È ancora il sogno di coppie di tutto il mondo: il matrimonio da favola. Sarà forse per questo che l’Italia, a cui non mancano paesaggi e location spettacolari, si attesta tra le mete preferite dai turisti di tutto il mondo per sposarsi. Con numeri che non lasciano spazio al dubbio. Il 2023 è stato un anno d’oro, con un fatturato totale stimato di 803 milioni di euro per i matrimoni celebrati in Italia secondo i dati forniti dall’Osservatorio di Italy for weddings di Convention Bureau Italia. Le presenze sono salite del 23% rispetto all’anno precedente, con un costo medio a evento pari a 59mila euro. E le previsioni sono ottimistiche anche per il 2024, con la stima di un rialzo delle prenotazioni secondo il 43% degli imprenditori consultati.
Sono dati talmente positivi che si stenta a crederci…
«Sono quelli ufficiali, lavorati dal Centro studi turistici di Firenze, che afferisce a Convention Bureau Italia, l’ente certificatore a cui ci affidiamo perché è l’unico al momento che raccoglie i dati calcolati sulle prenotazioni degli operatori che muovono il settore» dice Serena Ranieri, Presidente FederMEP (Federmatrimoni ed eventi privati). «Teniamo conto del fatto che nelle stime rientrano anche gli stessi italiani che decidono di sposarsi nel nostro Paese ma spostandosi dalla propria residenza per raggiungere per esempio la Puglia o la Sicilia».
Quanto può costare un abito da sposa per un evento di questo tipo, in cui una coppia dall’estero si trasferisce in Italia qualche giorno per sposarsi?
«Impensabile acquistare qualcosa che stia al di sotto dei 4.500 euro di cartellino. E se si risparmia è perché si sceglie qualche pezzo appartenente a collezioni passate. L’esempio vale per una sposa non milionaria, ma normale, che cerchi un vestito italiano, di buona fattura e tessuto mediamente pregiato. Che non sia quindi all’interno di un brand che magari ha uno stile accattivante, copiato dalle firme più prestigiose, ma che poi non è sostenuto dalla qualità ed è cucito con una seta scadente. Perché ci sono sete e sete».
Se invece si cerca qualcosa di un livello più alto?
«Per stilisti italiani, dico ad esempio Antonio Riva o Emanuele Bilancia, i prezzi sono in generale più alti rispetto a marchi esteri come per esempio quelli spagnoli. Anche per un abito senza pretese quindi senza troppi pizzi e ricami, ma comunque principesco, con bustino e gonna amplia e una bella coda, non si scende sotto i 7-8mila euro. E si è fortunati se in questo budget rientrano anche gli accessori».
Facile che si arrivi a spendere 60mila euro per l’evento nel suo complesso…
«Bisogna fare dei distinguo. Il dato sui 59mila euro di spesa media si riferisce anche al pre e after wedding, quindi all’evento nella sua interezza. In questo caso i prezzi lievitano un po’. Ma se si resta sull’evento in sé, senza esagerazioni e con un centinaio di invitati, si riesce a non superare i 45mila euro di costo totale. Da notare poi che secondo i dati del Centro studi diminuiscono gli eventi compresi nelle prime tre fasce di budget medio, e cioè fino a 10mila euro, da 10 a 25mila euro e da 25 a 50mila euro, che perdono circa 18 punti percentuali, a vantaggio delle fasce più in alto».
Da quale Paese arrivano con più frequenza gli stranieri che scelgono di sposarsi da noi?
«Sono soprattutto statunitensi. Nel 2023 si è registrato un aumento delle richieste da parte degli Usa, che sono il principale target di riferimento. Ma sono in crescita anche altri Mercati extraeuropei, tra cui australiani, canadesi, indiani, cinesi».
Per quanto riguarda l’Europa invece?
