Oggi in Italia operano oltre 3.000 aziende nella filiera della canapa industriale. Una rete composta da agricoltori, Startup, ricercatori, trasformatori e distributori, che impiega oltre 30.000 persone lungo tutta la penisola. Secondo un documento ufficiale sottoposto alle Commissioni della Camera da Canapa Sativa Italia, il comparto genera un valore potenziale annuo di oltre 2 miliardi di euro, tra fatturato diretto, indotto e asset. Eppure, il nostro Paese — che fino agli anni ’30 era il secondo produttore mondiale dopo l’URSS — resta lontano dai livelli di altri Paesi europei, come la Francia, che oggi coltiva oltre 20.000 ettari contro i poco più di 4.000 italiani. Cosa serve all’Italia per raggiungere i competitor europei?
Un elemento rilevante è l’assenza di impianti di trasformazione, anche a causa della poca chiarezza della legge 242 del 2016, che pur aprendo alla coltivazione, non è stata esaustiva nella regolamentazione di tutta la filiera. Se in Francia o Germania l’agricoltore può contare su strutture specializzate per separare e valorizzare le diverse parti della pianta (fibra, canapulo, semi); in Italia, invece, le aziende sono spesso costrette a spedire la materia prima all’estero o a investire in trasformazioni autonome, scoraggiando l’espansione della filiera.
Di sicuro, le opportunità non scarseggiano. Il clima italiano è perfetto per la coltivazione della canapa, soprattutto per la produzione di fibra e semi. Le zone della Val Padana, della Toscana, del Centro-Sud e persino del Sud Italia offrono tutti i requisiti per una coltivazione eccellente. Le rese economiche, peraltro, sono interessanti: si stimano guadagni netti di 1.000-2.500 euro/ettaro per la fibra, 2.000-3.000 euro/ettaro per i semi e fino a 50.000 euro/ettaro per i fiori destinati alla produzione di CBD, il cannabidiolo oggi usato in numerosi settori.
A livello commerciale, il mercato è animato da centinaia di Startup, spesso fondate da under 35, e da almeno 800 shop fisici. Il comparto alimentare è il più sviluppato (80% del totale), seguito da cosmetici e bioedilizia (quasi 44%), mentre risultano ancora marginali i settori tessile, cartario, bioplastiche e biocarburanti.
Tra sequestri anche su coltivazioni legali e assenza di regole chiare su trasformazione e vendita, l’incertezza normativa continua a tappare le ali ad un settore che altrimenti spiccherebbe il volo e potrebbe consolidarsi in breve tempo come un asset strategico. Con una regolamentazione più efficace e armonizzata con l’Europa, l’Italia potrà tornare a essere un leader europeo della canapa e contribuire così allo sviluppo di un’economia sostenibile.
