venerdì, 4 Ottobre 2024
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Lo sci è ripartito, ma sulle montagne italiane manca la neve. Una situazione che fa tremare l’apparato delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina, che si terranno nel 2026 proprio nel nostro Paese. Eppure, per la prima volta dopo due anni difficilissimi, condizionati pesantemente dal Covid-19 e dalle restrizioni, il comparto degli sport invernali in Italia è finalmente riuscito a vivere una stagione intera senza interruzioni.

A cavallo tra il 2022 e il 2023 le montagne del nostro Paese sono tornate a popolarsi di appassionati e turisti, che hanno rimesso in moto un indotto fondamentale per l’economia dei comuni alpini e appenninici. Ma il potenziale rimbalzo è stato frenato dalla mancanza di neve. Alla fine dell’inverno 2023 ne era caduta un terzo di quella attesa normalmente durante un anno. La siccità ha privato le piste dei loro manti bianchi, e gli impianti hanno dovuto compensare artificialmente. Intanto, le temperature record stanno portando all’estinzione una parte spesso trascurata del settore: lo sci estivo.

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Il peso economico delle Olimpiadi di Milano Cortina

Un’analisi del CONI ha stimato in tre miliardi di dollari l’impatto che l’organizzazione e lo svolgimento delle olimpiadi invernali avranno sul prodotto interno lordo del nostro Paese. Sarà proprio il comparto degli sport a giovare di più di queste risorse, con un beneficio che si aggirerà attorno ai 1142 milioni di euro. Un volano anche per l’occupazione delle imprese del comparto sportivo, dove verranno generati oltre 13 mila nuovi posti di lavoro di cui 9 mila solo in ambito sportivo e quasi 3000 nell’indotto adiacente.

Ma più di ogni altro settore, le olimpiadi invernali di Milano-Cortina rappresentano un’opportunità per il turismo alpino. In particolare la località veneta ha già un appeal internazionale, e prima della pandemia vantava un indotto di 80 milioni di euro. Si stima che soltanto gli addetti ai lavori, quindi gli atleti e tutti i lavoratori delle federazioni sportive che dovranno spostarsi tra Lombardia e Veneto durante la manifestazione, porteranno 450 milioni di euro ad albergatori e ristoratori. A questi vanno poi aggiunti gli spettatori, che potrebbero far salire  il totale a 2,8 miliardi.

Problemi di organizzazione

Ma l’organizzazione di un evento di queste proporzioni sta già causando alcuni problemi, legati in parte alle condizioni degli impianti sciistici italiani. Proprio Cortina d’Ampezzo è al centro di una delle polemiche più accese, che riguardano la pista dove si svolgeranno le gare di bob e slittino. Un progetto che prevedeva lo smantellamento di un impianto preesistente e la sua sostituzione con uno nuovo, i cui costi sono rapidamente lievitati da 55 a 85 milioni di euro.

A preoccupare sono anche le stesse piste da sci. Le gare di discesa maschile e di fondo si terranno nel comprensorio di Bormio, in Lombardia. Qui la paura è che si ripeta un anno simile al 2022 e che la neve non cada. È quindi stato già attuato un investimento da 8 milioni di euro in cannoni spara neve per compensare la possibile mancanza di precipitazioni. 

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Non c’è neve: la fine dello sci estivo

E l’organizzazione delle olimpiadi invernali non è l’unica a temere la siccità. Conclusa la stagione invernale, gli impianti sciistici di alta quota si preparano a quella estiva. Le loro attività si svolgono ad altitudini molto elevate, spesso dai 3000 metri in su. Per questo, solo poche località possono permettersi di ospitare piste aperte 365 giorni l’anno. Tuttavia, anche dove tradizionalmente questo settore fiorisce, il riscaldamento globale sta mettendo in difficoltà le aziende. In estate lo zero termico è ormai spesso oltre i 4000 metri, sparare la neve diventa impossibile e quella naturale stenta ad arrivare.

Così la scorsa estate, sul ghiacciaio dello Stelvio, i gestori si sono arresi. La stagione estiva non è nemmeno ripartita, proprio nel momento in cui il settore stava uscendo dalle difficoltà economiche della pandemia.Le condizioni della prossima estate dovrebbero essere migliori, con aria più fredda e precipitazioni più abbondanti. Ma a meno di un’inversione di rotta decisiva, difficilmente queste attività potranno sopravvivere.

