lunedì, 29 Aprile 2024

La gioielleria italiana brilla all’estero

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Brilla, eccome se brilla, il settore orafo, argentiero e gioielliero italiano. Ma nonostante ciò resta sempre con i piedi ben ancorati a terra, consapevole di problemi e incertezze del futuro. Le idee ci sono, e ben chiare, sono tre i fattori fondamentali su cui puntare per continuare a crescere a doppia cifra: «Internalizzazione, comunicazione e formazione sono sicuramente le leve su cui le aziende dovranno continuare a investire nei prossimi anni per continuare a prosperare e restare competitive a livello internazionale», ci ha spiegato il Direttore Generale di Federorafi Stefano De Pascale.

Il settore ha archiviato il 2022 con una crescita del 20,8% e un giro d’affari di 10,8 miliardi di euro. A trainare sono le esportazioni, che salgono a quota 9,8 miliardi di euro, rappresentando la fetta più grande del fatturato totale. L’export supera anche i livelli pre-pandemia: del 40% in valore e del 5% in quantità. Guardando le performance, tra le tipologie di prodotto, molto bene la gioielleria da indosso (+20,1% sul 2021),  nonostante la lieve flessione di quella in argento (-0,6%), come pure la bigiotteria (+32,3%). Intanto balzano verso l’alto di un vertiginoso 56,9% i lavori in perle e pietre preziose. Frena, invece, l’oreficeria da arredo (-5,8%). Con la sola eccezione di Hong Kong (pressoché stabile, -0,2%) e della Cina (-1,2%), tutti i mercati più importanti hanno registrato incrementi superiori al 10%.

Gli Stati Uniti (1,44 miliardi, +12,4%), si sono confermati in vetta alle destinazioni, con una quota del 14,7% sul totale export settoriale; sono peraltro il mercato con l’espansione più rilevante in termini assoluti nell’ultimo triennio: l’export attuale è infatti superiore di circa 645 milioni di euro rispetto al gennaio-dicembre 2019 (+81,4%). Al secondo posto tra i mercati di sbocco troviamo la Svizzera, cresciuta del +19,3%, che ha così ripianato il divario col pre-Covid. Al terzo gli Emirati Arabi. Come si può facilmente immaginare, sono drastici i cali in Russia e Ucraina, a -77,7% nell’insieme, -91,3% dall’inizio del conflitto. Restano tuttavia positive anche le stime per il 2023, nonostante resti evidente una maggiore reticenza a sbilanciarsi, comprensibile se si guarda al quadro macroeconomico attuale, sicuramente non dei più tranquilli.

Quali sono le previsioni per l’anno in corso?

«Arriviamo da due anni di grande effervescenza del settore su tutti i livelli e le previsioni sul 2023 rispecchiano un cauto ottimismo. Abbiamo chiuso il 2022 in maniera molto positiva e siamo partiti bene a gennaio 2023 con la fiera di Vicenza (Vicenzaoro). Tuttavia, già dopo qualche mese, parlo di aprile/maggio, abbiamo visto un piccolo rallentamento dell’andamento di mercato, soprattutto a livello internazionale. E visto che il nostro settore per quasi il 90% è orientato alle esportazioni, è molto sensibile agli andamenti di questi mercati, c’è quindi stata una prevedibile ma non troppo preoccupante frenata.

Aspettiamo che passino questi due trimestri per capire se l’anno in corso si chiuderà ancora in doppia cifra. Se nel 2023 registrassimo un andamento positivo intorno al 10/12% sarebbe comunque un dato molto interessante. Soprattutto in questo contesto intricato contesto geopolitico e macroeconomico, caratterizzato dall’inflazione e dalle complicanze derivate dal conflitto tra Russia e Ucraina. Questa situazione di incertezza potrebbe frenare gli acquisti di tutti quei beni che non sono considerati di prima necessità come la gioielleria. Restiamo comunque fiduciosi».

A livello internazionale, che reputazione ha il gioiello italiano?

«Abbiamo archiviato il 2022 con un fatturato di quasi 11 miliardi, dei quali quasi 10 provenienti proprio dalle esportazioni. Ciò dimostra il grande appeal che la gioielleria italiana suscita in tutto il mondo. Il prodotto Made in Italy continua ad avere successo su tutti i mercati, in particolare negli Stati uniti. Il Nord America è per noi estremamente importante, basti pensare che nell’arco degli ultimi 5 anni ha riconquistato la vetta delle nostre esportazioni e fino a 10/15 anni fa era invece il terzo o quarto Paese. Con una quota di quasi il 13% di ciò che noi esportiamo nel mondo. Nonostante le politiche sui dazi doganali, le barriere tariffarie e i vari permessi che spesso danneggiano o frenano l’export, i preziosi italiani sono presenti e apprezzati in tutti i Paesi del mondo. E questa è già una grande risposta alla domanda».

