Il popolo crypto e blockchain cresce: in Italia sfiora i 2 milioni, ma qualcosa continua a far paura
Nel vasto panorama delle tecnologie emergenti, la Blockchain e le crypto emergono trasformando il modo in cui il mondo concepisce transazioni, sicurezza e decentralizzazione. Questi innovativi strumenti digitali hanno acceso un fervente dibattito globale, stimolando diverse reazioni da parte di ciascun Paese, con approcci unici per navigare le acque di questa rivoluzione tecnologica.
Negli Stati Uniti, la Silicon Valley si erge come baluardo dell’innovazione, con start-up che spingono i confini della Blockchain, mentre regolatori come la Securities and Exchange Commission (SEC) si trovano a bilanciare l’entusiasmo con la necessità di proteggere gli investitori. In Asia, la Cina adotta una strategia diametralmente opposta: se da un lato reprime l’uso delle criptovalute, dall’altro abbraccia la tecnologia Blockchain per modernizzare le sue infrastrutture finanziarie.
In questo contesto internazionale variegato, l’Italia si presenta con un approccio pragmatico e cauto. Mentre il Governo italiano ha dimostrato un’apertura verso l’innovazione tecnologica, promuovendo progetti pilota e iniziative di ricerca, esiste una chiara volontà di garantire che la regolamentazione protegga i cittadini e l’economia nazionale. Dalle prime sperimentazioni nel settore bancario fino alla creazione di un ecosistema favorevole per le start-up Blockchain, il nostro Paese sta cercando di trovare il giusto equilibrio tra progresso e prudenza.
«In Italia abbiamo le competenze necessarie per sviluppare e innovare, ma mancano i capitali, che tendono a preferire altri Paesi» dice Christian Miccoli, CEO di Conio Inc.
I Paesi più progressisti in ambito crypto e blockchain
Quale crede siano i Paesi più progressisti in ambito Crypto e Blockchain?
«Questa è una domanda complessa, perché è difficile stabilire una classifica unidimensionale in cui il “più progressista” sia il migliore. Un Paese che spinge sull’uso della Blockchain e delle criptovalute non è necessariamente un modello positivo. Ad esempio, El Salvador considera il Bitcoin moneta legale, ma questo non lo rende avanzato in ogni aspetto. In generale, la possibilità di utilizzare le criptovalute è proporzionale al livello di organizzazione e libertà di un Paese. All’estremità più illiberale, come la Cina, le criptovalute sono completamente vietate.
Nei Paesi occidentali, invece, le criptovalute sono accettate e, con il tempo, sono passate da essere tollerate a regolamentate, diventando parte dell’ortodossia. Il fatto di tollerare o accettare l’uso di Bitcoin o delle altre criptovalute è un segnale di apertura e forza economica. Significa che un Paese è sicuro della propria moneta e non teme la competizione con le criptovalute. Al contrario, nei Paesi meno liberali ma economicamente forti, come la Cina, si tende a vietare le criptovalute. Pertanto, ci sono due fattori da considerare: quanto è liberale un Paese e quanto è forte la sua divisa locale. Se la valuta non ispira fiducia, i cittadini potrebbero preferire le criptovalute. Se invece è forte e in uno Stato aperto economicamente, facilita l’adozione delle criptovalute. Quindi, non esiste una singola dimensione per valutare l’uso delle criptovalute: dipende sia dalla forza economica sia dal livello di libertà del Paese».
L’utilizzo della tecnologia blockchain: dal Settore bancario ed oltre
Negli altri Paesi, la tecnologia Blockchain viene utilizzata in più ambiti, soprattutto in quello bancario. Ci stiamo muovendo per recuperare terreno?
«Sì, si sta sviluppando qualcosa a livello bancario, ma non riguarda solo le banche. La Blockchain è uno strumento che consente di trasferire token digitali da una persona all’altra mantenendo l’unicità del token stesso, il che la rende ideale per il trasferimento di valore. Ad esempio, il Bitcoin, un gettone digitale con valore di Mercato determinato dall’equilibrio tra domanda e offerta, può essere trasferito grazie a questa tecnologia. Tuttavia, un token non è necessariamente una criptovaluta. Esistono Blockchain che gestiscono non solo la moneta nativa ma anche asset digitali aggiuntivi. Questi token digitali, come le criptovalute, hanno un valore, ma questo valore può dipendere da una promessa dell’emittente.
Per esempio, la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) in Italia ha emesso un’obbligazione tokenizzata poi acquistata da Intesa Sanpaolo. Questi token incorporano un’obbligazione di pagare interessi e restituire il capitale a scadenza, il che li distingue dalle criptovalute pur essendo tecnologicamente simili. È un tipo di strumento che sta diventando sempre più comune, perché il settore finanziario ha riconosciuto i vantaggi della tecnologia Blockchain, tra cui riduzione dei costi, maggiore velocità delle operazioni e minore necessità di intermediari, migliorando l’efficienza del sistema.
