggiunto il 2,8% (sopra il target del 2% fissato dalla BOJ, e comunque molto più contenuta rispetto agli Stati Uniti e all’Eurozona), ma i banchieri centrali di Tokyo sono convinti che il loro sistema produrrà, a lungo termine, una crescita più duratura e stabile. Lo yen debole è stato a lungo considerato un vantaggio per il Giappone, rendendo più competitive le sue esportazioni sui mercati internazionali. L’attuale scenario globale ha però modificato tale quadro: i benefici della valuta debole appaiono ora limitati a specifiche categorie di esportatori e alle classi di reddito più elevate, mentre la maggior parte dei consumatori e le piccole e medie imprese avvertono il peso del rincaro di energia e materie prime. I prezzi di questi beni stanno crescendo al ritmo più veloce degli ultimi decenni, riducendo i profitti delle imprese che dipendono dalle importazioni. L’aumento del costo dei generi alimentari importati e di altri beni di prima necessità si ripercuotono sui consumatori. Il Giappone sta gradualmente riaprendo le frontiere ai visitatori stranieri, ma per il momento i benefici economici saranno limitati. Poiché è improbabile che la Banca centrale inverta la tendenza a breve termine, il primo ministro Fumio Kishida ha messo a punto una serie di misure di sostegno, tra cui l’aumento dei sussidi per il carburante, per alleviare l’impatto su famiglie e imprese.
La Banca di Tokyo ha reso noto che l’indice dei prezzi alla produzione è cresciuto del 9,7% a settembre, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente: il secondo aumento più grande dal 1981, anno in cui sono diventati disponibili dati comparabili. Si è quindi trattato del diciannovesimo mese consecutivo di incremento anno su anno per l’indice – che rappresenta i prezzi dei beni venduti e acquistati tra società. La valuta più debole ha più che raddoppiato il costo delle merci importate. In base ai dati della Banca centrale, a inizio 2022, dal 20 al 29% dell’aumento dei prezzi all’importazione era attribuibile al calo dello yen. Il rapporto è ora salito a oltre il 50%, a causa dell’ulteriore deprezzamento della moneta. Per le aziende giapponesi, che la utilizzano per acquistare materiali importati e altri prodotti, l’indebolimento è diventato un onere finanziario maggiore rispetto all’aumento effettivo del costo delle risorse. L’indice dei prezzi al consumo, in Giappone, è salito del 2,8% ad agosto su base annua: il più grande incremento degli ultimi 30 anni e 11 mesi, esclusi i periodi interessati dagli aumenti dell’aliquota dell’imposta sui consumi. Secondo gli analisti, le famiglie saranno ulteriormente sotto pressione se questa situazione in cui gli aumenti salariali non riescono a eguagliare quelli dei prezzi dovesse perdurare.
Tra rincaro delle materie prime e svalutazione dello yen, il 1° ottobre i prezzi al consumo di 6.442 prodotti alimentari e bevande sono aumentati, in un solo giorno. È quanto emerso dalla ricerca condotta e pubblicata dall’istituto di analisi finanziaria Teikoku Databank Ltd. «Essendo gran parte dei rialzi relativi ai settori della ristorazione, dei beni di consumo e dei servizi di pubblica utilità, l’impatto principale sarà sulle famiglie», ha sottolineato l’istituto. Nel solo mese di ottobre, il rincaro ha interessato 6.699 prodotti delle 105 principali aziende alimentari. «Un rialzo di una scala mai vista dallo scoppio della bolla economica negli anni Ottanta», ha commentato Teikoku Databank. Secondo le proiezioni dell’istituto, saranno oltre 20 mila i prodotti di consumo a subire aumenti entro la fine del 2022. E questo, naturalmente, avrà effetti diretti sul costo medio della vita, che per ogni famiglia salirà di almeno 5.730 yen al mese (circa 40 euro). Da un sondaggio telefonico effettuato dall’agenzia di stampa Kyodo emerge che il 64% dei cittadini giapponesi è insoddisfatto della risposta del Governo al problema. Il 77,3% afferma che il rincaro di generi alimentari e altri beni di prima necessità abbia avuto ricadute sulla propria quotidianità. E il 71,3% ritiene il costo della vita una questione capace di intaccare il proprio giudizio sull’esecutivo. Naturalmente, le famiglie giapponesi hanno cominciato a spendere di meno. Il dato più significativo riguarda il mese di aprile scorso, che ha fatto registrare un calo dell’1,7% annuo. Una flessione, superiore alle previsioni degli economisti, legata al primo impatto dell’aumento dei prezzi dell’energia sull’inflazione al consumo e a un calo della fiducia dei consumatori. A causa dell’inflazione, i salari reali dei giapponesi sono scesi ad aprile dell’1,2% su base annua, il dato peggiore da dicembre 2021. E allora, cosa aspettarci per i prossimi mesi? L’andamento dell’economia nel quarto trimestre risentirà quasi certamente della settima ondata pandemica, che ha colpito il Giappone dal mese di luglio, e del continuo rialzo dei prezzi di energia e materie prime a livello globale. Il 42% circa delle grandi imprese del Sol Levante si aspetta un rallentamento nell’arco dei prossimi 12 mesi, per effetto dell’inflazione: è quanto emerge da un sondaggio – che ha coinvolto 114 compagnie, incluse Toyota Motor Corp. e SoftBank Group Corp. – effettuato nel mese di agosto dall’agenzia di stampa Kyodo. La percentuale di aziende che prevedono un rafforzamento della traiettoria di crescita economica è calata al 55% dal 90% dello scorso anno. L’Ufficio di gabinetto giapponese ha dovuto rivedere al ribasso le previsioni di crescita per l’anno fiscale corrente: dalla stima del 3,2% del PIL, formulata a gennaio, al 2%. Quanto all’inflazione al consumo, i pronostici la davano allo 0,9%. «L’aumento dei prezzi è un rischio per la ripresa economica dalla pandemia di Covid-19», ha ammesso il primo ministro giapponese, Fumio Kishida. ©