Il raggiungimento della parità di genere è il quinto obiettivo dell’Agenda 2030. L’OSM 3 (Obiettivi di Sviluppo del Millennio) per promuovere l’empowerment delle donne ha permesso di fare significativi progressi nella scolarizzazione delle ragazze e nell’inserimento occupazionale delle donne.
Nel 2012 in Italia il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro era del 53,2%, 20 punti inferiore rispetto a quello maschile. Nei dieci anni successivi è aumentato di 3,3 punti, il doppio di quello degli uomini, e nel primo trimestre del 2023 ha raggiunto il livello più alto, il 57,3%.
Nonostante la tendenza positiva, il tasso di partecipazione femminile è ancora al di sotto del 60%, indicato come obiettivo da raggiungere entro il 2010 dall’Agenda di Lisbona per l’allineamento alla media europea.
La crescita della partecipazione femminile osservata durante lo scorso decennio è stata trainata dalle donne con almeno 50 anni. Ma tra le più giovani (25-34 anni) il contributo è rimasto stabile al 66%, uno dei valori più bassi in Europa.
Una parte rilevante dei divari dipende dalla scelta del percorso scolastico. Nonostante la bravura, le ragazze tendono a prediligere indirizzi di studio associati a rendimenti inferiori nel mercato del lavoro. A un anno dalla laurea, il divario salariale uomo-donna è già pari al 13% e dopo un anno dal diploma raggiunge il 16%.
Queste differenze non si riducono nel corso della vita lavorativa, ma addirittura si accentuano, soprattutto dopo la nascita dei figli. È quella che viene definita child penalty, la penalizzazione nel mercato del lavoro in seguito alla nascita del primo figlio.
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