Donne istruite e disoccupate. È questo il quadro fotografato dall’Eurostat nel terzo trimestre del 2023 nei Paesi comunitari. In Europa il tasso di occupazione per gli uomini è del 78,5%. Per l’universo femminile si ferma invece al 67,7%: 10,8 punti percentuali in meno. Il mercato del lavoro pare prediliga il genere maschile, anche se le competenze delle donne potrebbero essere superiori. Infatti la percentuale di uomini tra i 30 e 34 anni in possesso di laurea e/o master è il 10,7% in meno rispetto alle potenziali colleghe.
Differenze salariali
Ma c’è di più. Le donne in Europa non solo lavorano meno, ma percepiscono anche stipendi inferiori. In tutti i Paesi UE guadagnano all’ora cifre più basse in media del 14,4% rispetto agli uomini. Considerate le differenze di genere nella distribuzione del monte ore mensili è stimato che nel complesso il divario retributivo sfora il tetto del 36%. In alcune aree, come l’Italia, la situazione è ancora più grave: le lavoratrici incassano salari più bassi del 43%.
Le nuove frontiere dell’occupazione
La loro scarsa presenza nei ruoli apicali delle aziende, secondo il report The Age of Adaptability di ManpowerGroup, è penalizzante. Meno di 1/3 dei ruoli dirigenziali è a guida femminile. Un dato che preoccupa sul fronte delle performance che con donne in posizioni di leadership aumentano del 39%. Nei settori che nel futuro prossimo offriranno maggiori opportunità occupazionali (tecnologia e informatica) la presenza di “quote rosa” è bassissima. In Italia, che appare tra gli ultimi Paesi UE per inclusione femminile nel mercato del lavoro, sono il 16%.
Cosa chiedono le donne sul posto di lavoro
Le difficoltà maggiori sul posto di lavoro sono rappresentate dalla possibilità di riuscire a conciliare lavoro e famiglia. L’85% delle candidate durante i colloqui vorrebbe poter scegliere di organizzare i tempi in base alle proprie esigenze. I tre “privilegi” più richiesti sono infatti: la settimana lavorativa di 4 giorni (nel 64% dei casi); la libertà di cambiare l’orario di inizio e fine turno (45%) e la possibilità di lavorare in smart working da casa (35%). Insomma, di fatto, si chiede flessibilità per compensare l’assenza di politiche inclusive. ©
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