«Stanno un po’ rallentando le richieste provenienti dalla UE. La quota di Mercato è scesa al 52% dal 57% del 2022. Le prenotazioni più numerose sono arrivate dalle coppie del Regno Unito e della Germania, entrambe in leggera flessione rispetto allo scorso anno. Mostrano interesse anche svizzeri, olandesi e lituani, tutti in evidente crescita. Sono stabili invece le domanda delle coppie francesi, irlandesi, spagnole e del Belgio».
Il 2023 è stato anche l’anno dell’uscita definitiva dall’emergenza Covid che ha segnato il ritorno alla celebrazione degli eventi in tranquillità…
«Sicuramente ha avuto un peso nel quadro esplosivo che ne è poi uscito a livello di numeri. Gli eventi che non sono stati possibili per le chiusure dovute alla pandemia sono stati posticipati, portando poi a un boom di prenotazioni da gestire. Ma noi italiani su questo abbiamo avuto un vantaggio».
Di che tipo?
«I nostri sono stati i protocolli più restrittivi in fatto di regole per il distanziamento. A differenza per esempio dei nostri competitor diretti, che sono gli spagnoli e i greci. E a lungo andare, con prenotazioni che sono state registrate anche a un anno di distanza, questo ha pagato perché poi gli eventi si sono potuti effettivamente svolgere senza subire ulteriori posticipi».
C’è stato qualche altro fattore che ha contribuito a rilanciare così fortemente il settore?
«Sicuramente anche il progetto che ha lanciato di recente la Farnesina, finanziato dal PNRR, e che si chiama Turismo delle Radici. Il nome dell’iniziativa è Italea e si rivolge sia a stranieri che già conoscono le proprie origini italiane e che vogliono organizzare un viaggio per esplorare luoghi, tradizioni e cultura dei propri antenati, sia a chi desidera scoprire la propria discendenza italiana. In questo secondo caso si mettono a disposizione genealogisti esperti che guidano nel percorso di ricerca delle proprie radici».
Ci sono sconti o agevolazioni di qualche tipo?
«Sì, esistono progetti che organizzano viaggi di gruppo per aiutare le persone interessate a venire in Italia alla scoperta delle proprie origini. Questo ha dato una spinta anche all’organizzazione dei matrimoni, specie nei piccoli borghi».
Le classifica delle location dei matrimoni sono un altro aspetto da evidenziare perché le preferenze degli sposi stanno cambiando…
«C’è una nuova tendenza, anche se di nicchia, che sta prendendo piede ed è quella del matrimonio nei piccoli borghi o magari su qualche piccola spiaggia. La villa continua però essere il luogo privilegiato per le celebrazioni, lo è stato anche nel 2023, seguita da un’altra tipologia suggestiva che è la residenza storica. Consolidano il proprio ruolo invece agriturismi e aziende agricole che rimangono saldamente al terzo posto nella graduatoria, mentre salgono di oltre tre punti le preferenze per i castelli».
Quanto a numero di invitati medi e permanenze, invece?
«Il numero di invitati è in salita. Siamo in genere sui 60 in media a cerimonia, contro i 55 degli anni scorsi. Il report ci indica come sia significativa la quota delle cerimonie con un numero di invitati tra 51 e 100, che aumenta al 63% dal 41,3% del 2022. Di pari passo rispetto al 2022 diminuisce la permanenza media degli sposi e degli invitati: 2,9 notti contro le 3,3 del 2022. Il trend potrebbe derivare dal bisogno di comprimere la spesa a seguito dell’impennata dell’inflazione e degli aumenti generalizzati dei prezzi che hanno caratterizzato l’intero anno».
Quello del destination wedding planner è un lavoro a 360 gradi, che copre tutto lo svolgimento dell’evento. Dalla ricerca dell’abito, al catering e ai pernottamenti?
«Il nostro è un lavoro che comprende tutta la parte logistica, ed è ciò che ci diversifica rispetto al mestiere del weeding planner. Una figura che si occupa di coordinare il giorno del matrimonio, sostanzialmente reperendo i fornitori e mettendoli insieme. A volte nel loro caso non esiste neppure il passaggio economico, nel senso che non fanno da tramite per i pagamenti. Come destination wedding planner invece gestiamo gruppi più grandi e una maggiore complessità. Per questo stiamo facendo una battaglia per essere riconosciuti come tour operator a tutti gli effetti».
