giovedì, 25 Aprile 2024

Ristorazione: 2022 anno della ripartenza, ma non per tutti

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ristorazione

l ristorante non si rinuncia. Nemmeno a fronte di bollette alle stelle e inflazione. E, infatti, il 2022 seppure caratterizzato dal rincaro della materia energetica con il conseguente aumento dei prezzi in menu per il 36,9% dei ristoratori, fornisce segnali incoraggianti di ripartenza per un mercato in fase di assestamento e riorganizzazione. 

«Tanti duri colpi, ma nessuno da KO, o almeno non per tutti» dice Lorenzo Ferrari, presidente dell’Osservatorio Ristorazione. 

«Nell’anno della pandemia ISMEA (l’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) ha divulgato due risultati per stimare la diminuzione della spesa alimentare fuori casa: uno più pessimistico, -42% (pari a -34 miliardi di euro persi rispetto al 2019) e uno al più «ottimistico», le doppie virgolette sono d’obbligo, -34% pari a -29 miliardi di euro rispetto al 2019.  Come si vede, entrambi i dati hanno dipinto uno scenario disastroso per tutto il settore, specialmente se paragonato con la perdita di PIL italiano, stimato intorno al -8,8%, che però non ci ha tolto la voglia di ripartire. E chi era pronto a farlo, aziende strutturate e solide, lo ha già fatto». 

A fotografare la ristorazione e a delinearne i prossimi scenari è il Rapporto 2022 dell’Osservatorio Ristorazione, realizzato elaborando dati provenienti da diverse fonti, tra le quali gli istituti di ricerca ISTAT e Censis, le associazioni di categoria FIPE e Federalberghi, Wearesocial, le banche dati di Infocamere e la web app Plateform. 

La ristorazione tiene, ma se c’è qualità

Con il rincaro dei prezzi e la situazione economica del Paese non rosea, sembra che l’utente abbia cambiato la modalità di andare al ristorante. Ovvero va meno, ma in un posto di qualità. Succede davvero così, secondo lei? 

«È una generalizzazione e una banalizzazione del fenomeno. I prezzi al consumo per i clienti finali variano di pochi euro su conti da decine di euro. Per fare un esempio: se prima in pizzeria il coperto medio era di 15 euro, oggi è di 16-17. Può arrivare a 18-19 euro a voler esagerare, ma in pochissimi casi limiti. Un cambiamento praticamente ininfluente sul conto finale, ma che fa tutta la differenza per le casse e i conti di un’attività, che con quel piccolo incremento riuscirà a coprire parte dei rincari e pagare stipendi, fornitori e remumerare il rischio che si assume. Questo piccolo aumento di prezzo non influirà, almeno per la maggior parte degli italiani, sul numero di volte che frequenteranno i ristoranti».

Analizzando i risultati dei sondaggi Plateform sulle abitudini dei clienti dei ristoranti, emerge che 9 clienti su 100 frequentano abitudinariamente gli stessi ristoranti, mentre il restante 91% non si fidelizza e vuole fare nuove esperienze. Quello italiano, quindi è un popolo non solo in cerca di nuovi stimoli, ma anche abituato a spostarsi per vivere esperienze gastronomiche: il 33,72% frequenta locali della medesima provincia, ma non nelle immediate vicinanze di casa, il 19,72% cambia regione e il 7,52 proviene da un altro Paese, quindi solo 4 clienti su 10 vivono in prossimità dei ristoranti provati. 

Il 33,5% sceglie di frequentare il locale in coppia, il 30,6% con amici, il 28,9% con famiglia, il 3,7% con colleghi o per motivi lavoro, mentre il 2% si presenta al tavolo senza accompagnamento. Quanto al processo di scoperta e scelta del locale, le elaborazioni Plateform sottolineano come il 46,13% dei clienti arrivi dal passaparola, il 14,85% da Google, il 13,13% dal passaggio davanti all’insegna, il 10,97% da TripAdvisor, il 7,76% da Instagram e il 7,14 da Facebook. In altre parole, il 40,72% dei clienti scopre il locale online, affidandosi più a Google che a TripAdvisor, dato per la prima volta in controtendenza rispetto agli anni precedenti.

