venerdì, 19 Aprile 2024

«Giappone, Pil + 5%: la crescita c’è, però…», dice Axel Berkofsky dell’ISPI

DiSimona Sirianni

15 Dicembre 2020 , ,

Balzo del Pil nell’ultimo trimestre del 5% e tasso annualizzato di crescita pari al 21,4% (le previsioni davano una crescita del 18.9%). Sono questi i dati del Giappone, terza economia del mondo, che esce dalla fase negativa innescata dalla crisi del Covid-19, con il maggior incremento degli ultimi 40 anni.

Quasi tutto il mondo è caduto in un baratro. Il Giappone, invece, esce dalla recessione e l’economia torna a crescere? «Il Paese, come altri industrializzati, ha visto i suoi tassi di crescita economica aumentare molto rapidamente durante l’estate. Come in Europa e come negli Stati Uniti. Ma c’è un fatto da considerare…», spiega Axel Berkofsky, professore del Dipartimento di Scienza e Politiche Sociali dell’Università di Pavia e Senior Associate Research Fellow di ISPI. «I tassi di crescita economica giapponese nell’ultimo trimestre di quest’anno (settembre-dicembre) non saranno così alti come quelli degli anni precedenti. Sì, la pandemia ha colpito il Giappone molto meno di altre realtà. Ma l’impatto sul commercio e sulla produzione industriale sarà forte come nel resto del mondo industrializzato. In conclusione è tutto ancora da vedere, bisognerà aspettare l’inizio del 2021 per capire se il Giappone ne uscirà davvero con le ossa meno rotte degli altri».

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Yoshihide Suga, Primo ministro


Di certo c’è che – con i suoi 120 mila casi circa di coronavirus e meno di 2.000 decessi dall’inizio dell’epidemia – il Paese non ha imposto alcuna misura coercitiva per limitare la diffusione del contagio che paralizzasse, per mesi, l’economia di una Nazione che, per decenni, ha lottato con tassi di crescita bassissimi. Un sospiro di sollievo per l’ex premier Shinzo Abe, che si è dimesso per le sue precarie condizioni di salute.
Nel Giappone senza Shinzo Abe il suo Abenomics, l’ambizioso piano di riforma economica cominciato nel 2013 che prevede politica monetaria ultraespansiva, stimoli fiscali e riforme strutturali finalizzate ad aumentare la produttività, che fine farà?
«Vedremo. Diciamo che per ora non sono state annunciate modifiche. All’interno del LDP, il Partito Liberal Democratico, sono tutti concordi che Abenomics fosse un buon progetto. Non credo che vedremo cambiamenti…».
Quali risultati aveva ottenuto?
««Liquidità e riforme fiscali, ma mancano molte norme strutturali sostenibili e la partecipazione lavorativa femminile è ancora bassa. In più i regolamenti sull’immigrazione, che permettono di avere accesso a trattamenti preferenziali per il visto e la residenza permanente solo agli stranieri con competenze lavorative (recentemente è stato introdotto un nuovo tipo di visto a punti, per i lavoratori altamente qualificati), non aiuteranno il Giappone a evitare di diventare una società molto vecchia».
Yoshihide Suga, il nuovo Primo ministro, proseguirà sulla scia di Abe o cambierà?
«Troppo presto per dirlo. È stato eletto da poche settimane. Comunque è un uomo di basso profilo, che ha passato tanto tempo a proteggere Shinzo Abe e sua moglie dalla serie di scandali politico/finanziari in cui erano coinvolti».
Che cosa significa per il Giappone la firma sul Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) lo storico accordo commerciale tra le quindici nazioni asiatiche, tra cui Cina, Giappone e Corea del Sud, che sposta ancora di più il centro di gravità dell’economia mondiale a Oriente?
«Semplice: commercio tra questi Paesi senza tariffe. Ci sono ancora diversi aspetti da sistemare, ma gli accordi regionali di libero scambio – se c’è abbastanza domanda – aumentano sempre gli affari».

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Questa condizione darà ulteriore impulso all’economia del Sol Levante?
«Tutto dipenderà dalla domanda alla ripresa della crescita economica globale, presumibilmente nel 2021»
Quali sono i punti di forza del paese?
«Esperienza con accordi di libero scambio e ovviamente molti prodotti e tecnologie che altri paesi vogliono acquistare. La tecnologia giapponese e i beni di consumo rappresentano un export di prim’ordine e di alta qualità».
Riguardo ai rapporti internazionali intrecciati dal governo, in che modo cambieranno quelli con gli Stati Uniti adesso che c’è il neo presidente Joe Biden?
«La sconfitta alle elezioni di Donald Trump è un bene per il Giappone. Shinzo Abe ha avuto buoni rapporti con Trump. Ma l’ex presidente Usa, come ha fatto anche con l’UE, ha minacciato di imporre dazi sui prodotti giapponesi. L’ha fatto più di una volta negli ultimi 4 anni. Inoltre più di una volta ha chiesto che il Giappone pagasse più soldi per lo stazionamento delle forze armate statunitensi sul suo territorio – attualmente, il governo giapponese sta pagando circa il 75% dei costi. Ecco, questo tipo di incertezze e di minacce non saranno più all’ordine del giorno con il presidente Biden».

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Che tipo di rapporti economici ci sono tra l’Italia e il Giappone?
«Storicamente ottime relazioni commerciali. Beni di lusso e moda, soprattutto, sono due voci rilevanti del nostro export nel Paese asiatico. Rappresentano ben il 24,5% del totale per un ammontare, in valore, di 2,5 miliardi di euro sui 10,5 miliardi di esportazioni registrati complessivamente dal febbraio 2019 al gennaio 2020. Primo anno, peraltro, dell’attuazione dell’accordo di partenariato economico EPA UE-Giappone. Che prevede maggiori liberalizzazioni tariffarie e che ha aperto nuove opportunità per le aziende tricolore, agevolando lo scambio di cui alcuni prodotti. Il Made in Italy resta un punto di grande forza in Giappone».

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