A suo avviso, qual è la forza, il valore aggiunto, dei prodotti italiani?

«Il successo a livello internazionale del prodotto gioielliero italiano, a mio avviso, è dettato dal fatto che il Made in Italy e, in questo caso, la gioielleria, è sempre fortemente apprezzato dal consumatore straniero. Per il design, la creatività, l’innovazione a livello di prodotto di materiali utilizzati, e per il fatto che le nostre aziende sono flessibili. Questo significa essere in grado di anticipare e soddisfare le varie e più disparate esigenze degli acquirenti. I nostri gioielli, così come i nostri imprenditori sono in grado di adattarsi alle esigenze dei diversi consumatori.

Ovviamente poi un altro punto di forza è la qualità, in senso lato. Il nostro prodotto, per finitura e realizzazione, è unico. Dai buyer ai clienti finali, tutti sanno riconoscere e apprezzare il know-how tricolore. L’altro dato secondo me importante, molto in linea con i tempi che corrono, è che il prodotto argentiero e orafo italiano è allineato ai più attuali standard in termini di sostenibilità e tracciabilità. Ad esempio, dal 2017 tutto l’oro lavorato in Europa, quindi anche in Italia, deve essere oro conflict free. Ciò significa che proviene da zone dove non è stata alimentata una guerra tra bande armate, come succede in alcune aree africane, per esempio.

Tutto l’oro importato e lavorato in Italia è quindi ben regolamentato. Stessa cosa per quanto riguarda i diamanti, tutti tracciati e sostenibili. Da questo punto di vista il nostro è dunque uno dei settori più avanzati in Italia. Inoltre, il comparto unisce la grande manualità e artigianalità a una forte spinta verso l’innovazione. Le nostre aziende sono in grado di essere estremamente all’avanguardia: in italia abbiamo leader nel mondo per la stampa 3D di gioielli. Questo è uno dei fattori che ci permettono di restare competitivi sul mercato e giocare nello stesso campo dei giganti asiatici come Cina e India».

Quali sono state le difficoltà più grandi degli ultimi anni e quali sono, invece, le sfide future?

«Sicuramente il periodo di recessione legato all’anno del covid ha colpito nel profondo tanti comparti, compreso il nostro. Le nostre imprese hanno avuto un contraccolpo importantissimo. In generale, uno dei nostri punti forti è anche un nostro punto debole: parlo della ridotta dimensione delle aziende. Abbiamo un settore che conta poco più di 7mila realtà per circa 36mila dipendenti. Si parla in media di 3/4 dipendenti per azienda. Non mancano gruppi più grandi, da 30/40 dipendenti, ma in linea di massima il nostro è un settore formato per la maggioranza da piccole e medie realtà. E purtroppo la piccola dimensione non sempre favorisce la penetrazione e il consolidamento delle imprese sui mercati internazionali.

Allo stesso tempo, va incontro all’esigenza di flessibilità che è un elemento che caratterizza la produzione italiana rispetto ai nostri principali competitor come Cina, India e Turchia. Nonostante le difficoltà, a livello mondiale l’Italia è al terzo posto tra i principali Paesi produttori dopo India e Cina. Rendiamoci conto che queste due Regioni sono colossi con aziende da migliaia di dipendenti, che però sono sicuramente meno flessibili rispetto alle imprese italiane che, dal canto loro, sono in grado di adattare la produzione alle esigenze del buyer. Un altro nostro punto di debolezza può essere la sotto capitalizzazione delle nostre realtà. Realtà che hanno necessità di crescere anche dal punto di vista finanziario per dotarsi del capitale necessario per incrementare gli investimenti in macchinari, attrezzature e personale specializzato.

Per restare competitivi sui mercati internazionali dobbiamo rafforzare e consolidare la struttura produttiva e investire sulla  manodopera, anche con nuove competenze,  più particolari e moderne. Un’ altra sfida importante, che non dipende solamente dalle nostre imprese, ma anche dalle politiche commerciali internazionali e quella di penetrare nuovi mercati. Finalmente qualcosa si sta smuovendo e si stanno portando avanti degli accordi internazionali tra Europa e  altre aree del mondo per la riduzione o l’azzeramento dei dazi. Se andassero a buon fine, queste politiche ovviamente porterebbero grandissimi vantaggi per le nostre imprese e ci aprirebbero a nuovi mercati oggi abbastanza chiusi al prodotto italiano.

