Nessuna crisi per il lusso e l’Italia è uno dei Paesi leader in questo settore. Tanto che, con il suo Made in Italy riesce a posizionare ben 23 aziende tra le 100 che costituiscono la Top Player del settore Fashion & Luxury a livello globale, confermandosi il primo Paese del lusso a livello mondiale, almeno per numero di realtà presenti in classifica.
Nessuna crisi per il lusso, Italia in classifica
Sulla base dello studio annuale di Deloitte, il network che fornisce servizi professionali alle imprese, quasi tutte le società inserite nella graduatoria con chiusura dell’esercizio al 31 dicembre sono cresciute al ritmo delle due cifre per le vendite di beni di lusso, tra il 17% e il 49%, con un aumento annuo superiore alla media del 27%.
Tra queste ci sono Moncler, Max Mara, Valentino e il gruppo Marcolin, produttore e distribuitore occhiali, Golden Goose, produttore di scarpe, Moncler, specializzata in abbigliamento e accessori soprattutto per la montagna, ed Euroitalia, storica azienda brianzola di profumi e beauty.
Il gruppo Prada, Moncler e Giorgio Armani sono i tre principali player italiani in classifica, rispettivamente al 18esimo, 27esimo e 28esimo posto. Insieme, rappresentano il 35% delle vendite di beni di lusso realizzate nel 2021 dalle imprese italiane presenti nel ranking.
Il Belpaese però lontano dalle top francesi
Nonostante questo, però, le imprese italiane sono lontane dal podio, che è ormai appannaggio esclusivo, per il quinto anno consecutivo, dei colossi LVMH con Moët Hennessy e Louis Vuitton SE, Kering SA e The Estée Lauder Companies Inc., che hanno permesso alla Francia di essere il Paese che ha conseguito complessivamente performance migliori.
Durante l’anno fiscale 2021, le 100 più grandi aziende di beni di lusso al mondo hanno generato vendite per 305 miliardi di dollari, 53 miliardi in più rispetto all’anno passato, superando di 24 miliardi perfino i risultati ottenuti nel FY2019. A tassi di cambio costanti, i primi 100 player hanno complessivamente visto una crescita del 21,5% con un profit margin del 12,2% (+7.1 punti percentuali rispetto allo scorso anno).
Il futuro è solo con la sostenibilità
Risultati che, pur con tutti i momenti di incertezza che si stanno vivendo, pur con le annate terribili del Covid-19, confermano chiaramente l’appeal delle aziende del settore lusso. Il comparto, infatti, è stato capace di re-inventarsi e avviare un processo di trasformazione considerevole, portando al centro delle proprie strategie di crescita per i prossimi anni concetti quali innovazione e transizione ecologica.
Dopo anni di critiche ai propri modelli di business, le aziende del settore stanno portando avanti le istanze della sostenibilità. E si avviano sempre più verso l’adozione di un sistema di economia circolare per ridurre concretamente il proprio impatto ambientale, modificando i processi di produzione e promuovendo nuove pratiche di consumo.
Il nuovo diktat è concepire il lusso seguendo i criteri ESG (Ambientale, Sociale e Governance) e applicare il concetto “essere sostenibile per il design”. Questo significa prodotti creati rispettando i principi della sostenibilità, ovvero la realizzazione di merce che, dalla fase iniziale fino al risultato finale, utilizzi prevalentemente risorse rinnovabili e materie prime innovative, in modo da ridurre il loro impatto sull’ambiente e con l’obiettivo di essere riutilizzati o riciclati in modo efficiente.
Dall’abbigliamento ai gioielli, l’industria si deve trasformare
Questo concetto può essere applicato a tutte le aree del lusso, dai capi di abbigliamento ai gioielli, dai cosmetici agli accessori. Anche perché perseguire una transizione verso la sostenibilità nel mondo Luxury è un processo che si allinea al programma delle Nazioni Unite Obiettivi (SDGs) e al Fashion Pact, siglato a ottobre 2020 da oltre 200 marchi, di cui un terzo del settore moda, che ha come obiettivo trasformare l’industria di riferimento tenendo conto degli effetti su clima, biodiversità e oceani. Un ulteriore passo in questa direzione è l’adozione di un’economia circolare. Secondo la MacArthur Foundation, farlo potrebbe ridurre le emissioni di gas serra dal 22% al 44% nel 2050 rispetto all’attuale modello lineare.
La sostenibilità e i principi ESG, quindi, sono sempre più incorporati nelle strategie delle aziende, che si avvalgono del prezioso supporto delle nuove tecnologie per sviluppare nuovi materiali rispettosi dell’ambiente e per migliorare il design, la produzione, la distribuzione e la comunicazione dei loro prodotti.
