Basta una passeggiata nel centro cittadino di una qualunque città per avere contezza della situazione. Le vie, fino a un decennio fa puntellate di negozi di ogni tipo, sono costellate di saracinesche abbassate e di attività di tutt’altro tipo, non legate alla vendita al dettaglio. È il progresso, si dirà. Ma «la desertificazione commerciale minaccia vivibilità, sicurezza e coesione sociale». Il grido d’allarme arriva da Carlo Sangalli, Presidente di Confcommercio.
Sono impietosi i dati elaborati dall’associazione nell’Analisi annuale sulla demografia d’impresa nelle città italiane. Tra il 2012 e il 2024 sono spariti quasi 118mila negozi al dettaglio e 23mila attività di commercio ambulante. Accade soprattutto nei centri storici, dove si chiude più che nelle periferie, e vale sia al Centro-Nord che nel Mezzogiorno. Nei Comuni al centro dell’analisi poi la riduzione degli esercizi si accompagna anche a quella degli sportelli bancari, che tra il 2015 e il 2023 sono passati da 8.026 a 5.173 (-35%).

Il quadro generale
La batosta ricade soprattutto sui settori merceologici tradizionali. Principalmente le attività legate ai carburanti, che calano del 42%, libri e giocattoli (-36%), mobili e ferramenta (-35%), abbigliamento (-26%) e anche alimentare (-13,6%). Più colpite sono le Regioni del Nord. Dei 122 Comuni presi in esame, ai primi cinque posti si collocano Ancona (-34,7%), Gorizia (-34%), Pesaro (-32,4%), Varese (-31,7%) e Alessandria (-31%). Maggiore tenuta al Centro-Sud: nelle ultime 5 posizioni si trovano infatti Crotone (-7%), Frascati (-8%), Olbia (-8,6%), Andria (-10%), Palermo (-11%).
Attenzione però al rovescio della medaglia. Il sintomo del cambiamento in atto arriva anche da altri numeri, in questo caso preceduti dal segno più. Al contrario delle botteghe storiche, risultano in crescita le attività di alloggio e ristorazione, che aumentano di 18.500 unità. Si intravede qui anche il declino demografico in corso, dimostrato dalla forte crescita della componente straniera nelle nuove aperture di esercizi. I titolari di origine estera rappresentano il 41% del totale. Il 39% degli stranieri poi sono concentrati proprio nel commercio, nell’alloggio e nella ristorazione.

L’invecchiamento progressivo della popolazione si riflette inesorabilmente anche sul sistema imprenditoriale: tra il 2014 e oggi sono sparite, in tutti i settori di attività, oltre 153mila attività di under35, di cui quasi la metà – 66mila – proprio nel commercio. Salgono infine anche servizi come farmacie (+12%) e computer e telefonia (+10,5%). Mentre il vero e proprio boom riguarda gli affitti brevi (+170%), spesso al centro di polemiche per aver ridisegnato, con la loro espansione, i centri urbani delle città.
Richieste impossibili
Tra le tante cause possibili dietro il fenomeno della desertificazione commerciale ce ne è una su cui non si può soprassedere. Il dubbio – o la certezza? – è che dietro le tante chiusure ci sia anche lo zampino di Airbnb, che ha contribuito a ridisegnare il profilo di città sempre più in mano a piccoli locatori e turismo mordi e fuggi. Quello che allontana i residenti, e il commercio di vicinato, e apre le porte invece alle esigenze di chi è di passaggio: alloggi e ristorazione.
La fotografia la fornisce uno studio del Politecnico di Torino sul Airbnb. Il 2024, riferisce il report, si è chiuso con il record di alloggi attivi su Airbnb: circa 754mila unità, con un incremento del 52% rispetto al 2017.
All’aumento dell’offerta di alloggi è corrisposto anche un incremento del numero di notti prenotate annualmente per unità, raggiungendo le 70 notti nel 2024 con un incremento del 50%. Così come la tariffa media giornaliera, cresciuta del 50%, giungendo a una media di 167 euro a notte. Con il risultato di passare da un giro di affari di circa 2,5 miliardi di euro nel 2017 a 8,8 miliardi nel 2024. Il balzo è prossimo al 242%.
Ma a essere aumentati sono anche i ricavi per unità, cresciuti del 124% (da 5.200 euro nel 2017 a 11.700 nel 2024). «Una simile crescita di redditività – che presenta ampie variazioni territoriali – è foriera di radicali conseguenze in termini di Mercato immobiliare tradizionale», si legge nello studio. La prima è «l’aumento significativo dell’appetibilità economica della locazione turistica breve». Affittare, insomma, conviene. Forse più della vendita al dettaglio.
Gli host
Basta guardare dal lato degli host. Gli attivi sono circa 350mila, l’84% dei quali è costituito da piccoli proprietari con una o due abitazioni. I Large host, che amministrano più di dieci alloggi, rappresentano solo l’1,3% ma controllano il 25% delle abitazioni presenti su Airbnb. Con guadagni medi che si attestano sui 17.900 euro per appartamento all’anno, contro gli 8.500 euro di un piccolo locatore. Complessivamente, i grandi gestori si spartiscono 3,3 miliardi di euro, pari al 38% del Mercato.
Senza contare l’aumento dei canoni, diventato insostenibile per i piccoli commercianti già alle prese con il calo del potere d’acquisto degli italiani, da tempo costretti a stringere la cinghia.
Tra 2015 e 2024 gli affitti residenziali in Europa sono aumentati mediamente di circa il 10% superando i 240 euro al mq/anno (Rapporto La casa in locazione in Italia e in Europa di Scenari Immobiliari e Abitare Co). Il canone medio per un appartamento nelle principali capitali europee, nell’ultimo trimestre del 2024, ha raggiunto i 1.600 euro mensili, in salita del 3,2% all’ultimo trimestre del 2023. A livello nazionale gli affitti sono rincarati del 4,7% su base annua. In città come Milano e Roma gli aumenti hanno superato il 5%: nel capoluogo lombardo il canone medio è di 180 euro al metro quadrato, nella capitale di 160 euro.
Gli acquisti online
E poi, c’è l’altro competitor invincibile per i commercianti storici. L’e-commerce, dominato dal gigante Amazon, i cui ricavi attuali hanno toccato i 187,8 miliardi di dollari, superando perfino le stime degli analisti. Ma la colpa non è solo della creatura di Jeff Bezos. Negli ultimi dieci anni le aziende e-commerce sono cresciute del 225% (Fonte: InfoCamere-Unioncamere su dati Movimprese).
Alla fine del 2024 le imprese di commercio online iscritte al Registro delle Camere di Commercio erano 43.379. Tra le Regioni con il maggior numero di operanti nel settore del commercio al dettaglio di qualsiasi prodotto effettuato via internet, ci sono la Lombardia con 8.545 imprese (il 19,7% del totale), la Campania con 6.484 (15%) e il Lazio con 5.088 (11,7%). Alle stesse Regioni va il podio della crescita in valore assoluto nel decennio considerato con +6.014 imprese in Lombardia, +5.170 in Campania, +3.499 nel Lazio. La Campania guida la classifica delle Regioni con il più alto tasso di crescita percentuale nel decennio (+393%), seguita da Calabria (+294%) e Molise (+251%). Numeri che testimoniano una diffusione trasversale e ormai radicata di queste attività in tutti i territori.