È un’industria vera e propria?
«La nostra è una filiera composta da 50mila aziende, quasi tutte al femminile peraltro. Il management è sempre composto da donne, non solo l’organico in sé. Un aspetto che tengo a sottolineare perché quando in politica si parla di strategie economiche per supportare l’imprenditoria femminile dobbiamo pensare che ne abbiamo una come la nostra sotto il naso».
Una forza che produce posti di lavoro
«Ci sono 250mila lavoratori fissi, che si triplicano nella stagione che va da giugno a ottobre. Per capire in che settori basta seguire i soldi. Dei 59mila euro di spesa media a evento, la fetta maggiore se la porta via il Food&Beverage, con il 35%. Il 27% va a tutti i ruoli di contorno, che possono essere i servizi per foto, video, allestimenti etc. Il 21% per location e tensostrutture e il 16,8% all’ospitalità».
Anche voi faticate a trovare personale?
«Altroché. Il problema è esploso pure nel nostro caso nel post Covid perché molti hanno cambiato lavoro. Una logica conseguenza di chiusure durate 14 mesi. Adesso non riusciamo a trovare persone che lavorino durante la stagione estiva: floreal designer, allestitori e noleggiatori. Abbiamo dovuto chiedere aiuto alla Francia, da lì sono arrivate squadre al completo».
C’è una questione di salari troppo bassi nel vostro settore?
«No, non è come nella ristorazione. C’è un discorso di fatica e sacrificio, perché è chiaro che nel settore del wedding si lavora quando per gli altri è festa. La domenica per me è un giorno di lavoro. Ma a livello di retribuzioni siamo sopra la media, proprio perché i nostri eventi possono contare su budget elevati. I soldi girano quindi non avrebbe senso pagare poco le persone, per lavori che sono comunque faticosi».
Quali sono le figure più ricercate?
«Oltre al floreal designer, servono fotografi specializzati nello shooting da matrimonio. È un lavoro a parte, non ci si improvvisa. Sono figure che andrebbero riconosciute con specializzazioni già a partire dagli istituti tecnici regionali, all’interno delle scuole alberghiere per esempio. Andrebbero inseriti corsi per diventare direttore di catering, wedding planner o destination wedding planner. C’è tutto un universo di mestieri non riconosciuti in questo campo, per i quali andrebbero stipulati anche contratti nazionali di lavoro».
Serve solo personale specializzato o anche altre figure?
«Reclutiamo anche hostess, ragazze stagionali che magari sono alle prese con gli studi e con 3 sere a settimana possono arrivare anche a 1.200 euro al mese, perché la paga è di 150 euro a serata. Si impara un lavoro e nel frattempo si portano avanti gli studi. Anzi a questo proposito va denunciato un altro aspetto».
Quale?
«Ci sono stati tolti i voucher, che erano uno strumento molto utile per lavori saltuari come questo. Era un modo per inquadrare il personale e metterlo in regola. Noi come srl riuscivamo a detrarre le spese e a pagare di più i collaboratori».
Lei è Presidente di Federmep, di cosa si occupa la sua associazione?
«FederMEP rappresenta gli addetti del settore matrimoni e eventi privati, a prescindere dalla loro dimensione economica e aziendale. Siamo un interlocutore per dialogare con istituzioni e organizzazioni economiche al fine di tutelare e valorizzare la event and wedding industry italiana».
Da pochi giorni ha anche un altro ruolo di peso?
«Sono Vice Presidente del Sindacato dei rappresentanti di interessi parlamentari SIRIP, ente che raccoglie i lobbisti iscritti all’elenco della Camera dei Deputati italiana che rappresentano gli interessi di tutte le categorie economiche e sociali del nostro Paese. Il mio scopo sarà segnalare le vere necessità dell’intero tessuto economico nazionale».
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Articolo tratto dal numero del 1 maggio 2024 de il Bollettino. Abbonati!