Non c’è neve: il rimbalzo strozzato

I problemi climatici si sono attenuati proprio verso la fine della stagione, quando anche sulle montagne italiane ha ricominciato a piovere e nevicare. La siccità è però ancora lontana dal risolversi, dopo più di due anni di impoverimento delle risorse idriche sotterranee dei territori. Insomma, non c’è la certezza che in futuro non si ritorni ad una situazione simile a quella appena vissuta nella stagione sciistica 2022-2023.

La siccità è un tema pressante per vari aspetti dell’economia del nostro Paese da due anni a questa parte. Le precipitazioni limitate, soprattutto al nord ma in certi periodi anche al centro sud, hanno causato danni miliardari. Normalmente, quando si pensa alle conseguenze di questi eventi estremi, il primo collegamento è quello all’agricoltura e all’allevamento, che presentano un consumo di acqua molto alto. Ma anche il turismo montano può risentire pesantemente della mancanza di precipitazioni nevose.

Quantificare i danni è difficile, più semplice invece capire le dimensioni del problema dai numeri forniti dalle associazioni ambientaliste. In montagna, il massimo livello di accumulo si raggiunge verso l’inizio della primavera, mentre la stagione sciistica si avvia alla sua conclusione, con le ultime battute in corrispondenza delle vacanze pasquali. In un anno normale, le cime italiane arrivano ad avere in riserva circa 13 miliardi di metri cubi d’acqua sotto forma di neve. A marzo 2023 le rilevazioni erano concordi nel segnalarne al massimo 4. È il 63% in meno della media, inferiore anche ai record negativi di un anno fa, quando mancava il 50% della neve e i miliardi di metri cubi accumulati erano 6.

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Quanto costa sparare la neve?

E gli sparaneve? Non si possono usare? Purtroppo, la soluzione non è così semplice. Scene sempre più comuni sulle montagne italiane sono quelle di paesaggi brulli, con boschi e prati secchi, dipinti da alcune sottili strisce bianche dove si trovano le piste da sci. Una pratica che però, in condizioni di siccità, presenta alcune problematiche non trascurabili. I cannoni più comuni, quelli tradizionali, che operano a basse temperature, richiedono tra i 200 e 400 litri d’acqua al minuto per funzionare. In mancanza di acqua, questa diventa una spesa più che significativa per i gestori.

Per produrre un metro cubo di neve in questa stagione sono serviti tra i 3 e i 7 euro, e per innevare appena un chilometro e mezzo di pista ne servono 20.000. In più, come accennato, i cannoni spara neve funzionano a basse temperature. Di solito si pensa che basti arrivare sotto lo zero, ma per avere una resa ottimale la temperatura necessaria deve scendere almeno di tre gradi sotto quella soglia. Nel fine settimana di capodanno del 2023 lo zero termico si aggirava attorno ai 3000 metri.

Un problema in particolare per le piste di bassa quota, ormai in crisi da anni. Mentre le temperature sempre più alte hanno spinto gli impianti ad altitudini sempre maggiori, sono rimasti indietro tutti quei comprensori sviluppati durante la seconda metà del secolo scorso, sotto i 1500 metri.

Sciare non è mai stato così costoso

La stagione 2022-2023 non è stata da record soltanto per le presenze o per la mancanza di neve. Sciare non è infatti mai costato così caro. Le stime di Altroconsumo parlano di un aumento medio del 9%, I pass giornalieri potevano variare dai 44 euro delle montagne piemontesi ai 74 euro delle dolomiti. Se parte di questi aumenti possono essere imputati alla necessità di coprire le perdite degli anni pandemici, il grosso è però da collegare all’aumento del prezzo dell’energia.

Durante l’estate 2022 una serie di fattori ha comportato un picco del prezzo del gas, ad oggi la principale fonte fossile da cui il nostro Paese ricava energia elettrica e calore per le abitazioni. Alla naturale inflazione dovuta alla ripresa post pandemica e alla conseguente crisi del commercio globale, si è unita la guerra in Ucraina. La minaccia, poi realizzatasi, di sospensione delle forniture di metano dalla Russia ha causato una corsa alle scorte che ha spinto il prezzo del metano oltre i 300 euro.

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L’aumento dei prezzi dell’energia

L’aumento dei costi causato dai prezzi dell’energia si è combinato con la siccità e la necessità di sparare neve artificiale come mai prima, causando un effetto domino che ha aumentato a dismisura i prezzi di gestione degli impianti. Il costo di produzione di un metro cubo di neve è quasi raddoppiato nel giro di un anno, ma l’energia non serve soltanto a compensare la mancanza di precipitazioni nevose. Gli impianti, gli hotel e le stazioni sciistiche sono estremamente energivori, sia dal lato dell’elettricità che da quello del riscaldamento, dovendo funzionare a pieno regime soprattutto nei periodi più freddi dell’anno.

