martedì, 1 Luglio 2025

Marsiglia, FederPetroli: «Manca ancora una politica energetica europea»

Sommario

Pensare che la politica Made in USA e le guerre in corso non ci riguardino direttamente è un errore di valutazione dei più gravi: le nostre bollette ne sono una prova. Il prezzo dell’energia, infatti, «è condizionato da una lunga concatenazione di fattori e scenari che coinvolgono tutta la filiera di distribuzione, produzione, estrazione e che, a monte, è determinata dal contesto geopolitico», dice Michele Marsiglia, Presidente di FederPetroli Italia. Partendo dall’energia tradizionale, quella a combustione, uno degli elementi che pesa maggiormente sui prezzi è senza dubbio l’amministrazione Trump, in quanto gli Stati Uniti sono uno dei principali player del settore.

Guardando al Mercato energetico internazionale, in questo periodo si sta manifestando una grande fase di incertezza dovuta al contesto geopolitico e alle dinamiche americane, da quando si è inserita la nuova amministrazione. E mentre il Mercato segue con attenzione gli sviluppi in Medio Oriente, uno dei più grandi fattori di instabilità deriva dalla politica statunitense sui dazi: vengono messi, tolti, rinviati, dimezzati. Di conseguenza, le aziende energetiche, ma anche quelle affini al comparto, vivono una fase d’incertezza. Basti pensare al settore dei trasporti: navi e aerei hanno bisogno di enormi quantità di combustibile e ciò indirettamente va a incidere sul Mercato energetico.

I dazi e le mosse dell’OPEC

Ci sono state molte oscillazioni nel costo del greggio, perché si è verificato ciò che già abbiamo vissuto con la prima amministrazione Trump: una diminuzione della produzione petrolifera per far aumentare i prezzi. Per rimediare a questa situazione, l’Arabia Saudita e l’OPEC (l’organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio) hanno deciso di inondare il Mercato con più estrazione e barili, in modo che diminuissero i prezzi del greggio, anche di quello americano del WTI e di quello definito “europeo” del Brent.

Questa è stata la prima mossa concreta contro i dazi. La conseguenza? Principalmente un danneggiamento delle compagnie petrolifere americane, che fanno trivellazione ed estrazione, in quanto hanno un punto di pareggio aziendale tra il costo di estrazione e il costo di vendita intorno ai 58-62 dollari a barile. Portare il prezzo del greggio sotto i 60 dollari al barile, dunque, come è avvenuto nei mesi scorsi, ha fatto sì che questi produttori USA entrassero in crisi, tant’è vero che le compagnie petrolifere statunitensi hanno accusato il Presidente Trump di averle messe in grossa difficoltà.

Tutte circostanze che delineano un contesto instabile, anche guardando alle prospettive: il tycoon ha annunciato il rinvio a luglio della tassazione extra sui prodotti UE, mentre resta appesa come una spada di Damocle la possibilità che l’Europa trovi un accordo. «Ma ancora non c’è nulla di preciso. Molti proclami, ma niente di certo. E questo contesto impatta sul Mercato dell’energia», dice Marsiglia.

Questa grande volatilità sul Mercato energetico è causata anche dai conflitti in corso: in che misura questi scenari influenzano i prezzi, il Mercato e gli investimenti in ambito energetico?

«La guerra tra Russia e Ucraina è ormai in una fase avanzata e, per fortuna, durante questo conflitto gli altri Paesi, specialmente l’Italia, hanno diversificato l’approvvigionamento energetico, quindi per noi non ci sono criticità. La Russia, però, potrebbe causare problemi al Mercato, in prospettiva, perché in questi tre o quattro anni ha diversificato a sua volta le vendite di greggio: se prima forniva all’Europa sia il greggio, sia gas, adesso li distribuisce ad altri Paesi.

Molto impattanti sul Mercato energetico, invece, sono i conflitti medio-orientali, innanzitutto quello israelo-palestinese: al largo delle coste di Gaza, infatti, c’è un grande giacimento di gas e di petrolio, uno dei più importanti al mondo, che non è sfruttato. Si chiama Leviathan e per adesso rifornisce in piccole quantità solo lo Stato israeliano. Sfruttato anche solo al 50%, questo giacimento potrebbe rivoluzionare le politiche energetiche di diversi Paesi e aree del Medio Oriente, tra cui Egitto e Cisgiordania. L’esito di questo conflitto, dunque, è importante per quelli che saranno gli sviluppi futuri.

Il terzo fattore, non meno importante, è la questione dell’Iran. Ѐ un Paese molto critico dal punto di vista geo-politico, vediamo le conseguenze del conflitto con Israele, anche in quell’area strategica dello scacchiere internazionale la situazione è in continua evoluzione. Questi tre punti di crisi, e principalmente gli ultimi due, sono quelli che nei prossimi mesi potranno rivoluzionare le quote di Mercato energetiche e le politiche petrolifere a livello internazionale».

