venerdì, 17 Maggio 2024

Chi pagherà davvero gli extraprofitti delle banche?

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extraprofitti

Per compensare l’aumento dei costi di mutui e prestiti alle famiglie, il Governo decide di rifarsi sugli introiti delle banche, che proprio di questi rincari si alimentano. Approvata dal Consiglio dei Ministri il 7 agosto, la tassa sugli extraprofitti bancari sarà applicabile a partire dal 2024, in riferimento all’anno ancora in corso. Ma su chi peserà veramente? Saranno le banche o gli utenti a pagarne il prezzo finale?

Top o flop?

L’ultima imposta approvata dall’Esecutivo Meloni si applica, nello specifico, sul margine di interesse degli istituti di credito, ovvero la differenza tra gli interessi attivi riscossi e quelli passivi pagati ai creditori. Un provvedimento inteso a compensare gli squilibri che sorgono dalla posizione dominante degli istituti, che consentirebbe loro di ottenere più denaro grazie al rialzo degli interessi, senza ritoccare più di tanto i tassi concessi invece a chi deposita o presta alla banca. Sulla carta, al di là delle rimostranze di chi critica, in parte a ragione, la retroattività della norma, il principio sembrerebbe giusto. Ma è proprio detto che andrà a beneficio delle fasce più danneggiate dalla corrente situazione?

I beneficiari della tassa

Ebbene, la misura lascia quantomeno spazio ad alcuni dubbi in merito. A partire dal fatto che, per la sua stessa natura, risulta facilmente aggirabile. Infatti, prescrive un’aliquota del 40% da applicare sul valore maggiore tra il margine d’interesse dell’esercizio 2022 che ecceda per almeno il 5% i valori 2021 e quello del 2023 che ecceda per almeno il 10% il margine 2021. È dunque chiaro che, nei limiti delle loro possibilità, gli istituti cercheranno di contenere, nei prossimi mesi, i valori di questo “extraprofitto”. In tal modo potranno cercare di far valere il dato 2022, applicato su un livello più basso, invece del più elevato numero del 2023. Certo, così facendo dovranno in qualche modo riversare i profitti nei conti dei correntisti. Ma viene difficile pensare che i soggetti più beneficati da questo modus operandi (i creditori più “ricchi” delle banche) saranno proprio quelli più danneggiati dagli aumenti dei tassi.

Correntisti ancora tartassati

Su un altro versante, forse più preoccupante, i dati ISTAT mostrano una tendenza crescente degli istituti di credito a rialzare le spese di mantenimento dei conti bancari. Un aumento che dall’inizio dell’anno ha raggiunto il 6,4%. L’ovvia giustificazione è l’inflazione in aumento. Ma, nella realtà dei fatti, non si può forse escludere che questi rincari possano contribuire a scaricare sull’utente finale i costi dell’imposta straordinaria. Un fatto che sarebbe particolarmente ironico e amaro per i titolari dei conti correnti, se si pensa che, dati alla mano, sono stati proprio la categoria di risparmio finora meno avvantaggiata dall’aumento dei tassi d’interesse messo in moto dalla Banca Centrale Europea.

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Studente, da sempre appassionato di temi finanziari, approdo a Il Bollettino all’inizio del 2021. Attualmente mi occupo di banche ed esteri, nonché di una rubrica video settimanale in cui tratto temi finanziari in formato "pop".