Per rispondere a un’esigenza crescente, entra in campo anche una nuova figura centrale, lo psicologo di base. Lavorerà insieme a medici generali, pediatri e con l’area di psicologia delle aziende sanitarie. L’obiettivo è di introdurre in ogni casa di comunità e nella rete delle cure primarie degli psicologi ai quali i cittadini potranno rivolgersi direttamente. Senza la necessità di una prescrizione medica. La misura è partita dalle regioni: ben 10 Regioni (Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Abruzzo, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia) che stanno già garantendo assistenza psicologica gratuita ai cittadini. Ciò è possibile tramite il Sistema sanitario regionale, attraverso le figure degli psicologi di base sono.
Semaforo verde per lo psicologo di base
E arriva anche il semaforo verde del Ministro della Salute Orazio Schillaci nel Testo Unico della Commissione Affari Sociali della Camera, un provvedimento bipartisan per istituire lo psicologo di base a livello nazionale. Nel testo è previsto un professionista ogni 4 medici di famiglia, nonché uno in ogni casa di comunità, con 30 milioni di fondi a disposizione e oltre 5mila assunzioni. La macchina dell’assistenza psicologica comincia a muoversi.
«Bisogna immaginare lo psicologo di base come un medico di famiglia. Dà una serie di risposte, molti casi li risolve in prima persona mentre altri li invia agli specialisti. Sono solo sette le Regioni in Italia ad avere introdotto questa figura ma l’auspicio è che ci sia una legge nazionale e la richiesta è che il Parlamento la approvi entro l’anno. Il Bonus Psicologo è inoltre un canale importante di aiuto in un paese dove la psicoterapia pubblica è quasi inesistente», dice David Lazzari, Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi.
«Per iscriversi all’Ordine degli Psicologi bisogna conseguire una laurea in psicologia e poi superare l’esame di Stato, che comunque è rimasto dopo la legge sulle lauree abilitanti sia pure in formato diverso. Invece, per svolgere l’attività di psicologo di assistenza primaria, o di base come spesso si dice, è necessaria una formazione specifica post laurea, come accade per i medici di medicina generale».
In termini di salute mentale a che livello siamo in Italia?
«La situazione italiana sembra non essere migliore di quella internazionale. Anzi, tutte le indagini ci danno degli indici di presenza di disagio psicologico e anche di disturbi abbastanza elevati. Quasi un italiano su cinque (17%) si è rivolto all’aiuto di un esperto, una percentuale che rimane abbastanza simile tra uomini (16%) e donne (18%), ma che aumenta sensibilmente (25%) nella fascia di popolazione più giovane, quella dai 18 ai 35 anni».
Come ha influito la pandemia?
«Il lockdown ha prodotto a mio avviso due effetti principali. Da un lato ha aggravato la situazione, per cui il numero di individui affetti da un malessere è cresciuto in maniera considerevole. Il tema dei disagi e dei disturbi si presenta come un vero e proprio iceberg, una piramide alla cui base si trovano i casi di disagio psicologico. Man mano che si sale troviamo situazioni più invalidanti, ovvero disturbi ansiosi e depressivi, disturbi reattivi e psicosomatici da stress. Nella parte più alta della piramide ci sono invece i disturbi psichiatrici più gravi. Assistiamo all’aumento significativo delle situazioni nella parte bassa e media della piramide, che spesso non vengono intercettate e aiutate, non c’è un’azione di prevenzione, e questo porterà anche ad un aumento delle situazioni più gravi. In secondo luogo, la pandemia ha portato con sé anche una maggiore consapevolezza sul tema, c’è più attenzione, le persone capiscono l’importanza di aiutarsi e farsi aiutare».
È cambiato qualcosa nel tempo?
«Sta accadendo per i problemi psicologici quello che un secolo fa era accaduto per la salute fisica, ossia che le persone avevano cominciato a chiedere che non fosse più un tema che il singolo deve affrontare da solo ma che diventasse un tema sociale. E così nacquero i sistemi sanitari. Oggi non sono al centro dell’attenzione solo le malattie mentali in senso stretto ma il benessere psicologico. Quello che serve è una rete di risposta e prevenzione di tipo psicologico e psicoterapico. In base ai dati del Ministero della Salute, su 100 cittadini che accedono ai servizi di salute mentale in Italia, solo 5 ricevono un aiuto psicologico. È evidente come nella rete pubblica non ci sia una risposta a questo tema. O meglio, c’è una risposta farmacologica ma non una psicologica».
Chi è coinvolto maggiormente?
