lunedì, 7 Ottobre 2024

Vola il mercato dello STREAMING «Vale quasi 100 miliardi di dollari, raddoppio entro 5 anni»

Se la cultura non è fruibile dal vivo ci prova lo streaming a compensare l’assenza di emozioni live al cinema o a teatro. Le piattaforme registrano un aumento vertiginoso degli abbonati, le statistiche sono talmente promettenti che il mercato di un settore che già vale quasi 100 miliardi di dollari, arriverà a raddoppiare il suo valore entro 5 anni.
«Gli ultimi dati provengono da una ricerca di Ernst & Young, elaborata in collaborazione con Fastweb e Discovery, che prende in considerazione i risultati di Netflix, Timvision, Infinity (Mediaset), Now Tv (Sky), Amazon Prime Video, Eurosport Player, Dazn e Disney+: a luglio 2020 in Italia si contavano 15,8 milioni di utenti e 6,8 milioni di sottoscrittori. Rispetto a giugno 2017 si tratta di 11,5 milioni di utenti in più; 8,1 milioni di abbonamenti in più», dice Anna Bisogno, Professore Associato presso l’Università Mercatorum dove insegna Cinema Radio e Televisione nel Corso di laurea in Scienze delle arti, dello spettacolo e del cinema.
«Con l’aumento del tempo medio passato su piattaforme streaming rispetto alla tv classica e un ridimensionamento del costo per abbonamento, aggiungerei. Fino al 2020 tutta questa galassia di player era considerata una bolla grande e variegata, tendenzialmente limitata a profili ben definiti di spettatori, per lo più benestanti, abitanti in città medio-grandi e con un elevato livello di istruzione. La pandemia ha cambiato le carte in tavola e le maglie della nicchia si sono allargate trasversalmente. Dico di più, l’on demand è diventato un concetto culturale. Ad esempio, la spesa consegnata a casa a causa del lockdown non è più un aggirarsi tra i banchi di un supermercato ma farsi suggerire l’acquisto dalle merci, componendo una propria con i prodotti già presenti in una lista».

Il  successo delle piattaforme di streaming sta rivoluzionando le dinamiche dell’industria cinematografica globale?

«Indietro non si torna. La pandemia ha spazzato via tutto e oggi senza le sale virtuali il pubblico sarebbe orfano di cinema e il mercato in crisi ancora più profonda. Questa accelerazione si è tradotta in una crescita industriale con una conseguente evoluzione del mercato, meno monocorde, più maturo. Quando si tornerà in sala la piattaforma sarà complementare, diventerà strumento di visibilità, sala fisica e sala virtuale dialogheranno. Vanno però distinte le piattaforme di chi detiene anche i diritti, come Disney, da quelle degli esercenti che pagano i diritti di noleggio ma in ogni caso i film trovano un pubblico che in sala non è detto che troverebbero e questo anche per la produzione e i registi è un fatto nuovo. Immaginiamo un futuro di meno film in sala, ma con teniture più lunghe dal momento che non credo ritroveremo i flussi precedenti».

In futuro virtuale e reale giocheranno di sponda?

«Sono già sponda l’una dell’altra e saranno i nuovi termini di un processo in cui tutta la filiera della distribuzione a essere ripensata. Le sale certo non scompariranno all’improvviso, ma il loro ridimensionamento richiederà una profonda trasformazione del loro ruolo. Attualmente i colossi sono Netflix, Disney+ (che ha appena superato i 100 milioni di abbonati globali in 16 mesi), Amazon Prime Video, Apple + a cui si aggiungono poi Now di Sky, Timvision, la già citata RaiPlay (gratuita), Chili, Rakuten, Infinity, ma in Italia mancano ancora tra gli altri Hulu, Hbo Max di WarnerMedia, Peacock di Nbc Universal.
A queste piattaforme di video streaming (non solo di cinema) si sono aggiunge tante altre esperienze amate dagli appassionati della settima arte: prima su tutte Mubi che propone un cartellone con un film al giorno, retrospettive, grandi classici e selezioni dai festival di tutto il mondo, ma anche Cinema ritrovato – Fuori sala con la storia del cinema e le opere restaurate, la neonata IWonderfull, #Miocinema (piattaforma del cinema d’autore che mette al centro la sala cinematografica e il suo pubblico) e #Iorestoinsala (un circuito di sale virtuali, la cui offerta cinematografica è fruibile online) e l’ultima nata: Nexo+ da Nexodigital che intende distinguersi per la diversità dell’offerta, non solo cinematografica ma culturale in senso ampio e un palinsesto ibrido che somiglia alla programmazione generalista di un canale tv».