Esempio dell’importanza di adottare un approccio ecosistemico è il consorzio “Re.crea”, creato alla fine di ottobre 2022, da Dolce & Gabbana, il Gruppo Prada, Max Mara fashion group, Otb, Moncler e il gruppo Zegna e coordinato dalla Camera Nazionale della Moda Italiana. Lo scopo è promuovere ricerca e sviluppo nel campo delle soluzioni di riciclo dei prodotti tessili-moda.
Il gruppo Kering, che raggruppa sotto il suo nome brand del calibro di Gucci, Alexander McQueen e Balenciaga, dal canto suo ha il proprio programma “Circularity Ambition mirato a trasformare l’azienda a tutto tondo.
Mentre la visione per “un nuovo lusso” di LVMH, l’altro grande gruppo francese, è incarnata da “LIFE, strategia 360” lanciata nell’aprile 2021 che segnerà le scelte del Gruppo per il prossimo decennio, sulla base di “una nuova alleanza tra natura e creatività”. Questa strategia include obiettivi diversi da raggiungere entro gli anni 2023, 2026 e 2030, con piani di azione incentrati su circolarità creativa, tracciabilità, biodiversità e clima.
Quanto conterà il Metaverso
Le aziende di beni di lusso si trovano di fronte a nuove opportunità anche alla luce della rivoluzione digitale portata dal Metaverso e dal Web3, i due grandi trend che stanno guidando l’innovazione nell’industria in questione.
Lo scorso marzo, dal 24 al 27, si è tenuta la prima Metaverse Fashion Week in assoluto, ospitata all’interno dell’universo virtuale di Decentraland, uno dei tanti universi virtuali nati negli ultimi anni che, dalla sua creazione permette agli stilisti di realizzare abiti digitali. Nei quattro giorni della MVFW ben 70 marchi, inclusi grandi nomi come Dolce&Gabbana, Cavalli, Tommy Hilfiger, Franck Muller, Monnier Frères, hanno fatto sfilare sulle passerelle di pixel le loro collezioni digitali, consacrando definitivamente il Metaverso come luogo reale e di grande interesse per l’economia e intercettando quella vasta platea di giovani che dai social migreranno progressivamente, nei prossimi anni, verso i mondi paralleli cibernetici.
L’industria della moda sta scommettendo pesantemente su questo nuovo fenomeno sebbene al momento, secondo i primi dati ufficiali, il Metaverso continui a rappresentare più un terreno di sperimentazione e un trend di sviluppo dal potenziale elevato, piuttosto che una voce di rilievo nei bilanci delle società.
Ma probabilmente si tratta del primo stadio di un processo di sviluppo che è destinato comunque a mutare in modo irreversibile le abitudini dei consumatori e i piani aziendali di crescita delle imprese. Secondo una stima di Bain&Company, nel 2030 le vendite nel Metaverso assorbiranno tra il 5 e il 10% del valore dell’intero mercato dei beni personali di lusso.
Un mercato che, a partire già dal 2025, la società di consulenza strategica, si aspetta varrà tra i 360 e i 380 miliardi di euro. Il report The State of Fashion, realizzato da McKinsey e Bank of America, invece, ha quantificato che la spesa mondiale in beni virtuali nel 2021 ha raggiunto quota 110 miliardi di dollari, più del doppio rispetto al 2015. Circa il 30% di tale valore può essere attribuito a prodotti di moda virtuale.
Lusso ecosostenibile
In generale, per le aziende del lusso operare nel Metaverso moltiplica per il brand le occasioni di esposizione e la brand awareness. Offrendo collezioni in entrambe le realtà, infatti, possono finire per generare traffico non solo ai negozi digitali, ma anche a quelli fisici e tradizionali. Oltretutto, sperimentare prodotti di lusso in un universo virtuale è più ecosostenibile dell’attuale modello di consumo di abbigliamento e accessori, visto che non ci sono vincoli di risorse e il capo o l’oggetto, potrebbe essere utilizzato più e più volte o sostituito senza creare rifiuti.
Nel complesso, la produzione di indumenti digitali ridurrebbe le emissioni di gas serra del 97%, risparmierebbe circa 3.300 litri di consumo di acqua e offrirebbe ai marchi la possibilità di limitare l’impronta di carbonio del 30%.
Dal punto di vista di un’azienda di lusso, questo passaggio può consentire di tagliare i costi della progettazione e del collaudo del prodotto. E potrebbe anche consentire ulteriori test sui prodotti, sperimentando diverse linee di prodotti prima di scegliere quale lanciare nel mondo reale.
Tutto questo potrebbe portare a una netta riduzione della sovrapproduzione, avendo meno scorte di invenduto e articoli in magazzino e a una riduzione dei costi di consegna e logistica. Un’opportunità che sarebbe un peccato sprecare