L’UE taglia le emissioni, ma gli Stati membri si muovono ancora in ordine sparso. Mentre la Germania rinuncia al nucleare, la Finlandia apre il reattore più grande d’Europa. Oltre all’aspetto ecologico, queste scelte pesano anche dal punto di vista economico: un’Unione “Fit for 55%” è competitiva?
Risultati sulle emissioni in Europa
Nel 2022 le emissioni sono scese del 2,5% nel Vecchio Continente, mentre nel mondo sono salite dell’1%. Il Consiglio europeo ha poi approvato gli atti legislativi chiave per i progetti di taglio a breve termine, riassunti nello slogan “Fit for 55%”, che fa riferimento alla riduzione del 55% delle emissioni rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030.
Una delle strategie attuate sarà la riforma del sistema di scambio dei certificati ETS. Oltre a obiettivi più ambiziosi, anche il trasporto marittimo sarà incluso nel sistema, mentre gli edifici e il trasporto su gomma ne avranno uno separato. Ci sarà inoltre una graduale riduzione delle quote gratuite, fino alla loro eliminazione, prospettiva che preoccupa principalmente le compagnie aeree.
Il problema della competitività
All’apparenza tutto sembra funzionare perfettamente, ma basta guardare un poco più da vicino per accorgersi che gli Stati membri non hanno una direzione comune. Mentre la Germania abbandona il suo piano nucleare spegnendo l’ultima centrale, la Finlandia apre il reattore più grande d’Europa.
Esistono quindi due strade, quella con e senza nucleare, che hanno problemi diversi ma una stessa prospettiva: non essere abbastanza competitive.
Il nucleare sembra la fonte perfetta. Emissioni prossime allo zero, una produzione che si adatta facilmente ai bisogni della rete, problemi ambientali in gran parte superati, scorie incluse. Ma oltre ad avere una pessima fama, l’atomo ha un’altra ombra: il costo. Anche se calcolare esattamente il prezzo dell’energia per fonte è complicato, il responso di vari studi è unanime: l’elettricità prodotta dai reattori costa di più di quella generata da carbone, petrolio o metano.
Solare ed eolico non hanno questo problema. Se un chilowatt prodotto con un reattore costa circa 7.000 dollari, con il carbone 4000 e con il metano 2000, queste due fonti restano sotto i 1500. Ma sole e vento non sono prevedibili e per questo motivo non posso garantire energia alla rete da soli. Un progetto del genere richiederebbe batterie fuori dalle capacità tecnologiche attuali.
L’altra opzione per lo stoccaggio è l’idrogeno verde, ma anche quello risulta problematico. Uno studio australiano del 2021 ha rivelato che, anche se in teoria produce un quarto delle emissioni rispetto a quello grigio o blu, in condizioni realistiche è proprio l’instabilità della fornitura elettrica dei pannelli solari a far aumentare le emissioni a livelli comparabili a quelle prodotte dai processi che utilizzano combustibili fossili (Palmer et al., Energy Environ. Sci., 2021,14, 5113-5131).
Proprio l’H2 sembra però la strada imboccata dall’Unione, come dimostra il progetto della Hydrogen Bank. Secondo la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, bisogna: «Creare un market maker per l’H2, in grado di colmare l’attuale gap in termini di investimenti e di connettere domanda e offerta». L’UE deve quindi trovare un mix energetico che le permetta di azzerare le proprie emissioni rimanendo competitiva. Una prospettiva che, al momento, sembra lontana dal realizzarsi.