sabato, 27 Aprile 2024

Possiamo fidarci di un file? C’è chi lo può garantire

Sommario

Vero o falso? Le PMI italiane sono penultime su 28 Paesi in termini di vendite online. In materia di presenza sul web, analisi di Big Data e infrastrutture tecnologiche avanzate il Paese resta ancora un passo indietro, anzi un passo fermo. A maggior ragione, in una realtà dove il digitale desta ancora forti dubbi, non sempre è facile distinguere le informazioni valide dal resto. «Tra dieci anni un bambino nato oggi guarderà delle foto e non si porrà il problema che quelle informazioni siano vere o no. Semplicemente saprà che non può determinare se siano vere o false. Il che vuol dire che andiamo incontro a un cambio importante della nostra percezione del mondo», dice Fabio Ugolini, CEO di TrueScreen, applicazione che certifica attraverso la cybersecurity file, documenti, contratti e report tecnici. «Non è per forza una cosa positiva, perché sapere cosa ci circonda veramente deve essere un punto fermo della nostra quotidianità. Su questo TrueScreen vuole dare il proprio contributo. Non siamo in grado di risolvere nell’interezza il problema, ma possiamo fornire un valido supporto».

Cosa garantite?

«L’autenticità e l’immodificabilità dei dati. Questo significa essere bussole in un mondo in cui non possiamo avere la garanzia di quello che vediamo, perché troppo facile da modificare. Quotidianamente, sia nella vita personale sia in quella professionale, abbiamo bisogno di fidarci di documenti, file, foto e video, perché è importante capire quali informazioni siano vere e quali no per prendere decisioni. TrueScreen nasce per questo: ristabilire la fiducia nelle informazioni digitali garantendo che quelle informazioni siano state acquisite e ottenute in modalità incontestabili. Ciò permette di non porsi più il problema di insicurezza legata all’origine del dato. Sembra una cosa paranoica – ed effettivamente lo è – ma oggi è giustificata. Oggi stiamo soltanto raschiando la superficie di questo problema, prima o poi sarà estremamente più grande. Se dal punto di vista imprenditoriale vedo che ci sono opportunità di approfondire il comparto, dal punto di vista personale sono sinceramente terrorizzato».

Sul lato tecnico, si uniscono i concetti di cybersecurity e intelligenza artificiale?

«Non del tutto, perché noi di intelligenza artificiale non ne abbiamo. Per poter fare questo tipo di analisi forense serve avere un processo che si definisce deterministico. Noi non facciamo recognition, non analizziamo il dato e i file nel loro significato, cercando di capire se siano stati modificati o meno. Agiamo al contrario, garantiamo all’origine che nessuno lo possa modificare e che quando è nato il file niente abbia interferito con quelle informazioni. Si tratta di fatto della differenza tra analizzare e acquisire. Non siamo quelli che analizzano, ma quelli che acquisiscono. Nel mondo digitale è come avere una sorta di agente dell’FBI in tasca, in grado di raccogliere la prova senza che ci possano essere interferenze dall’esterno».

A cosa è dovuta la crescita della domanda?

«È un’unione di più fattori, politici, sociali e tecnologici. Il paragone che faccio molto spesso è con il protocollo Internet https. Una volta c’era solo il protocollo http, poi a un certo punto ci si è resi conto che modificare il flusso di dati era semplice qualora non ci si fosse dotati di una garanzia di sicurezza. Oggi sono pochi i siti che hanno solo http. Noi siamo molto vicini a questo: c’è bisogno di una sicurezza “by design”. L’eccezione deve essere la cosa non sicura, non quella sicura. Questa è la nostra visione. Non è che ci sia necessità di una tecnologia come la nostra perché  ogni informazione sicuramente verrà  modificata. Ma basta anche soltanto uno 0,1% di informazioni corrotte per poter mettere in dubbio tutte le altre».

Quali settori hanno maggiormente bisogno di questo servizio?

