lunedì, 29 Aprile 2024

Dopo Usa, Cina e Israele, l’Ue vuole la sua fetta di AI

Sommario
AI

L’AI è entrata nell’Olimpo delle tecnologie che impatteranno maggiormente sulle nostre vite e rivoluzioneranno il mondo. L’Unione Europea ha approvato l’Artificial Intelligence Act, il Regolamento europeo che si pone l’obiettivo di garantire un uso attento di questa innovazione, evitando distorsioni a fini commerciali. Anche l’Italia punterà molto su questo cavallo, come dimostra l’introduzione di un Piano Strategico Nazionale per l’AI e un Fondo per sostenere le Startup del settore. L’obiettivo del nostro Paese è realizzare un quadro di regole globale per minimizzare i rischi e sfruttare pienamente le opportunità di questa tecnologia. Ma quanto c’è di umano nell’Intelligenza Artificiale?

«C’è moltissimo: AI è un termine accattivante, ma non credo che descriva molto bene quello che l’Intelligenza Artificiale può fare. Credo che cibernetica sia una parola più corretta, se continuassimo a utilizzarla, come negli anni ‘60, gran parte della discussione sarebbe diversa. Parlare di Intelligenza fa nascere metafore, polarizza la conversazione rispetto al tema principale: parliamo di uno strumento molto utile, che non è in concorrenza con l’intelligenza umana, ma la assiste», dice Filippo Lubrano, Consulente di sviluppo business in Asia, esperto di Startup e autore del libro “Antropologia per Intelligenze Artificiali. Una guida culturale per comprendere la prossima generazione di innovazioni tecnologiche”, edito da D Editore.

Intelligenza Artificiale

«Il libro confronta la maniera occidentale ed orientale riguardo l’innovazione e questa
tecnologia», aggiunge Lubrano.

Il bilancio tra posti di lavoro persi e nuove professioni sarà positivo secondo lei?

«Dalla rivoluzione industriale in avanti, è sempre stato così. L’uomo si è sempre ricollocato in situazioni più avanzate, ad esempio lo spostamento della manodopera proletaria da un settore agricolo a uno industriale. Per la prima volta, però, potrebbe essere diverso. Le stime degli enti principali, ad esempio l’Università di Oxford, sostengono che da qui al 2030 ci siano già a repentaglio tra il 9 e il 40% dei posti di lavoro attuali. Le AI sono brave a fare verticalmente molti dei mestieri. Questo potrebbe rendere difficile ricollocarsi, dal punto di vista del singolo lavoratore. Come intervenire in questo senso? La prima cosa, secondo Sam Altman, a capo di OpenAI, è introdurre il reddito universale di cittadinanza, molto diverso rispetto a quello pensato e implementato in Italia, che era un sussidio di disoccupazione. In questo caso parliamo di una proposta che prevede, secondo Altman, di dare mille/duemila dollari al mese a tutte le persone over 16 residenti negli Stati Uniti tassando i grandissimi profitti che le multinazionali faranno con l’utilizzo dell’AI. È un tema di cui si parla poco in Italia ma potrebbe essere centrale nel futuro dibattito. In Italia è considerato come un sussidio di disoccupazione, ma la proposta riguarda un finanziamento a pioggia che vada dall’ultimo dei senzatetto al primo dei manager, un sostegno che prescinda dal reddito e dalla posizione sociale. Una tassa per redistribuire gli utili della società nella popolazione».

Quale ruolo può giocare l’Italia nella corsa all’AI?

«Fino a oggi abbiamo avuto un ruolo molto marginale. Parliamo di un problema europeo, tanto che nel libro si parla di due grandi poli: Stati Uniti e Cina. Poi c’è un terzo polo: Israele. L’Europa è stata un po’ a guardare, con la Francia che è il Paese che presta più attenzione. Mistral, ad esempio, è una realtà promettente ma ha fatto molto poco, tutti questi campi ci vedono nella retroguardia. Siamo però all’avanguardia nella regolamentazione; il Regolamento europeo è stato uno degli strumenti più avanzati e le grandi multinazionali lo temono perché ha messo uno standard molto alto nella privacy. Penso che il collocamento europeo sia lì. Un ambito in bassa innovazione con skill di ragionamento, riflessioni etiche e filosofiche su cui abbiamo qualcosa da dire. Spero che non rimanga solo questo e inizi a crearsi un ecosistema, un ambito centrale su cui si gioca gran parte del futuro».

AI

Quanto è indietro l’Europa rispetto ai tre poli di innovazione mondiale: USA, Israele e Cina?

«Il problema maggiore riguarda la capacità di fare sistema. C’è un numero di imprese molto alto in Germania o Francia, ma ci sono poche grandi exit, che vendono a grandi gruppi o si quotano in Borsa. Di conseguenza, rimangono esperimenti interessanti che non riescono a fare sistema. In un mondo in cui il data pool fa la differenza, questa parte è fondamentale».

Come le differenze antropologiche tra i paesi leader mondiali dell’AI incideranno nel rapporto che avremo con essa?

«La tesi del mio libro è che tutto quello che pensiamo come distopia è molto specifica rispetto alla storia, la filosofia di riferimento. Un chiaro esempio esempio è il sistema di credito sociale cinese, implementato grazie alla grandissima digitalizzazione avvenuta in Cina grazie a WeChat, la loro super app che raccoglie tutti i dati. In funzione di questo danno un rating ad ogni cittadino cinese, sulla base del quale ognuno può avere corsie preferenziali o sconti. Se invece si trova sotto una certa soglia, c’è un sistema disincentivante in cui non si possono comprare biglietti. Qualcosa visto come distopico in Occidente, ma in Asia considerato come positivo.Questo deriva molto dal loro retroterra filosofico e culturale, per il quale esiste già un sistema di meriti, che si acquisiscono in maniera analogica affinché siano spendibili in futuro».