«La parte di popolazione che più ha risentito degli effetti della pandemia e degli eventi degli ultimi 3 anni sono gli adolescenti: ansia (28%), depressione (23%), solitudine (5%), stress (5%) e paura (5%) sono i problemi di salute mentale più comunemente riscontrati secondo il rapporto Mental Health Index 2.0 realizzato da The European House».
I costi delle terapie sono comunque sono troppo elevati per una fetta della popolazione…
«Serve una rete e una visione di sistema. Bisogna fare prevenzione per impedire l’insorgere o l’aggravamento dei problemi. E accanto a ciò una promozione delle risorse e un’intercettazione precoce. Qui entra in gioco la psicologia scolastica, un grande contenitore di ascolto. Accanto a questa c’è lo psicologo di base, un altro disegno di legge in discussione. Servono anche servizi di secondo livello, quindi le ASL, i consultori familiari e i servizi ospedalieri. L’aiuto psicologico molto spesso è legato anche alla salute fisica. Certo, ci sono anche gli ambienti di lavoro e le organizzazioni. Ogni volta che parliamo di comunità, ad esempio nelle carceri, ci rendiamo conto di quanto la psicologia sia un bisogno diffuso. Questo bisogno però, oggi, viene soddisfatto nell’80% dei casi a livello privato. Vengono tagliate fuori milioni di persone che non hanno le risorse economiche».
C’è di più?
«Nell’ottobre 2023 dall’indagine in collaborazione con l’Istituto Piepoli è emerso che sono almeno 5 milioni gli italiani che vorrebbero aiuto psicologico e non possono averlo perché non lo trovano o non se lo possono permettere da un punto di vista privato. Il cambiamento socioculturale si fa sentire rispetto ai problemi psicologici. Sempre più si chiede la stessa dignità della salute fisica, sia nella prevenzione sia nella cura. Una persona su dieci che rinuncia alle cure per mancanza di risorse e denuncia un forte ritardo nel garantire una assistenza pubblica. Purtroppo, i costi umani ed economici dei mancati interventi sono un peso grande che paga tutto il Paese».
E ci sono differenze tra uomini e donne?
«Quasi un cittadino su due chiederebbe aiuto a un esperto in caso di problemi di natura psicologica, mentre il 38% ne parlerebbe prima con le persone care. Per il 58% la pandemia ha cambiato il rapporto delle persone con i problemi psicologici: si è più propensi a chiedere aiuto, si parla più facilmente dei problemi psicologici con meno vergogna e si affrontano più apertamente. Rispetto a un anno fa, però, il benessere psicologico è sensibilmente peggiorato (-15%), in egual misura tra uomini e donne, ma soprattutto nella fascia più produttiva sul lavoro, quella 35-54 anni (-23%)».
Oltre al supporto scolastico, in che modo i genitori possono essere una fonte di sostegno?
«In quanto cittadini, possono chiedere che anche in Italia venga fatta una norma che prevede con l’intervento dello Stato e delle Regioni l’istituzione di servizi di psicologia scolastica in tutti gli istituti. La psicologia scolastica è presente in tutti i Paesi d’Europa e quindi è auspicabile che ci sia anche da noi. Ovviamente non è l’unica risposta, ma una delle risposte che dobbiamo dare per prevenire, intercettare precocemente e dare forme di ascolto a un malessere e disagio psicologico sempre più diffuso. Almeno il 50% dei disturbi di salute mentale esordisce prima dei 15 anni e l’80% di questi ultimi si manifesta prima dei 18 anni, in alcuni casi diventando un problema permanente per tutta la vita di una persona».
Ci sono soggetti più sensibili di altri?
«Sicuramente tutti coloro che vivono situazioni di marginalità, anche sociale. Un ulteriore fattore predisponente è avere in famiglia soggetti già con problematiche, ad esempio genitori con problemi o situazioni altamente conflittuali di tipo traumatico. Tutte queste sono situazioni a rischio. Sappiamo, in base alla letteratura scientifica, che ci sono più probabilità di instaurare in futuro disturbi psichici, comportamentali e fisici. Anche una persona con diagnosi di tumore, ad esempio, diventa un soggetto a rischio perché risente di un impatto traumatico se non affrontato in maniera adeguata».
Cosa potrebbe accadere nel prossimo anno a livello legislativo e sociale?
«Mi aspetto che il nostro Paese si avvicini sempre più a una rete di prevenzione e risposta psicologica per i milioni di giovani, adulti e anziani che hanno questa necessità. L’Italia progressivamente deve dotarsi di una rete di questo tipo. Il bisogno di assistenza dall’altro lato è in forte crescita. Credo che ci sia un grande vuoto, soprattutto di risposta da parte dell’ente pubblico. L’assistenza psicologica è uno dei settori di maggiore ingiustizia sociale. Chi ha le risorse si fa aiutare, chi non può rimane indietro».