«In ambito business lo forniamo ad assicurazioni, banche, società di consulenza, società che certificano informazioni, come ad esempio nel superbonus. Ma anche società farmaceutiche e logistica. Esistono però anche tutti gli ambiti personali. Sono tanti i casi in cui una persona, anche al di fuori del mondo del business, ha necessità di comprovare la propria fiducia. Pensiamo anche ai casi di stalking, diffamazione e violenza, spesso purtroppo anche di genere, dove vi è un po’ la parola di uno contro quella dell’altro. Avere la possibilità di comprovare che un fatto sia successo davvero in quel luogo e in quel momento e che nessuno abbia la possibilità di contestarlo ha un valore molto forte».

C’è un ambito che più di tutti sovrasta gli altri per necessità?

«In tendenza, secondo me, non potrà non essere così per tutto. Non saprei se ci sia un settore che più di altri ne ha bisogno, penso l’opposto, a chi non può servire? Mi aspetto che in futuro sarà controllata anche una semplice foto di gatti, proprio perché tutte le foto potrebbero essere censite e certificate in questa modalità – probabilmente anche quelle che non servono. È chiaro che i primi settori che lo dovranno utilizzare sono quelli o molto normati o in cui girano grandi capitali. In ogni caso faccio fatica a pensare a un ambito in cui non ci saranno premure di questo tipo. C’è qualcuno che lo adotterà più velocemente perché ne ha bisogno, altri che arriveranno».

La necessità a livello personale può essere messa sullo stesso piano di quella aziendale?

«Assolutamente sì. Ogni giorno assistiamo decine e centinaia di individui. Prendiamo per esempio una telefonata registrata in cui si rivelano determinate informazioni o si compiono minacce. Se non fosse certificata, tra già un anno quello che è stato detto potrebbe essere facilmente modificato. Ancora una volta, serve raccogliere non soltanto foto, video o registrazioni audio, ma anche screenshot come prova. Gli utilizzi personali sono davvero tanti e non ci sono limiti».

Perché le PMI sono così restie a investire sul digitale?

«È un tema di consapevolezza. Tutto potrebbe sembrare inutile fino a che non diventa indispensabile o fino a che addirittura non viene richiesto dalla legge. Però è anche vero che bisognerebbe andare oltre all’ottica di spesa. Ad esempio, in una contestazione di un prodotto danneggiato, il contenzioso costerebbe dieci volte il nostro servizio, che può evitarlo. Consente di mettersi al riparo da problematiche non solo assicurative. La chiave è capire che il valore non è di per sé immediato, ma nella riduzione del rischio che possano succedere danni peggiori in futuro. Non siamo tra quei servizi che permettono di aumentare il fatturato, però facciamo sì che venga messo al sicuro».

Quali sono le prospettive future per TrueScreen?

«Sicuramente una presa di consapevolezza fortissima. Quando abbiamo iniziato, dovevamo ancora spiegare il problema alle aziende. Oggi invece non lo facciamo più. Questo vuol dire che nel frattempo sul problema si è venuta a creare maggiore sensibilità. All’estero, molto più che in Italia, questo tema è sentito. Io dico sempre che il nostro momento deve ancora arrivare, per quanto l’argomento sia estremamente attuale e dibattuto, molto presto ci potranno essere leggi che parlano di questi temi. Se oggi è su base volontaria, domani potrebbe essere obbligatorio. Noi cerchiamo di prepararci a quando questo sarà inevitabile per essere la soluzione principale da adottare».              

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📸 Credits: Canva.com

Articolo tratto dal numero del 1 gennaio 2024 de il Bollettino. Abbonati!

Studentessa di Scienze della Comunicazione con una grande passione: il giornalismo. Determinata, ambiziosa, curiosa e precisa. Per Il Bollettino mi occupo di lifestyle in tutte le sue forme cercando di fornire una nuova prospettiva alla realtà che ci circonda.