sabato, 20 Aprile 2024

Influencer, il business vola: chi ci guadagna davvero?

Sommario
Influencer

Prende il volo anche in Italia la creator economy, la produzione di contenuti per Internet e social, che nel mondo vale già oltre 104 miliardi di dollari, con oltre 300 milioni di creator attivi. Nel nostro Paese, si aggira intorno a 1,5 miliardi di euro, con oltre 350mila creator e con una crescita esponenziale del 20% all’anno. Un settore in pieno fermento caratterizzato dalla figura degli influencer, capaci di interpretare meglio e più velocemente di altri lo spirito del tempo digitale e i cambiamenti delle esigenze delle persone. La loro caratteristica non è soltanto quella di amplificare messaggi in rete, ma soprattutto produrre contenuti originali (monetizzabili per la maggior parte) secondo il proprio stile.

I guadagni di un influencer

Un influencer alle prime armi può guadagnare fino a 250€ per ogni post pubblicato. Cifra che può arrivare anche a 15.000€ a post per un influencer vip che viene denominato nel mondo Celebrity. I prezzi di vendita dei post possono variare molto dal tipo di piattaforma in cui vengono pubblicati. In questo caso, i costi crescono se a pubblicare il post si è su Tiktok, piuttosto che su Instagram o su YouTube. Proprio sulla piattaforma cinese le cifre sono astronomiche, con post che possono essere pagati fino a 60 mila euro.

I più ricchi influencer nazionali sono: Khaby Lame, che con 79 milioni di follower su Instagram e 143 milioni su TikTok, può arrivare a guadagnare 706 milioni di euro a post. Seguono Chiara Ferragni con 28 milioni di follower su Instagram e Gianluca Vacchi con 23 milioni. La Ferragni può guadagnare fino a 77.000 € a post, mentre Vacchi si ferma, si fa per dire, a 70.000 €

La mancanza di tutele in Italia

Quindi, pur essendo una figura professionale a tutti gli effetti, in Italia non è tutelata abbastanza.

«La mancanza del codice Ateco, ovvero non essere identificati come un’attività economica, si sente e comporta diverse problematiche. Faccio un esempio: la non erogazione di ammortizzatori sociali, in situazioni di difficoltà come è successo con il Covid-19», dice Jacopo Ierussi, fondatore di Assoinfuencer, Il Sindacato di rappresentanza di Influencer e Digital Creator.

«La creator economy è quel settore di mercato che è riconducibile a tutto ciò che concerne la realizzazione di contenuti di carattere digitale, di varie tipologie, che hanno la finalità di andare a incentivare altri ambiti dell’economia. Quindi, tramite le attività di carattere pubblicitario o sponsorizzazioni. Dagli stakeholders di questo settore vengono sempre visti solamente i creator, che sono poi le menti e le facce che si prestano a quest’ambito.

Ma ci sono altre realtà che ruotano all’interno di questo settore di mercato, che è molto sviluppato e che comprende per esempio anche le talent Agency, le società di comunicazione e tutta una serie di professionalità».

«Quello del creator è un lavoro che genera lavoro. Però, ci sono tantissimi altri ambiti di questo tipo che potrei citare, come il creator imprenditore di sé stesso. Anche in questo caso, c’è una serie di professionalità correlate che lavorano per esempio su Twitch (piattaforma di streaming di proprietà di Amazon). C’è l’attività di montaggio di grafica, magari anche di ricerca di quelle che sono informazioni, tipo la rassegna stampa, insomma c’è veramente un mondo. Questo settore ha tantissime sfaccettature».

La creator economy viene strangolata dall’assenza di tutele

In che modo la mancanza di tutele danneggia questo settore?

«Intanto perché non lo va a incentivare. Quando non ci sono regole chiare bisogna imparare sul campo. E in un settore così nuovo, che è molto attrattivo per i giovani a livello professionale, sicuramente questa falla non semplifica le cose. Soprattutto dal lato fiscale, oggi ci sono molti dubbi e preoccupazioni su come gestire quelle che sono attività che hanno diverse fonti di guadagno. Per intenderci, un creator lavora magari su Twitch o su YouTube; quindi, riceve una parte della propria monetizzazione, che arriva dalle piattaforme, poi però fa delle sponsorizzazioni con un’azienda terza».

«Queste attività di lucro derivano però da fonti diverse e quindi vanno trattate secondo parametri diversi, che però oggi gli operatori del settore hanno dovuto imparare a conoscere da soli. E non è tutto: manca il codice Ateco. Come dicevo, noi lo abbiamo chiesto, visto che non è altro che una forma di riconoscimento indiretto di questa categoria. Perché se manca questo nel mondo della creator economy, il settore non viene visto come una professione a 360 gradi e questo può portare all’abuso di quello che è il diritto di immagine dei creator».

«Faccio un esempio: io partecipo a un evento, l’organizzazione mi inserisce nel programma, ma poi non utilizza la mia immagine sui cartelloni pubblicitari per promuovere la fiera, perché quelli sono accordi separati. Col fatto che la figura del creator viene vista ancora in maniera sfumata, il risultato è che non viene trattato con lo stesso rispetto che si ha per altri ambiti vicini, come quello dello star system. Intendo dire che è un sistema che non viene supportato. Tanto che non sappiamo nemmeno la reale grandezza di questo mercato, perché non abbiamo dati ufficiali».

Come si potrebbero ottenere?

«Sempre tramite il sistema del codice Ateco. Durante l’ultimo convegno che abbiamo tenuto in Confcommercio, i dati hanno detto espressamente che le professioni non ordinistiche, cioè quelle che non hanno un albo di riferimento, in 12 anni sono raddoppiate».

