martedì, 14 Gennaio 2025

Crypto: la diffidenza delle istituzioni pesa ancora. Perché?

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La moneta del futuro è una criptovaluta? Il rally delle ultime settimane, che ha visto Bitcoin superare la soglia dei 102.000 euro, sembra deporre a favore di questa ipotesi. Ma per riuscire a conquistare tutti gli attori del Mercato, sostituendosi alle forme tradizionali come riserva di valore e mezzo di scambio, le valute digitali hanno ancora parecchia strada da fare. In particolare, bisognerà vincere la ritrosia di molti incumbent del mondo finanziario ad accoglierle e integrarle nei loro processi. Soprattutto tra gli istituti di credito, sembra restare una certa diffidenza. Una prudenza di fondo verso uno strumento ancora visto per lo più come un rischio da gestire, piuttosto che come un’opportunità da cogliere. A ben guardare, però, qualcosa è già cambiato.

Ancora qualche anno fa, parlare di Crypto nei luoghi e nei contesti della finanza istituzionale sembrava un vero e proprio tabù. Oggi, sono al centro delle discussioni in convegni e raduni di settore, mentre guadagnano l’attenzione di un crescente manipolo di curiosi, anche negli ambienti più chiusi e conservativi.

Il quadro di monitoraggio

Il processo di avvicinamento tra la finanza tradizionale e il mondo Crypto è in corso ormai da diverso tempo. La tecnologia Blockchain alla base delle criptovalute è ormai familiare al contesto bancario, con utilizzi in corso di sviluppo nel campo dei pagamenti e in generale dell’efficientamento e dell’automatizzazione dei servizi finanziari. Non per niente, tecnologie a registro distribuito sono tra quelle in corso di sperimentazione per l’euro digitale, la Central Bank Digital Currency della Banca Centrale Europea, al momento solo in fase di preparazione.

Quanto ai crypto-asset, costituiscono una realtà con cui le banche si trovano a fare i conti in maniera crescente. Per monitorarne l’avanzamento, nel settembre del 2022, il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria ha varato un nuovo dataset relativo alle cripto-attività detenute dagli istituti. I dati, basati sulle dichiarazioni volontarie rilasciate da 19 soggetti, di cui 10 americani e 7 europei, fotografano uno stato di sviluppo ancora piuttosto embrionale.

Nel complesso, la percentuale di esposizione del capitale ad asset Crypto si ferma ad appena lo 0,05% del totale detenuto dalle società prese in considerazione. Lo 0,01%, se si espande il quadro a tutte le compagnie sottoposte alle verifiche previste da Basilea 3. Per giunta, più della metà delle posizioni in Crypto registrate nel dataset sono detenute da due soli istituti di credito. Per quanto riguarda, invece, il tipo di allocazione preferito, i numeri mostrano un’evidente predilezione per Bitcoin ed Ethereum. Da soli, constano dell’88,9% del totale degli asset.

Le novità regolamentari

A incoraggiare il processo di adozione di questo tipo di asset, inquadrandoli più chiaramente nel contesto normativo, arrivano le recenti novità introdotte dal legislatore europeo. In particolare, la Markets in Crypto-Assets Regulation (MiCA), pubblicata a partire dallo scorso anno, produce il primo framework regolamentare chiaro e uniforme in materia.

Entrata in vigore a scaglioni nel corso del 2024 – le ultime disposizioni si applicheranno dal 30 dicembre – la MiCA crea le concrete condizioni per l’implementazione di questo tipo di soluzioni all’interno dei portafogli dei risparmiatori bancari. In primo luogo, il regolamento circoscrive chiaramente cosa siano le crypto-attività, definite come «rappresentazioni digitali di un valore o un diritto che può essere trasferito e memorizzato elettronicamente, utilizzando un registro distribuito o una tecnologia analoga». Più nel dettaglio, ha introdotto una classificazione interna di questi strumenti, dividendoli in: token di moneta elettronica (EMT), il cui valore è legato a una singola valuta; token collegati ad attività (ART), più o meno corrispondenti alle cosiddette stablecoins e token residuali, in cui ricadono le criptovalute propriamente dette e meglio conosciute.

