I giovani italiani continuano a espatriare, in molti casi senza poi fare ritorno. Il problema si concentra tutto qui: l’esperienza all’estero apporta benefici, ma se poi si resta all’estero invece di rimpatriare? Il Paese a quel punto perde pezzi di capitale umano. Il saldo migratorio dei 18-34enni nel 2011-2023 è pari a meno 377mila persone (fonte: Fondazione Nord Est). Il dato reale è però secondo le stime tre volte più ampio, perché molti mantengono la residenza italiana. A rientrare sono in pochissimi: tra il 2022 e il 2023 le partenze sono state pari a circa 100mila tra i giovani, ma solo poco più di 37mila sono tornati indietro.
La meritocrazia e la ricerca di opportunità
Perché si sceglie di partire e abbandonare gli affetti? In cima alle motivazioni ci sono lo studio e il lavoro. Quasi sette expat su dieci (68,3%) sono emigrati per cercare migliori opportunità di lavoro, di formazione, per una nuova occupazione o accusando la mancanza di lavoro in Italia. Uno su quattro lo fa per trovare una migliore qualità della vita o un contesto più in linea con i propri valori. Solo il 5,9% si muove per ragioni familiari. Chi se ne va ritiene poi che all’estero il merito sia più considerato. «Si pensa che altrove siano nettamente più elevate le possibilità di dimostrare il proprio valore e di ricevere in cambio il meritato riconoscimento» è scritto nel Rapporto “I giovani e la scelta di trasferirsi all’estero” della Fondazione.
Le retribuzioni
Una forte spinta arriva anche dalle retribuzioni, specie per chi è laureato. Nel 2023 gli stipendi di chi ha studiato all’università risultano in calo, affossati da livelli di inflazione ancora elevati (fonte Almalaurea). Un quadro che scoraggia i giovani che hanno studiato nella speranza di opportunità di lavoro meglio pagate. E di fronte al quale hanno una reazione diversa rispetto al passato. A un anno dal titolo, tra i laureati in cerca di lavoro la quota di chi accetterebbe una retribuzione di 1.250 euro è pari, rispettivamente, al 38,1% e al 32,9%. Valori in discesa, nell’ultimo anno, rispettivamente, di 8,9 e di 6,8 punti percentuali. Inoltre, si dichiara disponibile ad accettare un lavoro non coerente con i propri studi il 76,9% dei laureati di primo livello e il 73 di quelli di secondo; anche in tal caso si tratta di percentuali in diminuzione, nell’ultimo anno, rispettivamente di 5,9 e 3 punti percentuali.
352mila laureati “introvabili”
Non a caso le aziende faticano a reperire candidati, anche tra i laureati. Gli introvabili sono 352mila figure (ultimo bollettino Unioncamere). Il maggiore gap tra domanda e offerta è tra laureati in ingegneria elettronica e dell’informazione e nell’indirizzo sanitario e paramedico. Qui le difficoltà riguardano oltre il 70% delle ricerche. Poco dietro, intorno al 67%, sono per il reclutamento dei laureati nell’indirizzo medico-odontoiatrico e in quello statistico.
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