Cina

L’innovazione è uno dei motori della crescita, non a caso è uno dei settori con il maggiore ritorno d’investimento (ROI). Quanto è sfruttato il potenziale dell’innovazione in Italia?

«Il nostro più grande limite è che abbiamo un’economia di piccole e medie imprese, che spesso rappresentano un’eccellenza ma negli ultimi anni hanno dovuto passare il vaglio del passaggio generazionale, non senza danni. Finché parlavamo di artigianale riuscivamo a competere con gli altri, però oggi il tessuto economico e industriale non è pronto a fare il grande passo. La criticità principale è questa, oltre all’incapacità di fare sistema. Nonostante le associazioni, la logica non è cooperativa, col rischio di penalizzare tutti. C’è la speranza che con le nuove generazioni potremo cambiare approccio e migliorare, ma al momento la situazione non è delle migliori».

Quali sono gli impatti etico-sociali dell’AI?

«Uno dei casi principali è il sistema di credito cinese, ma ce n’è un altro, ovvero il sistema dello Shanzahi, la maniera di copiare cinese. C’è una lunga dissertazione sul senso della copia in Cina, è una pratica positiva. Guardando la Città Proibita, ad esempio, non è originale. Più volte è stata distrutta e ricostruita nello stesso modo rispetto all’iniziale, perché lo spirito iniziale si è mantenuto. Lo Shanzahi è l’applicazione moderna dello stesso concetto. Per noi rappresenta una stortura, che a noi risulta inusuale, ma per loro è fondamentale in un momento in cui il reddito pro capite è basso. In un ottica di accesso alla tecnologia è stato un passaggio fondamentale. Se non ci fossero stati una serie di brand sconosciuti, la Cina sarebbe a un grado di tecnologia più arretrato rispetto ad oggi. Negli anni le innovazioni tecnologiche realizzate negli Stati Uniti sono state riassorbite e fagocitate.

AI

Con Xi Jinping le cose stanno cambiando. Non a caso, è il primo Presidente giurista dopo una serie di ingegneri. La prima cosa che ha realizzato è il Made in China 2025, piano che ha l’obiettivo di portare il Paese a un livello di leader in tutta una serie di tecnologie, tra cui 5G e l’Intelligenza Artificiale. Target ottenuto in parte, poiché oggi sono già ai primi posti nel mondo in diversi ambiti. Per quanto riguarda la sorveglianza, invece, 1 su 3 sistemi sono cinesi, così come i droni e anche i meccanismi di riconoscimento facciale. Il fatto è che noi non conosciamo i grandi imprenditori cinesi, giusto il Ceo di Alibaba, quindi abbiamo scarsa percezione di questa realtà».

Nel nostro Paese parliamo spesso di cybersecurity in occasione di attacchi hacker. Come potrà aiutare l’IA da questo punto di vista?

«La mia società fondata nel 2016 si occupa di cybersecurity nell’AI. Questa tecnologia da un lato aiuta nella difesa. Dall’altro, però, è efficace anche quando si parla di attacco. Per ogni singolo euro speso dagli operatori in difesa ci sono altri 100 euro spesi per l’attacco, è un’eterna rincorsa a guardie e ladri, con i ladri che hanno un vantaggio competitivo non trascurabile. Si possono realizzare strumenti molto avanzati che possono aiutare a condurre attacchi di Dos anche senza sapere nulla di programmazione, specialmente in un mondo che va verso una disoccupazione crescente. Un trend che solleva riflessioni filosofiche, morali ed etiche, questo è un grosso problema. Ci sono molti strumenti che permettono di parare i colpi. Ma in futuro questa tipologia di attacchi aumenterà sempre più, temo che non ci sarà un’inversione di tendenza.

Intelligenza

Oggi è molto diffuso il phishing con una finta email di tracciamento del pacco, con un link che, cliccandoci, permette ai malintenzionati di rubare i dati della tua carta. A livello individuale, rappresenta un grande problema. Non si parla quasi mai, tuttavia, di una tematica altrettanto importante, se non di più. Infatti, a livello di sistema Paese facciamo accordi con Google, Amazon ed altre multinazionali per utilizzare il loro Cloud, dando di fatto informazioni strategiche a un Paese terzo. Un fatto senza precedenti, che si verifica perché non abbiamo un’alternativa italiana ed europea alla nuvola virtuale». ©

Articolo tratto dal numero del 15 dicembre. Per leggere il giornale, abbonati!

📩 [email protected]. Il mio motto è "Scribo ergo sum". Mi laureo in "Mediazione Linguistica e Interculturale" e "Editoria e Scrittura" presso La Sapienza, specializzandomi in giornalismo d’inchiesta, culturale e scientifico. Per il Bollettino mi occupo di energia e innovazione, i miei cavalli di battaglia, ma scrivo anche di libri, spazio, crypto, sport e food. Scrivo per Istituto per la competitività (I-Com), Istituto per la Cultura dell'Innovazione (ICINN) e Innovative Publishing. Collaboro con Energia Oltre, Nuova Energia, Staffetta Quotidiana, Policy Maker e Giano.news.