In aggiunta a questo, la MiCA prevede nuovi obblighi di trasparenza verso il cliente, sia per i soggetti che emettono asset, sia per quelli che forniscono servizi a essi collegati (i cosiddetti crypto-asset service provider, o CASP), come le piattaforme di scambio di criptovalute. In particolare, a ogni prodotto deve essere collegato un white paper che ne descrive con precisione le caratteristiche fondamentali, elencando dettagliatamente i diritti del cliente.

Parallelamente, si definiscono una serie di obblighi di rendicontazione alle autorità di vigilanza, in modo tale da evitare rischi come evasione fiscale e riciclaggio.

E sempre in questo sforzo di trasparenza e regolarizzazione del mondo Crypto si inquadra il nuovo framework, approvato a luglio dal Comitato di Basilea, che prevede la completa pubblicazione delle esposizioni degli istituti di credito. La sua entrata in vigore, a gennaio 2026, sarà un ulteriore passo in avanti per il settore. In più, produrrà dati rilevanti per monitorare lo sviluppo di queste soluzioni nell’universo bancario.

La situazione italiana

Come si inquadra il nostro Paese all’interno di questo trend europeo? A un primo sguardo, gli istituti di credito italiani spiccano per la loro notevole familiarità con le tecnologie Blockchain. Più di 100 banche attive sul territorio nazionale aderiscono al progetto Spunta Banca DLT, coordinato da ABI Lab e attivo dal 2020. L’iniziativa sfrutta tecnologie distributed ledger per ridurre il rischio operativo e migliorare efficienza e precisione nelle transazioni interbancarie. Per farlo, sfrutta una condivisione sicura dei dati che consente di individuare eventuali disallineamenti.

In questo senso, dunque, il nostro Paese si trova all’avanguardia dell’implementazione di questa innovazione. Ma se si guarda ai crypto-asset, l’entusiasmo è decisamente più freddo. Al di fuori di una ristretta cerchia di piccole società a forte vocazione innovativa, tra i fornitori di servizi bancari e finanziari tradizionali praticamente nessuno consente l’integrazione di criptovalute nel portafoglio. E anche se alcuni degli istituti più grandi sono attivi con appositi team nella ricerca di potenziali applicazioni, l’approccio resta estremamente diffidente. L’atteggiamento dominante è ancora antagonistico. Tanto per fare alcuni esempi, sul sito di Intesa Sanpaolo si legge della «minaccia di disintermediazione rappresentata dalle criptovalute». Unicredit, invece, arriva a sconsigliare esplicitamente l’investimento in Bitcoin.

Eppure, l’interesse da parte della base clientelare cresce a ritmi sostenuti. Tra giugno 2023 e 2024, il Mercato Crypto italiano è cresciuto del 64%. Il suo valore aumenta così di circa 870 milioni di euro e il totale raggiunge i 2,22 miliardi (FABI, Guida alle criptovalute). Ben 1,35 milioni di italiani hanno effettuato investimenti in questo tipo di asset, mostrando l’esistenza di un chiaro spazio di Mercato, per ora ignorato dal sistema bancario.

 L’influenza delle istituzioni

Ma se le banche si mostrano caute – se non apertamente ostili – nei confronti di questa novità, è anche in virtù di un atteggiamento analogo assunto dalle autorità. Su tutte, la Banca d’Italia, che non manca di esprimere scetticismo riguardo all’impiego di crypto-asset. In una comunicazione diramata a giugno 2022, l’istituto dettagliava che «le cripto-attività possono generare rischi di vario genere. Una rapida e ampia diffusione di questi strumenti potrebbe compromettere la stabilità del sistema finanziario a causa dell’interdipendenza dei soggetti che vi partecipano, regolamentati e non, nonché della mancanza di controlli e strumenti che possono limitare gli effetti di eventi sfavorevoli».