Vantaggi e svantaggi del digitale?

«Bisogna partire, a mio giudizio, da un presupposto: “è impossibile vivere in società senza protensioni collettive positive e queste procedono in maniera intergenerazionale  e transgenerazionale” teorizza il filosofo francese Bernard Stiegler. Si tratta cioè di processi che usiamo per scoprire e abitare il mondo, di strumenti per essere, non per fare. La tecnologia, prima ancora di essere una cosa da “usare”, è una cosa del “sentire”, perché cambia la percezione e dunque fornisce un diverso sentire. Questo è lo scollamento tra un’era di sistema tecnologico digitale e le sue funzioni e un discorso sulla società, sull’uomo e la società, sull’uomo con sé stesso e con gli altri. I vantaggi e gli svantaggi appartengono alla dimensione della tecnologia come strumento, mentre essi andrebbero inquadrati in una di ambiente mediale in cui un fruitore crea e agisce. La piattaforma non è un palliativo».

Gli italiani hanno fatto fatica in termini di capacità tecnologiche… Post Covid-19 abbandoneranno questa nuova abitudine?

«Non parlerei di abitudine, ma di utilizzo finalizzato. L’ondata del coronavirus ha scoperchiato i ritardi, enormi, tra l’Italia e la tecnologia, gli italiani e il rapporto con essa. Le università telematiche sono state tra le pochissime istituzioni educative a farsi trovare pronte in questa prova culturale e sociale molto dura, dimostrando di essere all’avanguardia e pienamente nello spirito del tempo. Fino a poco tempo fa, uno dei principali ostacoli a una maggiore diffusione della tv on demand a pagamento era rappresentata dalla difficoltà di accesso, non immediatamente praticabile per chi non ha una certa dimestichezza con le nuove tecnologie.
Ora invece ci sono persino i telecomandi con i pulsanti dedicati e l’esperienza d’uso è in tutto e per tutto simile a quella della fruizione dei canali tradizionali. C’è anche più dimestichezza con lo smartphone, a dispetto dello schermo angusto dei computer, con i tablet che sono considerati dispositivi “ibridi” ovvero portatili ma non troppo, con schermo grande ma non troppo e probabilmente destinati a essere superati».

Come è cambiato il mezzo televisivo nella convergenza con il digitale, con il suo avvento la tv muore?

«No, la televisione generalista non è ancora morta. La televisione con la parola e le immagini, declinate nei diversi generi e formati, in questi lunghi mesi ha reso tangibile qualcosa di invisibile, sfuggente, subdolo recuperando il suo ruolo fondante nel dibattito pubblico, con un pubblico vastissimo che l’ha eletta a medium di riferimento. Nell’emergenza, gli italiani hanno cercato in tv soprattutto l’informazione con i telegiornali, soprattutto nella prima fase, e i talk show, intesi quale prolungamento e approfondimento delle strisce di informazione. Per farsi un’idea, il Tg1 durante la prima fase ha avuto una media di 7,1 milioni di spettatori con un +2,1 milioni rispetto allo scorso anno.
Le piattaforme streaming e l’on demand non hanno ancora spazzato via la cosiddetta fruizione lineare. Cinque anni fa, quando Netflix si affacciava per la prima volta sul mercato italiano, erano in molti a dare il piccolo schermo per spacciato: alcuni erano certi che gli restassero pochi anni di vita e che, con il passare del tempo, il pubblico si sarebbe frantumato in così tanti piccoli pezzettini da non lasciarne neanche uno in salotto a custodire la vecchia maniera, ma la tv non è morta. Si è spostata su altre piattaforme, ha cambiato forma, fruizione e offerta».