La percentuale delle spese dovute a questa voce era attorno al 10% prima del verificarsi di questa crisi, ora pesa in media attorno al 20%. A soffrire di più sono soprattutto le stazioni più piccole. La possibilità di attrarre un maggior numero di turisti permette ai grandi comprensori di abbattere il costo per sciatore, potendo quindi offrire prezzi migliori. Al contrario, gli impianti che hanno una capacità limitata sono costretti ad aumentare di più i prezzi per compensare le spese di gestione in costante aumento.

La stagione invernale

Entrambi questi problemi si sono fatti sentire nella stagione invernale appena conclusa. L’inverno è stato sì meno rigido, ma questo ha significato anche la prosecuzione di una siccità che durava da quasi due anni. La neve è mancata in quasi tutte le località, generando la necessità di utilizzare quella artificiale in dosi massicce.

Otre a richiedere di per sé moltissima acqua, questo processo si è intrecciato con una seconda difficoltà, quella legata al prezzo dell’energia. La guerra in Ucraina, la crisi dei commerci globali e la ripresa economica hanno causato un aumento rapido ed estremo dei prezzi dell’elettricità, e di conseguenza dei costi di gestione di impianti di risalita, hotel e delle attività collaterali, neve artificiale inclusa.

Le piste da sci sono tra le strutture che hanno sofferto di più durante la pandemia da Covid-19. Le ondate del virus, che d’inverno hanno raggiunto le fasi più virulente, hanno compromesso le stagioni sciistiche per due anni consecutivi, il 2020 e il 2021. I danni sono stimati intorno al 70% dal fatturato, derivato dalla chiusura degli impianti durante entrambi i periodi natalizi, in assoluto i più redditizi per le piste da sci.

Sono 8,5 miliardi di euro per i soli esercenti funiviari, 12 per l’indotto che in montagna gira attorno a queste attività. Si tratta di soldi molto importanti in particolare per il territorio. L’economia dei comuni montani è largamente basata sul turismo, che rimante una delle poche fonti disponibili per combattere il declino economico e demografico di queste zone.

Dopo due annate su questo tenore, era fondamentale per il settore un rimbalzo alla prima occasione disponibile. Nel 2022 le misure anti Covid-19 sono state progressivamente allentate: il risultato è stato un inverno da record, che non solo ha rappresentato il ritorno dei turisti in montagna dopo il biennio pandemico, ma anche un passo in avanti rispetto al 2019, l’ultimo anno con un numero di presenze normale registrato.

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I numeri sulle Alpi e sugli Appennini

Grazie al meteo eccezionalmente favorevole, con precipitazioni limitate e giornate in larga maggioranza soleggiate, i 158 giorni della stagione, terminata l’1 maggio, hanno fatto segnare nuovi record in fatto di presenze. Sulle Dolomiti sono passati 3,5 milioni di visitatori, un numero superiore del 6,4% rispetto a quello del 2019. Gli skipass venduti sono saliti dell’11%, e anche i primi ingressi hanno fatto registrare un salto del 3,4%.

Anche la Val d’Aosta ha fatto registrare un rimbalzo significativo rispetto ai difficili anni della pandemia. Il fatturato nella stagione sciistica invernale è stato di 39 milioni di euro, con un aumento del 17% rispetto all’ultimo anno in cui gli impianti sono stati aperti, il 2019. L’affluenza ha superato il milione di turisti, un aumento del 7% rispetto alla media delle tre stagioni precedenti. La differenza l’ha fatta però la vendita online degli skipass, che ha rappresentato un quarto del totale, spingendo la ripresa.

Anche la Lombardia è riuscita a riprendersi, attraendo principalmente turisti italiani, il 65% del totale. Una prova importante, perché molte delle piste della regione saranno destinate ad ospitare nel 2026 alcune delle gare più importanti delle olimpiadi invernali di Milano-Cortina. A Bormio i primi ingressi sono stati 2500, mentre Livigno ha attratto da sola il 50% degli sciatori.

Le cose non sono andate però altrettanto bene ovunque. Sugli Appennini infatti la stagione sciistica ha fatto registrare un calo del fatturato del 30% rispetto agli anni pre-Covid. A gennaio la situazione era tale che alcune regioni avevano chiesto lo stato di emergenza, come per una calamità naturale. Per tutta la prima parte della stagione, sugli Appennini non ha nevicato. Insomma, dopo due anni di pandemia, le stazioni sciistiche del centro sud hanno tirato ancora la cinghia per sopportare un’altra annata difficile, migliorata soltanto all’ultimo grazie alle piogge di fine stagione. ©