Due anni dopo, l’approccio è sostanzialmente simile, nonostante l’assenza di regolamentazione e controlli appositi sia stata in parte superata dall’introduzione della MiCA. A luglio di quest’anno, in seguito all’entrata in vigore delle prime disposizioni del regolamento, una nuova comunicazione ha ridimensionato le precedenti indicazioni. Si restringe lievemente la censura nei confronti del mondo Crypto nel suo complesso. È ribadita, però, la critica agli asset che la MiCA definisce “residuali” – in sostanza tutte le valute più diffuse.

«Le cripto-attività non garantite, quali Bitcoin ed Ethereum, non sono di regola emesse da alcun operatore, sono prive di valore intrinseco e non generano flussi di reddito come cedole o dividendi» ha affermato dal palco dell’assemblea annuale ABI il governatore di Bankitalia, Fabio Panetta. «Esse sono create mediante scritture informatiche e non vi è alcun soggetto né alcuna attività, reale o finanziaria, che ne assicuri il valore. Sono talvolta scambiate su circuiti informali e opachi o su piattaforme non sottoposte ad adeguati controlli».

«Coloro che le detengono hanno l’obiettivo principale di rivenderle a prezzi maggiori e in alcuni casi quello di eludere le norme fiscali, di lotta al riciclaggio di danaro e di contrasto al finanziamento del terrorismo. In genere, queste crypto-attività non garantite rappresentano, di fatto, una scommessa, un contratto speculativo ad alto rischio il cui valore è svincolato da fondamentali. Per questo motivo, il loro valore registra fortissime oscillazioni. Come è evidente, esse non hanno le caratteristiche per svolgere le tre funzioni proprie della moneta: mezzo di pagamento, riserva di valore e unità di conto».

 Il vento sta cambiando?

L’opinione – non certo lusinghiera – della massima autorità bancaria lascia poco spazio alle interpretazioni, almeno nel breve termine. Eppure, se si guarda alla questione con un approccio di lungo periodo, non pare assurdo prevedere un cambio di direzione. Complice è anche un quadro istituzionale che sembra remare a favore delle Crypto, almeno a livello internazionale. Il Presidente eletto americano Donald Trump, ad esempio, ha mostrato durante la campagna elettorale di guardare con favore al mondo delle criptovalute. A confermarlo, la nomina di Paul Atkins – sostenitore di Bitcoin et similia – a capo della Security and Exchange Commission (SEC), massima autorità di vigilanza d’Oltreoceano. Atkins sostituirà l’uscente Gary Gensler, che aveva invece intrapreso una vera e propria campagna anti-Crypto.

A conti fatti, non è escluso che una normalizzazione sia all’ordine del giorno per le valute digitali nei prossimi anni. A una condizione: tenersi lontano da scandali che potrebbero alienare e spaventare gli investitori istituzionali. Una raccomandazione meno banale di quanto sembri, per un settore da anni associato a fatti di cronaca dalle tinte fosche. Dal plateale fallimento di FTX nel 2022 all’inchiesta a carico dell’altro più grande exchange al mondo, Binance, per riciclaggio di denaro, per arrivare alle recenti rivelazioni di agenti federali americani che associano la valuta Tether ad attività di narcotraffico e spionaggio internazionale. Tutte macchie che il comparto dovrà ripulire, se vuole essere ammesso nei salotti buoni della finanza internazionale.             ©

Articolo tratto dal numero dell’1 gennaio 2025 de il Bollettino. Abbonati!

📸 credit: canva.com

Da sempre appassionato di temi finanziari, per Il Bollettino mi occupo principalmente del settore bancario e di esteri. Curo una rubrica video settimanale in cui tratto temi finanziari in formato "pop".