Cina o India, per fornire due esempi concreti, sono Paesi che comprano moltissima gioielleria ma purtroppo poco recettivi per quanto riguarda il prodotto italiano, a causa dei dazi doganali e le barriere all’ingresso, che limitano la presenza della nostra offerta in quelle zone. In generale, però, le nostre aziende sono pronte ad affrontare le sfide del futuro. Dobbiamo continuare a essere un passo avanti agli altri Paesi, ma la qualità e la creatività italiana devono anche avere un prezzo premium».

In Italia c’è carenza di personale specializzato?

«Sì, ma è anche vero che nel 2022 abbiamo visto dei segnali positivi. Finalmente, infatti, alla fine dell’anno scorso c’è stato un incremento di oltre il 5% nel numero di occupati nel settore. Tuttavia, i nostri giovani fanno fatica ad avvicinarsi ai lavori manifatturieri e manuali. E le scuole, in termini di orientamento, non sempre fanno presenti le opportunità degli istituti professionali, tralasciando anche il fatto che danno una qualifica immediatamente spendibile nel mondo del lavoro. Molto spesso chi veniva orientato alla scuola professionale era quasi uno studente ritenuto non troppo capace e questo ha messo in cattiva luce questo tipo di istruzione, facendola sembrare una scelta di serie c rispetto ad altri percorsi.

Ma così non è. Fare oggi una scuola professionale garantisce infatti un immediato accesso al mondo del lavoro, dando anche la possibilità di continuare gli studi a livello universitario, qualora si voglia. Si tratta di un deficit culturale, dalle scuole alle famiglie. Non è un discorso risolvibile in pochi anni però bisogna investire tempo e risorse anche nella formazione, di allievi e docenti; così che possano indirizzare i talenti verso il percorso più adatto a loro, o almeno far presente la possibilità di tale scelta. Al momento, il numero di iscritti a questo tipo di istituti scolastici non è assolutamente sufficiente per sopperire alla richiesta attuale e a quella futura del settore».

I giovani sono interessati a questo mercato?

«Non abbiamo percentuali precise, però diciamo che, contrariamente alle previsioni, sempre più giovani si avvicinano al mondo dei gioielli. In questo senso, i grandi brand svolgono un ruolo importante, rendendo il prodotto facilmente accessibile anche in termini di prezzo, come i gioielli in argento. Quindi adesso anche i ragazzi, piuttosto che comprare bigiotteria, preferiscono spendere poco più e avere invece un prodotto di qualità a seconda delle diverse disponibilità e capacità di spesa. Non sono assolutamente così refrattari al comparto come magari si potrebbe pensare.

C’è da dire che la gioielleria, nel sentiment comune, ha un’immagine un po’ da svecchiare. Molto spesso il gioiello o il prodotto orafo è visto come un accessorio destinato a una fascia di popolazione più avanti con l’età, più matura. E invece è tutt’altro. I nostri preziosi, per design, colori e materiali si prestano e sono pensati per tutte le età e per tutte le tasche. Stiamo cercando di superare questa percezione non proprio positiva investendo risorse in campagne marketing a livello internazionale, per avvicinare tutti i consumatori».

Conviene ancora investire in oro o diamanti? O ci sono altre categorie di prodotto meno soggette alle volatilità del mercato?

«Oro, argento, platino, palladio e, in parte, anche i diamanti, sono beni di rifugio durevoli nel tempo che in tutti questi anni hanno garantito buone performance. Sicuramente i dati degli ultimi anni confermano l’oro come bene di rifugio per eccellenza. Solamente nell’ultimo anno le quotazioni sono aumentate di oltre il 15% al netto del tasso di inflazione, quindi ben oltre altre tipologie di investimento. D’altronde, il valore che permane nel tempo e resiste alla svalutazione è anche uno dei vantaggi che porta e invoglia i consumatori a comprare i gioielli in metallo prezioso».  ©

Articolo tratto dal numero del 15 Giugno 2023. Abbonati!

Credit: Canva.com

Dopo gli studi universitari in relazioni internazionali e un master in Communication & brand management inizia subito a lavorare nella moda a Milano. Scrive a tempo pieno per diverse testate occupandosi di business, moda, lusso e design. La conoscenza finanziaria maturata nell'editoria e l’occhio per le ultime tendenze sono i suoi punti di forza.