giovedì, 28 Marzo 2024

Fashion e Metaverso, obiettivo 2030: introiti per 50 miliardi. Termite: «Esserci è il futuro»

Sommario

La moda nel metaverso sfrutta la blockchain, crescono i profitti e il lusso diventa democratico. E tra abiti virtuali, borse digitali e scarpe fatte di pixel e bit, Morgan Stanley stima che, nel 2030, la moda dei capi “che non esistono” (fisicamente) potrebbe far crescere i profitti del settore del 25%, generando introiti per 50 miliardi di dollari. Chi sarà a capo di questa rivoluzione? Generazione Z e Millennials che secondo Bain & Company nel 2025 rappresenteranno il 45% dei consumatori del lusso. Dove? In un set di spazi interconnessi e condivisi, naturalmente virtuali. Il cosiddetto metaverso.

«Puoi pensare al metaverso come a un Internet incarnato: invece di visualizzare i contenuti, ci sei dentro». Così lo definisce Mark Zuckerberg quando, alla fine di ottobre, annuncia il cambio nome della società di cui è AD: da Facebook a Meta. Da quel momento in poi il concetto di metaverso non è più esclusiva di appassionati di fantascienza e gamer: l’universo immersivo entra nella nostra quotidianità. O meglio, siamo noi a entrarci. Attraverso avatar 3D che ci rappresentano nel mondo virtuale.

«Questi avatar devono vestirsi, avere un proprio stile. È quindi immediato il collegamento con il mondo della moda, il settore che per primo si sta muovendo nel metaverso», spiega Stefania Termite, esperta e appassionata di marketing e comunicazione di realtà digitali e tecnologicamente innovative. «Qualcuno lo definisce come una realtà parallela. Io credo che il metaverso sia un’estensione di internet che andrà sempre più a innestarsi nella vita reale, faremo dei passaggi da reale a virtuale in maniera sempre più naturale». 

Quali sono le opportunità che il settore della moda può cogliere dal metaverso?

«In primo luogo posizionare il brand. Essere da subito nel metaverso è un modo per dimostrare che il marchio è evoluto, tecnologico, soprattutto per il target di riferimento, la Generazione Z, che è già presente nelle piattaforme di gaming, come Fortnite o Roblox, primi esempi di metaverso. E poi fare pubblicità. Ci sono metaversi in cui si vendono spazi e terreni virtuali in cui poter poi costruire negozi o mettere affissioni. Diventa un nuovo touch point in cui fare comunicazione commerciale».

È il caso di Decentraland, metaverso videoludico costruito sulla blockchain di Ethereum, dove la società canadese Tokens.com ha acquistato appezzamenti virtuali per 2,4 milioni di dollari che intende trasformare in un centro commerciale. E proprio nello spazio virtuale di Decentraland si svolgerà, a marzo 2022, la Metaverse Fashion Week, quattro giorni di sfilate, after party ed esperienze immersive in cui gli utenti potranno interagire tra loro e acquistare capi e accessori virtuali per i loro avatar.

Ma qualcuno non si sentirà escluso? Non si rischia di limitare l’audience, destinando un’importante fetta di prodotti alla cerchia degli internauti?

«Uno degli indubbi vantaggi è la possibilità di raggiungere nuovi target, per quei brand che hanno consumatori più “fisici” e magari meno giovani, e viceversa. È interessante proprio la possibilità di lavorare sull’omnicanalità, integrare tutti i canali, reali e virtuali, in modo che non si cannibalizzino tra loro ma si rafforzino uno con l’altro. Ognuno avrà la possibilità di sperimentare e fare sua la propria esperienza. Anzi, il metaverso offrirà delle opportunità in più: si potranno collezionare tanti dati, comportamenti di acquisto, comportamenti di vita. Si amplia il patrimonio informativo che si può storicizzare, analizzare e attivare a favore del consumatore, aumentando la retention».

Nel metaverso, la community e i creativi collaborano con i brand tramite la partecipazione nella blockchain. Cambiano quindi i processi di creazione e produzione?

«Per le case di moda è sicuramente un modo per capire lo stile dei consumatori. E per testare nel digitale quello da produrre poi nel reale, con un efficientamento della catena produttiva. Parte della produzione fisica sarà dettata dal marchio, parte dal consumatore. Le dirò di più. Il metaverso è una realtà aperta, un po’ come i social: ciò significa che anche uno stilista giovane potrà comprarsi il suo spazio nel mall virtuale e vendere le sue creazioni. Per poi magari essere notato e assunto da un brand. In questo senso tutto diventerà più democratico».

Si amplia il target e la modalità di fruizione. Cambierà anche il sistema di vendita?

«Certamente, per esempio rendendo esclusivo un prodotto digitale rispetto a quello reale».

Com’è successo durante la “Gucci Garden Experience” su Roblox, dove una borsa Queen Bee Dionysus virtuale è stata venduta a 4115 dollari. Nulla di strano se non fosse che quella reale si può acquistare per meno di 3500.

Quanto la pandemia ha influenzato questa transizione digitale?

«La pandemia, insieme allo sviluppo delle criptovalute, ha portato a un’accelerazione, ha anticipato i tempi. E questo è un bene perché iniziamo a prepararci: abbiamo la possibilità di testare, di capire, di evolvere per arrivare al meglio a quel 2030 previsto da Morgan Stanley».

Ora nel metaverso ci vestiamo. E poi? Compreremo un divano e mangeremo una pizza?

«Potrebbe essere veramente così. Noi avremo una nuova vita nel metaverso, fatta di piccole cose quotidiane. Questo significa che le possibilità ci sono, per tutti i settori e per tutti i mercati».          ©

Sara Zolanetta

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Laureata in Scienze ambientali all’Università di Milano Bicocca, ho frequentato un master in Comunicazione scientifica e quello in Giornalismo della Scuola “Walter Tobagi/Ifg”. Dal 2011 sono giornalista professionista. Ho lavorato come freelance e autrice televisiva per media nazionali e internazionali. Nel 2013 mi sono trasferita in Israele come corrispondente per testate italiane. Dal 2019 insegno Linguaggio audiovisivo e Videogiornalismo alla Civica Scuola di Cinema “Luchino Visconti” di Milano. Per il Bollettino mi occupo della redazione web e dei canali social. 📧 [email protected]