La figura dell’influencer in Italia

L’aspetto fiscale come viene gestito?

«Ci si affida a consulenti bravi, a patto di trovarli, che conoscono questo settore e che devono saper consigliare bene un giovane professionista. Cosa non scontata perché non è un ambito in cui tutti hanno esperienza, bisogna sempre sperare di mettersi nelle mani di qualcuno che conosca la gestione di tutti gli adempimenti per quanto riguarda YouTube e il mondo social. Insomma, non è facile».

Indicativamente, quanti influencer ci sono in Italia e quanto capitalizza questo mercato?

«Non si riesce a dare un dato effettivo, perché quelli di cui siamo in possesso derivano sì da sondaggi, ma la popolazione di riferimento non è abbastanza ampia. Per questo non possiamo definirli ufficiali».

I nostri influencer come si collocano a livello globale?

«Siamo apprezzati. Oggi ci sono realtà molto varie nel nostro Paese e creator a mio avviso che realizzano contenuti di spessore».

In Italia il mondo degli influencer è generalmente in linea con quello internazionale. A farla da padrona in questo caso c’è sempre il mondo del Fashion e del Beauty che occupa un terzo del mercato totale, con una percentuale che supera il 30%. A seguire c’è quello dei viaggi e del Cibo, cioè il cosiddetto ‘’Lifestyle’’ che prende il 18%. E poi ancora un 15% che viene invece catturato dalla categoria del Fitness e del Benessere. A seguire poi ci sono i vari settori del Gaming e della Tecnologia con il 10% e in ultima il Business con l’Economia che copre invece il 6%.

Come si diventa influencer?

«Bisogna imparare tutta una serie di tecniche, avere un talento artistico, sviluppare un piano editoriale, insomma sono tantissime le capacità che si devono acquisire. Molti pensano che gli influencer accendano una webcam e poi che finisca tutto lì, ma non è così. Bisogna avere la consapevolezza che in realtà è una professione che richiede tutta una serie di competenze tecniche specifiche».

Il sindacato che tutela gli influencer

Come Assoinfluencer, cosa avete fatto per sostenere la professione?

«Tra le prime cose che siamo riusciti a ottenere c’è stato l’inserimento del creator nell’elenco del Ministero dello Sviluppo economico. Grazie al quale, siamo ora in grado di attestare che questa figura rientra all’interno di determinati parametri utilizzati, tramite attestazioni, anche per i concorsi pubblici. Infatti, attraverso la legge 4 2013, adesso è un’attività che viene riconosciuta all’interno della Pubblica Amministrazione».

Come funziona il tesseramento al sindacato e quali tutele vengono offerte?

«Per quanto riguarda i creator, tutti quelli che entrano a far parte di Assoinfluencer hanno la possibilità di ricevere una serie di servizi, che vanno dalla tutela legale e fiscale a sconti su varie attività. Poi abbiamo, ad esempio, la prima assicurazione in Italia che tutela l’attività di un content creator compreso il “ban” (cancellazione dell’account, ndr) illegittimo e ingiustificato da parte di una piattaforma social media».

Oltre a questo, da che tipo di rischi ci si dovrebbe assicurare?

«Sicuramente la malattia, che ovviamente non permette di svolgere l’attività professionale. Insomma, tutti i rischi che si possono verificare per un professionista qualsiasi».

L’evoluzione del content creator

Cosa si nasconde dietro il successo degli influencer nel marketing e come vede evolversi questa figura?

«Diciamo che, in generale, è la capacità di saper comunicare alle nuove generazioni, la loro forza primaria. Dopodiché, sicuramente, c’è il fatto di utilizzare nuovi canali e la consapevolezza di saperlo fare. Da un certo punto di vista hanno l’ambizione di superare, se non l’hanno già fatto, quello che è il broadcasting tradizionale. In sostanza, un creator è in grado di prendere un’attività e promuoverne il brand, portandolo a una crescita esponenziale attraverso Internet e trasformando una realtà da locale a nazionale». 

La figura dell’influencer è centrale nelle strategie marketing delle grandi multinazionali che desiderano penetrare maggiormente nel loro mercato di riferimento.

A livello globale, sulla base delle tendenze in atto, si prevede che il valore delle vendite attraverso piattaforme social raggiungerà i 958 miliardi di dollari quest’anno, fino a toccare i 2,9 trilioni entro il 2026. La crescita su base annua è circa il 30,8%, cosa che porterà nel 2025 il social commerce a valere il 17% di tutto il giro d’affari relativo all’e-commerce. Tra i mercati esteri più ricettivi in questo senso troviamo in prima posizione la Cina, Paese in cui un utente su due ha fatto almeno un acquisto sui social. A seguire ci sono gli Usa, con oltre 51 miliardi di dollari di vendite via social nel 2021, corrispondenti a una quota di mercato globale di quasi il 7%.

Esistono altre associazioni di categoria in Europa e nel mondo?

«In Europa, allo stato attuale, noi siamo in prima linea. In America c’è l’American influencer Council, con cui attualmente stiamo dialogando». ©

Laureato in Economia, Diritto e Finanza d’impresa presso l’Insubria di Varese, dopo un'esperienza come consulente creditizio ed un anno trascorso a Londra, decido di dedicarmi totalmente alla mia passione: rendere la finanza semplice ed accessibile a tutti. Per Il Bollettino, oltre a gestire la rubrica “l’esperto risponde”, scrivo di finanza, crypto, energia e sostenibilità. [email protected]