Imprese attive: più di 99mila sono al femminile

Tornando alle imprese di ristorazione in Italia oggi esiste un’attività ogni 166,6 abitanti. Le realtà attive dotate di cucina nel 2021 sono 196.031, 140.213 quelle senza cucina, come bar e caffetterie, mentre si contano 4.366 attività tra mense e catering. Delle aziende attive, 99.402 sono imprese al femminile, ovvero con partecipazione di donne superiore al 50% e 44.119 quelle gestite o partecipate da stranieri. I dati della spesa alimentare fuori casa del 2021 sono incoraggianti, 63 miliardi di euro, ma comunque lontani dal picco di 86 miliardi registrato nel 2019.

In questo scenario, secondo le elaborazioni dell’Osservatorio su dati Movimprese di Infocamere, il 2021 è stato protagonista di due record amari: le iscrizioni di nuove attività in ristorazione sono state 8942, il numero più basso della storia recente italiana, così come il saldo tra iscrizioni e cessazioni, -14.188. Nel 2021, per la prima volta, sono diminuite le attività ristorative registrate rispetto all’anno precedente, invertendo un trend di crescita che perdurava da oltre 10 anni, con 396.993 unità rispetto alle 397.700 del 2020, ovvero -707 imprese. Si registra anche la pressoché mancata crescita nel corso del 2021 delle aziende attive nel settore, arrivate a 340.610, solo +46 (+0,01%) rispetto al 2020. 

Cresce il delivery

Nello stesso anno, però, il mercato dell’online food delivery è aumentato del 15,3%, le prenotazioni online sono raddoppiate e nel 40% dei casi i clienti scoprono il locale via web, a testimonianza del cambiamento epocale che la tecnologia sta rappresentando per il settore.

«Questo dato positivo, però, non significa affatto che la perdita dei clienti in presenza sia stata compensata con delivery e take-away. Al massimo è stata mitigata dagli stessi, ma per importi irrisori. Ciò non toglie niente al fatto che la digitalizzazione sia una priorità e sia necessario non solo implementarla, ma persino darla per scontata. Mentre il mondo parla di blockchain e web 3.0 noi stiamo ancora interrogandoci se abbia senso prendere le prenotazioni online o meno, se essere sui social network o se ottimizzare per mobile i nostri siti web. È un paradosso: i clienti danno per scontato tutti questi aspetti. E noi dobbiamo fare altrettanto, perché la digitalizzazione non è il tema del “domani” della ristorazione, ma è il presente, è l’oggi, se non l’“ieri” del settore. Lo strumento del futuro dal mio punto di vista si chiama CRM, un acronimo che sta per Customer Relationship Management. Si tratta di quell’insieme di strategie tecniche e strumenti che gestiscono la relazione con i clienti finali. Un database di dati, informazioni e preferenze dei nostri clienti che ci permette di costruire su di loro esperienze personalizzate e sartoriali. Di fatto,  significa automatizzare, ottimizzare e personalizzare l’esperienza del cliente all’interno del ristorante. Per me il futuro è lì». 

Le chiusure delle attività

La diminuzione delle attività non ha investito le grandi città italiane con lo stesso impatto: Roma è la grande sconfitta del 2021, con 8 attività su 100 che hanno chiuso battenti, passando da 34.200 a 31.359 (-2.841). Decrescono anche a Milano e Torino, seppure marginalmente, con rispettivamente -0,6% e -0,4%, mentre il numero cresce a Napoli (19.765 nuove attività registrate, +2,5%) e a Palermo (5.840, +3,3%). Rimane pressoché stabile Firenze, dove la quantità di nuove registrazioni si attesta attorno alle 6.800 unità da 3 anni.

«Se da un lato questi numeri sono normali assestamenti di un mercato fin troppo affollato, dall’altro sottolineano la differenza marcata di competenze e liquidità presente tra gli imprenditori del settore. Nel biennio caratterizzato dalla pandemia sono sopravvissute o hanno addirittura prosperato quelle realtà che hanno saputo riorganizzarsi tempestivamente, rimboccandosi le maniche tra nuovi modelli di business, produzione di sala e cucina ottimizzata e processi di fidelizzazione dei clienti. Sono invece spariti molti dei locali che vivevano di solo passaggio, soprattutto turistico, senza badare particolarmente alla qualità del servizio e di modelli anacronistici privi di qualsivoglia forma di digitalizzazione».

