venerdì, 13 Giugno 2025

Spesa militare, Dellepiane, HANetf: «Rutte dice di portarla al 5% del PIL? Così l’Italia sarà obbligata a triplicare i costi…»

spesa militare

In un contesto caratterizzato da crescenti tensioni geopolitiche, l’Unione Europea si mobilita con cifre sempre più aumento. Il piano Readiness 2030 di Ursula von der Leyen prevede di sbloccare fino a 800 miliardi di euro in spesa militare nei prossimi quattro anni, sospendendo i vincoli del Patto di Stabilità e stanziando 150 miliardi in prestiti ad hoc. Intanto, il Segretario Generale della NATO Mark Rutte sollecita un aumento delle spese pari al 400% per la difesa aerea. Cui si aggiunge un incremento per Paese fino al 3,5 % del PIL più l’1,5 % per infrastrutture e cybersecurity.

L’obiettivo finale? Spingere verso un impegno pari al 5% del Prodotto Interno Lordo entro il 2030. «Le recenti dichiarazioni del Segretario generale della NATO, Mark Rutte, riflettono una presa di coscienza netta dell’insufficienza dell’attuale architettura difensiva dell’Alleanza» dice Annacarla Dellepiane, Head of Southern Europe di HANetf: «La richiesta non va intesa come un obiettivo immediato e letterale, ma come un’indicazione politica forte di una nuova fase strategica in cui la NATO intende rafforzare in modo massiccio la propria deterrenza, soprattutto di fronte alla minaccia russa e all’evoluzione delle tecnologie missilistiche e ipersoniche.

Si tratta di un messaggio rivolto sia agli alleati militari sia al comparto industriale, affinché entrambi si attivino per una corsa agli armamenti che, nei piani dell’Alleanza, deve diventare sistemica e strutturale. Inoltre, mentre oggi molti Paesi europei continuano a investire meno del 2% del loro PIL, è oramai ben noto che gli alleati non possono più dipendere dagli Stati Uniti, che in passato coprivano circa il 70% del bilancio militare della NATO».

Qual è l’impatto economico di un incremento di questa portata? Sul piano europeo, quali settori industriali e infrastrutturali saranno coinvolti e quali margini di crescita per l’industria della difesa prevede?

«Un investimento di questa portata avrà un impatto economico significativo. A livello europeo, la crescita della spesa militare stimolerà direttamente il settore della difesa e dell’aerospazio. Ma anche comparti collegati come l’elettronica avanzata, la cybersecurity, la logistica e le infrastrutture strategiche. A ciò si aggiunga il piano recentemente approvato ReArm EU, che prevede 800 miliardi di euro di spesa per la difesa. In Italia, gruppi come Leonardo potrebbero trarre benefici rilevanti, con margini di crescita importanti per le industrie dual use e per l’innovazione tecnologica. Inoltre, si prevede un rafforzamento della spesa per la cybersicurezza e un’integrazione sempre maggiore tra il settore della difesa tradizionale e la cybersecurity».

Giovedì 12 il Segretario generale della Nato, Mark Rutte, sarà a Palazzo Chigi per incontrare il premier Giorgia Meloni. Sul tavolo il tema dell’aumento della spesa militare per la difesa. Rutte ha detto che i membri dell’alleanza concorderanno un obiettivo di spesa del 5% del Pil nel Vertice che si terrà il 24 e 25 giugno all’Aia. La composizione della spesa dovrebbe essere 3,5 per gli armamenti e 1,5 per spese di sicurezza più ampie. Quali saranno le conseguenze sui bilanci pubblici? È realistica per Paesi con elevato debito, come l’Italia?

«L’ipotesi avanzata da Rutte di portare la spesa militare complessiva al 5% del PIL rappresenta una sfida notevole per Paesi con elevato debito pubblico come l’Italia. Una tale soglia significherebbe, per Roma, triplicare la spesa annuale in difesa, passando dagli attuali circa 30 miliardi a 100 miliardi di euro. Una trasformazione del genere richiederebbe un ripensamento profondo delle priorità di bilancio. Più realistica, nel breve termine, è invece l’adozione di un piano graduale, distribuito su almeno un decennio, che permetta di accompagnare l’incremento con riforme industriali e un maggiore coinvolgimento del settore privato».

In che misura potrebbe essere possibile mobilitare capitale privato e quali strumenti finanziari sono più adatti per sostenere questi investimenti per il Governo Meloni?

«La mobilitazione di capitale privato potrebbe essere centrale per la sostenibilità del piano, ma esistono anche altre opzioni. Il Governo italiano, per esempio, potrà ricorrere a strumenti come obbligazioni tematiche (“defence bonds”) garantite dallo Stato o da istituzioni europee.  Inoltre, il piano ReArm Europe prevede che gli Stati membri possano attivare una clausola di salvaguardia che sospende i limiti di deficit dell’UE per quattro anni. Questo consente loro di finanziare fino all’1,5% del PIL in spese aggiuntive per la difesa tramite nuovo indebitamento. Il piano si basa in larga misura sull’aumento dell’indebitamento da parte dei governi nazionali per finanziare le spese aggiuntive per la difesa. Sebbene la Commissione Europea stimi che la clausola di salvaguardia possa sbloccare fino a 650 miliardi di euro in nuovo indebitamento».©

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