Alla luce di questo contesto, quali sono gli scenari per i prezzi del petrolio e del gas? 

«In generale, un prezzo di 60-62 dollari al barile del greggio non è un prezzo ottimale, per raffinatori, produttori e compagnie estrattive, perché gli investimenti fatti, anche negli anni precedenti, sono stati calcolati considerando un prezzo che va dagli 80 agli 85 dollari al barile. Quindi, il prezzo che si vuole sullo scenario internazionale – lato compagnie petrolifere – è quello più alto, ma dato il contesto che abbiamo descritto poc’anzi c’è una forte speculazione sul Mercato, mai vista negli anni precedenti, che ovviamente fa oscillare anche i prezzi. Questa situazione costituisce una grande difficoltà: non tutte le imprese sono pronte a una speculazione finanziaria».

Un esempio?

«Se si compra un carico a 60 dollari al barile dagli USA e in quel momento si sta verificando qualche problema negli States che costringe a pagare il doppio alla consegna, non si ha la possibilità finanziaria per affrontare questa spesa. Le compagnie petrolifere, dunque, monitorano la situazione, se non ora dopo ora, giorno dopo giorno: in ogni momento c’è la possibilità che si verifichino eventi che potrebbero far scattare dinamiche finanziarie sul Mercato energetico. Quello che si può prevedere è che sicuramente ci sarà un aumento dei prezzi, per una questione puramente industriale, ma dipenderà sempre dai possibili scenari geopolitici futuri, che inevitabilmente condizioneranno anche Europa e Italia, sempre a rischio a causa del suo approvvigionamento energetico estero, che arriva al 92% del totale.

In questo contesto, il nostro Paese è più tutelato, come dicevamo all’inizio, ma non siamo certo immuni dalla volatilità. Come Stato, importiamo svariati miliardi di metri cubi di gas dall’Algeria, ma se la situazione socio-politica del Paese esplode, rischiamo anche noi. Stessa cosa vale per il Kazakistan: attraverso il grande oleodotto TAP che arriva in Puglia, abbiamo 10 miliardi di metri cubi di gas che arrivano da lì, ma se in Azerbaijan o altrove lungo il tragitto succede qualcosa, non riceviamo più niente».

Ci potrebbe dire qualcosa di più sulle conseguenze a cascata derivanti dalla situazione europea e italiana?

«L’Europa non riesce a darsi una roadmap precisa nei confronti degli altri Stati e ciò si traduce in una mancata politica energetica dell’Unione Europea, la grande assente dal momento della sua fondazione. Per questo ci troviamo in una situazione di dipendenza a ogni piccolo conflitto. Abbiamo bisogno di una politica che raggruppi tutte le forme di energia disponibili, fossile, rinnovabile, eolica, che sia strategica e condivisa da tutti gli Stati membri. Inoltre, l’UE si trova in difficoltà per una mancanza di dialogo. Noi abbiamo attivato delle sanzioni e siamo stati il Paese che ha perso più di quello che è stato sanzionato: è la prima volta che si è vista una cosa del genere.

Se siamo arrivati a emettere il diciottesimo pacchetto di sanzioni alla Russia, significa che per noi questo Paese era veramente tanto importante. Insomma, l’Unione non ha una politica decisa e lascia il Mercato, l’industria, la produttività molto in balia degli eventi, trovandosi, poi, senza dei riferimenti specifici per poter dialogare. Rispondere ai dazi con altri dazi, per esempio, diventa controproducente: Bruxelles dovrebbe rispondere con delle politiche strategiche da far recepire, in un secondo momento, anche alle aziende».

In quale modo possiamo tutelarci da questa dipendenza dai vari contesti internazionali? 

«Parlando dell’Italia, diciamo che viviamo in un’isola felice e principalmente grazie all’ENI, che è riuscita a diversificare gli investimenti e a creare un dialogo diplomatico e di cooperazione bilaterale con gli Stati. Tant’è vero che, già da anni, acquistiamo gas e greggio e per il meccanismo di solidarietà viene inviato anche a Paesi terzi in Europa. Come hub del Mediterraneo, dunque, la nostra posizione è favorevole, ma se siamo in un contesto europeo giustamente dobbiamo attenerci anche alle direttive dell’Unione: ancora oggi, non si può fare una diversificazione Stato per Stato dell’approvvigionamento energetico.

Sicuramente, la strategia difensiva delle aziende in questo momento consiste nel diminuire gli investimenti per evitare la volatilità sul Mercato e aspettare che le cose si muovano. Ė la stessa situazione che abbiamo in Libia: è un partner molto forte, ma prima di investire in un Paese con un conflitto interno in corso l’Italia e l’Europa ci hanno pensato molto. Questo temporeggiare, però, ha fatto sì che altri prendessero le nostre quote di Mercato: la Russia, l’Egitto e la Turchia sono tutti Paesi che ci hanno scavalcato, investendo in Libia».

Quali sono le ripercussioni sull’economia reale? 