Occupazione: nessuno vuole lavorare nella ristorazione

Parliamo di occupazione. Quella appena trascorsa è stata l’estate in cui tutti i titolari di ristoranti si sono lamentati della mancanza di personale. Ma è stato davvero così?

«La mancanza di personale è reale. Le cause sono diverse e complesse, ma il riassunto di tutto è che nessuno vuole più lavorare in ristorazione. Lo dimostra il progressivo abbandono delle scuole alberghiere, il clima di sfiducia che regna nei confronti del settore ristorativo e il fatto che chiunque cerchi personale e non lo trovi. Come si risolve il problema? Prendendo consapevolezza che i ristoranti sono aziende. E come tali, hanno il dovere di offrire ai dipendenti un’esperienza memorabile esattamente come la offrono ai clienti. Il mio consiglio è di creare piani carriera, piani di formazione, un progetto di incentivi al merito e all’impegno e, in generale,  rendendosi attrattivi per i talenti migliori sul mercato, offrendo figure professionali più consone alle competenze e alle aspirazioni dei nativi digitali e ridisegnando orari e modalità di lavoro. Lo stesso contratto nazionale andrebbe rivisto per stimolare l’appeal del mondo ristorativo».

Le poche iscrizioni alle scuole alberghiere sono un un vero problema: il 2021/2022 ha visto iscriversi solo 34.015 giovanissimi aspiranti operatori del settore, ovvero il -47,1% rispetto all’anno in cui le iscrizioni sono state il numero più alto ovvero il 2014/2015, con 64.296 nuovi studenti.

Secondo l’Osservatorio, questa fuga di capitale umano dal settore, definita a livello internazionale “The Great Resignation”, è frutto di una complessa concomitanza di cause, riassumibili nella disillusione rispetto al modello di ristorazione “patinato” raccontato dai media e dalla stessa categoria, che raramente corrisponde a realtà. 

Ma anche nella tendenza di Millennials e GenZ (i nati tra il 1997 e il 2012) ad abbandonare il posto fisso per avviare attività in proprio, complice la nascita di nuove professioni in grado di ottenere risultati migliori in meno tempo. E, ancora, nella diffusione ancora capillare di contratti capestro, condizioni lavorative alienanti e ritmi faticosi. 

Torniamo in pratica al tema della digitalizzazione che, come si vede, è fondamentale anche per questo settore. C’è da dire che il biennio 2020-2021 ha fatto balzare in avanti il processo di almeno dieci anni. Sono stati infatti introdotti su larga scala: pagamenti cashless, menu digitali, sistemi di prenotazione online e di gestione delivery o take away, self-ordering, app per gestire i turni del personale, la fatturazione e i rapporti con i fornitori. 

Con la pandemia e con il boom della food delivery, mercato che vale oggi 1,17 miliardi di euro, nel 2021 sono stati 13,21 milioni gli italiani che hanno ordinato a domicilio utilizzando le piattaforme, +15,3% (+1,8 milioni) sul 2020. 

Questo ampio ricorso alle tecnologie disponibili, secondo i dati Plateform, ha lasciato un segno profondo non solo in cucina e in sala, ma anche nelle abitudini dei clienti: le prenotazioni online sono più che raddoppiate rispetto al periodo pre-pandemico, al punto che oggi il 39,1% delle stesse avviene via web. Detto questo lo strumento più utilizzato per assicurarsi un tavolo in un locale resta ancora la telefonata. In conclusione, appare chiaro che lo stato di salute della ristorazione rispecchierà il potere di acquisto in Italia, dove è previsto un aumento progressivo delle disuguaglianze sociali ed economiche. Ciò comporta che una piccola, ma crescente porzione di utenti avrà accesso alla fascia di lusso; una ampia, ma in decrescita, continuerà ad accedere alla fascia media, mentre un grande e sempre più crescente numero di persone alla fascia accessibile. A partire dal 2022 e per il prossimo lustro, si conferma quindi il trend di aumento dei locali “accessible convenience”, ovvero accessibili a tutti e scelti prevalentemente per necessità, e degli “accessible cool”, accessibili ai più e dotati di una percezione positiva. 

«La ristorazione è vissuta sempre più come un’esperienza e non come un bene di prima necessità. Chi saprà interpretare al meglio questo concetto, sarà protagonista della ripartenza del settore nel 2022 e negli anni a venire».©