Con la Legge di Bilancio 2023 è attivo il Bonus Psicologo. L’ammontare massimo erogabile è di 1.500 euro per ogni richiedente e l’utilizzo copre i costi della psicoterapia fino a 50 euro a seduta. Per diventare beneficiari bisogna avere un ISEE massimo di 50 mila euro. Le richieste attraverso il servizio online dell’INPS sono ormai chiuse, ma secondo le previsioni, su 400.505 domande pervenute, sulla base dei fondi disponibili (10 milioni di euro), riceveranno il sostegno fiscale tra il 1,67 e il 5% dei richiedenti (6.666-20mila persone).
Destiniamo il 3,4% della spesa, gli altri invece…
L’Italia si colloca agli ultimi posti in Europa per quota di spesa sanitaria dedicata alla salute mentale. Al settore è destinato circa il 3,4% della spesa sanitaria complessiva. I principali Paesi ad alto reddito, al contrario, ne dedicano più del 10%. Eppure, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, quasi 1 miliardo di persone nel mondo vivono con almeno un disturbo mentale (1 persona su 8 a livello globale). Solo in Italia, nel 2022 sono state assistite 776mila persone. Le prestazioni erogate nel 2022 dai servizi territoriali ammontano a oltre 9 milioni 300mila. Dall’attività infermieristica e psichiatrica alla riabilitazione e risocializzazione territoriale fino al supporto alla famiglia. Ma non è ancora abbastanza per soddisfare le esigenze della popolazione.
Con riferimento all’anno 2021, il costo medio annuo dell’assistenza psichiatrica, secondo l’ultimo Rapporto sulla Salute Mentale, sia territoriale sia ospedaliera, è pari a 69,8 euro per residente. Nel complesso, i cittadini spendono circa 3,3 miliardi di euro all’anno per i servizi sul territorio. Di cui 1,44 miliardi di euro per l’assistenza ambulatoriale e domiciliare, 410 milioni di euro per quella semiresidenziale e quasi 1,5 miliardi di euro per quella residenziale. Per quanto riguarda l’assistenza psichiatrica ospedaliera, la remunerazione teorica delle prestazioni di ricovero è nel 2022 pari a 179 milioni di euro.
A fronte dei 4 miliardi di euro attualmente dedicati alla spesa pubblica per la salute mentale, secondo quanto rilevato dal Progetto MORe, la necessità calcolata è di incrementare gli investimenti di almeno 1,9 miliardi in 3 anni. La maggioranza di questa cifra dovrebbe andare a colmare le necessità del settore in termini di personale sanitario dedicato. Per rispondere al crescente numero di pazienti, gli operatori dovrebbero essere il 47,2% in più, per 1 miliardo di euro di investimento.
I costi complessivi
I costi complessivi legati alla salute mentale, che includono tra quelli indiretti la perdita di produttività dei pazienti e dei loro caregiver, ammontano al 4% del PIL totale europeo (oltre 600 miliardi di euro). I Paesi europei che hanno già attuato programmi di prevenzione e promozione della salute mentale legati al lavoro sono circa il 45% sul totale. Mentre il 68% ha attuato una strategia o un programma nazionale incentrato sulla promozione della salute mentale e la prevenzione del disagio tra bambini e adolescenti. Nel vecchio continente, disturbi mentali e comportamentali e suicidi pesano per il 4% sul totale dei decessi.
Secondo il rapporto Mental Health Index 2.0 stilato da The European House – Ambrosetti, le morti causate da disturbi psichici e comportamentali hanno raggiunto le 235mila unità a livello europeo. Se si considerano gli stati membri dell’Unione e il Regno Unito, il tasso di mortalità legato a problemi di salute mentale è di 37,7 decessi per ogni 100mila abitanti. In Italia, il dato si alza a 43,6. Numeri che rendono il suicidio la quarta causa di morte per la popolazione europea di età inferiore ai 20 anni. Investire in ottica di un sostegno rispetto al tema della salute mentale diventa perciò essenziale. Qualche passo avanti si sta facendo. Negli ultimi anni, le strutture ambulatoriali dedicate sono passate da 3,9 a 9,1 per mille abitanti a livello europeo. L’Italia, però, è ancora solo nona nel posizionamento dei Paesi che hanno totalizzato il punteggio più alto. Questo per quanto riguarda la qualità dell’assistenza sanitaria per i disordini mentali.
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📸 Credits: Canva.com
Articolo tratto dal numero del 1 settembre 2024 de il Bollettino. Abbonati!