«Se i prezzi rimangono contenuti, non c’è pericolo di aumenti o di sbalzi molto forti per l’utente finale, però bisogna essere pronti: oltre allo scenario instabile, anche una piccola variazione di stagione può dare già degli sconvolgimenti sui prezzi, banalmente l’accensione dei condizionatori».

Dopo questa panoramica sullo scenario di petrolio e gas, quale può essere un confronto con il settore dell’energia rinnovabile, sempre alla luce del contesto attuale?

«Il problema della volatilità non riguarda solo la fonte fossile, ma tutte le forme di energia. C’è, specialmente in Italia, un blocco su quello che è l’energia fossile, non stiamo lavorando bene sullo sfruttamento delle risorse, ma questa problematica ce l’ha anche chi si occupa di rinnovabili. Mettere una pala eolica o dei pannelli fotovoltaici su grandi impianti richiede autorizzazioni e il forte freno italiano è proprio quello di tipo burocratico e legislativo, che blocca gli investimenti. In questo caso, dunque, il problema non sono i conflitti in corso, bensì le produzioni interne.

L’Italia produce meno dell’8% dell’energia che consuma. Attraverso il Piano Mattei, ci sono tanti Stati in Africa che stanno collaborando con noi sul fronte energetico e stiamo lavorando molto bene: il Marocco, per esempio, sta sviluppando rinnovabili per conto delle nostre aziende, che non si possono più chiamare solo petrolifere, anche per una questione di economia circolare. Ė per questo che gli investimenti vengono ormai fatti su tutte le forme di energia.

Oggi non si può pensare solo al petrolio, ma all’energia a 360 gradi. Il fabbisogno, però, deve essere reale e non solo ideologico, altrimenti si rischia di sprecare soldi sia sul petrolio, sia sull’energia rinnovabile. Prendiamo la questione del Green Deal europeo, per esempio. Abbiamo investito tanti soldi per studiare delle politiche di cattura della CO2, che eliminassero zolfo, ecosostenibili, ma tre mesi fa l’Europa ha detto che vuole rivedere tutta la fase del Green Deal. Questa decisione è stata un duro colpo per quelle aziende che hanno speso miliardi per mettersi a norma sugli impianti. Si tratta di un’altra conferma di ciò che dicevamo prima, ovvero che le politiche europee dovrebbero essere più chiare e dare più valore alla propria produttività».

Anche l’amministrazione Trump ha voluto rivedere tutto ciò che riguarda l’energia rinnovabile e la sostenibilità. Quanto hanno impattato le decisioni del Presidente USA sui due diversi Mercati energetici?

«La prima cosa che ha fatto Trump una volta entrato nello Studio ovale è stata uscire dall’Accordo di Parigi, senza considerare che le compagnie petrolifere americane avevano investito molto negli ammodernamenti degli impianti per arrivare al net zero auspicato per il 2030, come da direttive presenti in quel documento. Uscendo da questo accordo e tornando al fossile, le politiche ESG che le aziende petrolifere cercavano di rispettare non riescono più a essere efficaci come prima e ciò si traduce in un malcontento generale, per quanto riguarda le compagnie di settore, azionisti e quotazioni».

In questo scenario, l’Europa e l’Italia possono tutelarsi solo evitando di investire o c’è qualche altro modo?

«L’Europa deve continuare a fare quello che non avrebbe voluto, ma che si sta verificando: ogni Stato sta pensando per sé, alla propria politica energetica, perché dopo l’inizio del conflitto russo-ucraino ognuno è corso a stringere i rapporti migliori che potesse avere per acquistare gas. Il risultato è un’UE unita da una parte, ma frammentata sotto il profilo delle politiche energetiche e delle politiche industriali. Paradossalmente, però, anche se a livello internazionale tutti quanti stanno capendo che l’Unione in questo momento non esiste se non sulla carta, l’indipendenza di ciascuno Stato è stata la carta vincente per ciascuno di essi. È ciò che è avvenuto per l’Italia con il già citato Piano Mattei.

Certamente, se riuscissimo a unirci come Europa riusciremmo a raggiungere obiettivi più ambiziosi, ma in questo momento l’indipendenza premia, perché salva l’economia reale: è il consumatore finale quello che ci interessa salvare, visto che siamo tutti consumatori. Se venisse prodotto tutto il gas che abbiamo nei fondali marini, potremmo avere un prezzo diverso, ma la burocrazia del nostro Paese blocca anche queste risorse. Ancora una volta, purtroppo, abbiamo la conferma che non sfruttiamo il nostro potenziale energetico, neanche quello rinnovabile». ©️

📸 Credits: Canva   

Articolo tratto dal numero del 1 luglio de il Bollettino. Abbonati!

Da sempre appassionato di temi finanziari, per Il Bollettino mi occupo principalmente del settore bancario e di esteri. Curo una rubrica video settimanale in cui tratto temi finanziari in formato "pop".