Inoltre, la Blockchain permette un maggiore controllo delle transazioni, riducendo le attività illecite. Un altro aspetto rilevante è la programmabilità dei token attraverso gli smart contract. Questo significa che si possono fare cose più complesse oltre al semplice trasferimento da un wallet a un altro, aprendo nuove possibilità di business. Ad esempio, è possibile inserire wallet di moneta elettronica negli oggetti connessi in rete, creando modelli di business completamente nuovi rispetto a quelli attuali».
La percezione dell’italiano medio
Come viene percepita dal consumatore medio italiano questa tecnologia?
«Oggi non c’è una chiara percezione della tecnologia sottostante, poiché si vedono solo le applicazioni finali, come le criptovalute. La comprensione della Blockchain e dei meccanismi che la governano è ancora limitata, e la maggior parte delle persone si concentra sui benefici tangibili e immediati delle criptovalute stesse. Tuttavia, queste criptovalute continuano a diffondersi rapidamente in Italia. Secondo l’ultimo report dell’OAM (Organismo Agenti e Mediatori), il numero di italiani con posizioni attive in criptovalute è salito da 1.100.000 dell’anno scorso a 1.700.000-1.800.000 di quest’anno, mostrando una crescita significativa.
Il settore è in costante crescita e si prevede che continuerà su questa traiettoria positiva. Dal punto di vista del cliente, il possesso di criptovalute è spesso visto come un’opportunità finanziaria, una sorta di investimento che può portare a guadagni notevoli, senza una vera comprensione della complessa tecnologia che le sostiene. Questa mancanza di comprensione, tuttavia, non ha impedito la loro adozione.
Parallelamente, le aziende, non solo le banche, stanno iniziando a riconoscere il potenziale della tecnologia Blockchain. Queste istituzioni stanno sviluppando prodotti e servizi basati su token programmabili, che potrebbero presto offrire vantaggi operativi tangibili nella vita quotidiana. Questo sviluppo va oltre la mera speculazione finanziaria, promettendo di rivoluzionare il modo in cui interagiamo con la tecnologia e i servizi finanziari».
Il futuro della blockchain e del settore crypto
A cosa possano portare questa nuova tecnologia e questi servizi?
«Questa è la prossima frontiera per la diffusione della tecnologia Blockchain e potrebbe segnare una nuova rivoluzione tecnologica. Se questi servizi saranno apprezzati dal pubblico, potremmo assistere a un cambiamento significativo nel settore finanziario, potenzialmente perfino più radicale di quello portato da Internet.
Quest’ultima ha cambiato la nostra vita in molti campi, incluso il settore bancario, ma gli istituti di credito principali sono rimasti gli stessi. Con la tokenizzazione, arriva una tecnologia che potrebbe trasformare profondamente i prodotti e i servizi finanziari, modificando la struttura stessa dei prodotti bancari. Attualmente, in Europa ci sono 400 milioni di conti correnti; tra dieci anni, potremmo avere 400 milioni di wallet gestiti su Blockchain.
Potrebbero contenere i nostri euro, i nostri investimenti, i nostri utility token e le criptovalute, che continueranno a esistere. Questo cambiamento strutturale potrebbe portare a una maggiore efficienza, trasparenza e sicurezza nelle transazioni finanziarie, rivoluzionando ulteriormente il modo in cui gestiamo il denaro e i nostri beni digitali».
L’Italia e la necessità di innovazione
Pensa che un giorno l’Italia potrà essere competitiva per lo sviluppo di queste tecnologie?
«Sicuramente sì, nel Paese abbiamo le competenze necessarie per sviluppare e innovare, ma mancano i capitali, che tendono a dirigersi all’estero. Questo rappresenta un problema sistemico significativo: l’Italia è spesso vista da un investitore estero come un Paese in via di sviluppo, non solo a causa dell’alto debito pubblico, ma anche perché non disponiamo di molte multinazionali tecnologiche forti che possano fungere da esempi e best practices.
Una fintech italiana, quindi, parte svantaggiata, dovendo affrontare un sistema economico e normativo più arretrato rispetto che in altri Paesi. Le regolamentazioni sono spesso più rigide e complicate, creando ulteriori difficoltà. Inoltre, il nostro ecosistema aziendale è composto principalmente da realtà troppo piccole per essere considerate eccellenti a livello internazionale, rendendo difficile per le imprese italiane competere su scala globale.
Tuttavia, questo non significa che si debba gettare la spugna. Al contrario, riuscire a fare qualcosa di buono in Italia, superando questi ostacoli, può dare molte più soddisfazioni. Affrontare e superare queste sfide può dimostrare la resilienza e la creatività italiana, trasformando le difficoltà in opportunità di crescita e innovazione». ©
Numero del 15 settembre 2024 de Il Bollettino. Abbonati!