La nuova legge
In politica qualcosa si muove. Per cercare di arginare il declino dei negozi, in Commissione Attività produttive, commercio e turismo della Camera è iniziato l’esame di un Disegno di legge che ha l’obiettivo di tutelare e rilanciare il piccolo commercio di prossimità.
Lo schema è quello di semplificare la burocrazia e agevolare i procedimenti per le aperture. Nello specifico, la proposta prevede di introdurre un nuovo regime autorizzativo per le attività fino a 250 metri quadrati, che superi l’attuale sistema basato sulla Scia.
Il compito potrebbe così essere affidato alle amministrazioni locali, che attraverso gli Sportelli unici per le attività produttive rilascerebbero le autorizzazioni necessarie. A venire meno nel caso di insediamento o modifica di un esercizio commerciale nel cuore delle città storiche sarebbe quindi il controllo successivo. Il via libera arriverebbe solo con una preventiva valutazione da parte dei Comuni.
L’appello di Confcommercio
L’associazione di commercianti ha dal canto suo messo a punto una serie di proposte, inserite in un progetto dal nome Cities. Idee che arrivano dalle associazioni territoriali di Confcommercio per un nuovo modello di sviluppo urbano basato su economia, vivibilità e comunità. Tra le principali ce n’è per esempio una relativa alla logistica. L’idea, si legge nel progetto, è «promuovere Piani Urbani della Mobilità e della Logistica Sostenibili (PUMS e PULS) che integrino trasporti, urbanistica ed economia locale». Quindi, introdurre misure chiave come «piattaforme di smistamento merci con magazzini di prossimità per ridurre il traffico e la congestione urbana; sistemi di logistica a basso impatto ambientale con mezzi a zero emissioni e cargo bike». E ancora, accordi per la riapertura dei negozi sfitti a canoni calmierati, rendendo sostenibili i costi d’affitto per nuove imprese o attività in difficoltà. Promuovendo così «un uso più efficiente del patrimonio immobiliare esistente e riducendo i rischi per tutti gli attori in campo».

Le altre proposte
Si potrebbero poi sfruttare i Big Data e l’Urban Analytics per migliorare le politiche. Come evidenzia il documento, si sta già sperimentando sul campo una web-dashboard che monitora i flussi pedonali e le dinamiche commerciali nei centri urbani.
La condivisione di questi dati con Comuni e istituzioni e la collaborazione con enti di ricerca e università per la loro analisi «può velocizzare la programmazione di eventi e campagne di marketing e interventi sulla mobilità e riqualificazione urbana». A seguire, l’idea di una gestione partecipata e collettiva delle città, con uno spazio urbano, i servizi pubblici e le risorse valorizzati come beni comuni. Rivitalizzando così i quartieri, creando servizi per la comunità e promuovendo iniziative culturali e commerciali.
Infine, un ruolo più centrale per le economie di prossimità e le loro rappresentanze nella rigenerazione degli spazi pubblici e delle aree degradate, attraverso interventi infrastrutturali, di mitigazione degli impatti del cambiamento climatico, di urbanistica tattica e placemaking. «Contrastare la desertificazione commerciale richiede un approccio strategico e multidisciplinare», scrive Paolo Testa, responsabile Urbanistica e Rigenerazione Urbana di Confcommercio. «Le proposte di Cities delineano un percorso concreto per rendere le città più sostenibili, attrattive e competitive, valorizzando l’economia di prossimità come elemento chiave per il futuro urbano».

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📸 Credits: Canva
Articolo tratto dal numero del 15 ottobre de il Bollettino. Abbonati!
