Sul mondo immobiliare torna la bufera. Questa volta la casa di paglia sembra essere quella dell’edilizia commerciale, messa a rischio dagli effetti del post-pandemia e dai rialzi dei tassi. E il ricordo degli investitori va subito alla crisi del 2008, originatasi proprio dai mutui immobiliari. Ma sono timori immotivati o c’è un rischio concreto per il sistema?
Le banche regionali USA di fronte al rischio
Dopo le folate dell’ultimo periodo, parrebbe che per le banche americane la tempesta non si sia ancora placata. A quanto pare, gli immobili commerciali rappresentano un nuovo fattore di rischio nelle casse degli istituti di credito USA. Come hanno affermato gli analisti della Federal Reserve nel Financial Stability Report di maggio, «il passaggio a soluzioni di lavoro da casa in molti settori ha ridotto drammaticamente la domanda di spazi di ufficio». La diffusione di smart working e soluzioni ibride ha rallentato il mercato, diminuendo la quotazione media dei canoni di locazione. Nel frattempo, però, i rialzi dei tassi non lasciano tregua (negli USA sono al 5,25%, contro praticamente 0% prima della pandemia) e mettono in seria difficoltà i debitori, man mano che i mutui vengono rivalutati. La conseguenza è «un aumento del rischio che i beneficiari di mutui non siano in grado di rifinanziare i prestiti alla scadenza», sottolinea la Fed. La Un rischio che molte banche, soprattutto a livello regionale, non sembrano potersi permettere. Stando agli ultimi dati, negli Stati Uniti il 60% dei mutui su questo tipo di immobili sono detenuti da banche: circa due terzi di queste ultime sarebbero di dimensioni medie e piccole.
L’immobile europeo alla prova
La situazione europea presenta, a un primo sguardo, preoccupanti somiglianze con quella americana. Se, da un lato, i rialzi dei tassi imprimono uno stress analogo, il sistema bancario è altrettanto sovraesposto ad asset legati all’immobile commerciale. Al punto che, già all’inizio del 2022, la Vigilanza della BCE avvertiva che l’esposizione andava diminuita per evitare rischi di shock. Questi asset coprono addirittura l’8% dei prestiti totali concessi dalle banche vigilate, per un ammontare totale eccedente i 189 miliardi di euro solo in Italia (DATI BCE). Eppure, per ora, i valori medi di vendita e di canone sembrano mantenersi su livelli incoraggianti. Nel 2022 sono aumentati, seppur solo dell’1%, e si prevede che nell’anno in corso crescano di un ulteriore 4% (DATI Scenari Immobiliari). In più, i nuovi investimenti nel settore si sono attestati a ben 40 miliardi, di cui 980 milioni in Italia. Ma, come hanno notato gli analisti di Citi poche settimane fa, il mercato deve ancora scontare gli effetti degli aumenti dei tassi.
I rischi concreti
Alla luce di tutto questo, è reale il pericolo che si replichi la situazione di crisi del 2008? La maggioranza degli analisti dice di no: le precauzioni prese dopo la Grande Recessione hanno drasticamente diminuito il rischio di uno shock tanto violento e improvviso. In particolare, è utile notare come la loan-to-debt ratio dei mutui, cioè la percentuale del valore dell’immobile finanziata a credito, sia su livelli tutto sommato prudenti. In America quanto in Europa, si tiene intorno al 50/60% in media, un valore normalmente sostenibile. Ciò non toglie, però, che vi saranno probabilmente dei danni derivanti da questa situazione. Chi esclude la possibilità di un credit crunch, apre invece a un credit tightening, cioè un lento e doloroso riassestamento strutturale nel credito. Ciononostante, val la pena di notare che la maggior parte degli istituti dovrebbero essere in grado di evitare il fallimento e compensare le perdite collaterali concedendo nuovi prestiti a condizioni migliori.
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