venerdì, 19 Aprile 2024

INVESTIRE IN BLOCKCHAIN PER ISTRUZIONE E SANITÀ: «MA MANCA UN FRAMEWORK A LIVELLO EUROPEO»

II ritardo nell’utilizzo della blockchain rischia di rallentarci nell’evoluzione economica. Perché il futuro di qualsiasi settore, da quello agroalimentare a quello della moda, dalla pubblica amministrazione al settore dei trasporti – anche sanitari -, passa da qui. «Il vaccino ha bisogno di essere conservato a temperature davvero basse, come garantire questi parametri e renderli verificabili lungo tutto il tragitto? La blockchain potrebbe rispondere all’esigenza di tracciabilità del vaccino, dallo stabilimento di produzione sino alla consegna ai centri vaccinali, garantendo una ricostruzione affidabile di ogni passaggio a cui il vaccino viene sottoposto», dice Angela Petraglia, avvocato impegnato nel mondo ICT e delle Nuove Tecnologie, co fondatrice di BLOC LawTech Firm. «L’interazione poi della blockchain con altre tecnologie coordinate, come sensori per registrare tutti i dati da inserire sulla catena di blocchi, consente un esempio virtuoso di corretta gestione dei dati e del prodotto».

Che cosa serve però?

«Bisogna realizzare un framework uniforme a livello europeo e accompagnarlo con un’intesa attività divulgativa. L’Italia ha già riconosciuto valore legale ai registri distribuiti, tra cui possiamo annoverare anche il protocollo blockchain. Non è solo una tecnologia per addetti ai lavori ma rappresenta l’occasione di un cambio di mentalità per tutti, in particolare per il mondo imprenditoriale dove la trasformazione digitale e l’adozione di “nuove” tecnologie può apportare un plus di assoluto pregio e valore economico oltre che un vantaggio reputazionale».

In che modo il mondo blockchain sta influendo sull’economia reale?

«La tecnologia in generale sta acquisendo un ruolo determinante nella sfera economica e sociale. Di per sé è neutrale, nel senso che opera sempre un processo noto e conoscibile. Nel particolare caso della blockchain, ciò che viene inserito sulla catena di blocchi viene notarizzato, operando in logica sequenziale e rendendo ogni transazione immodificabile, trasparente e verificabile. Pertanto l’impatto che la blockchain determina dipende dalla finalità per la quale viene utilizzata. Pensiamo ai molteplici casi d’uso in cui il medesimo strumento tecnologico può essere declinato».

Quali?

«Ad esempio, nel settore dell’istruzione, la blockchain potrebbe essere un valido ausilio per la notarizzazione delle competenze, nel settore agroalimentare per la tracciabilità della filiera e così via. Le caratteristiche di questa tecnologia permettono di ottimizzare i processi aziendali interni business e consumer. Ma è un passaggio che va considerato a valle dell’intero ecosistema in cui si inserisce: acquisisce senso se c’è visione e progettazione dell’intero ecosistema».

In che senso?

«Se voglio avere la sicurezza che l’uso di una tecnologia sia performante devo garantire il processo dall’inizio alla fine. Se adottassi la blockchain per la sola parte finale di un processo senza tenere conto dei passaggi precedenti rischierei di renderne vana l’adozione. Se i dati inseriti in blockchain fossero falsi o approssimativi, il risultato della notarizzazione sarebbe inaffidabile, genererebbe un’inefficienza dell’intero processo e un danno reputazionale. Occorre anzitutto raccogliere dati corretti e trasparenti per dare senso all’utilizzo di questa tecnologia. Dove poi i dati inseriti siano personali occorrerà porsi domande sul loro corretto trattamento ai sensi del GDPR, questione non di poco conto. Si tenga a mente che il dato raccolto correttamente, notarizzato su blockchain può essere oggetto di ulteriori passaggi e analisi ed essere trasferito ad altri strumenti tecnologici (come i sistemi di IoT), generando un plus valore per l’azienda e un vero e proprio asset monetizzabile. Il tema caldo resta ancora quello del passaggio dei dati tra sistemi interoperabili. La tecnologia va considerata al servizio dei dati, che sono il nuovo petrolio. La blockchain è una tecnologia disruptive, non può essere arrestata o modificata, segue un percorso lineare che opera nel segno della trasparenza, generando fiducia tra tutti gli stakeholders».

Dal punto di vista legale che problematiche solleva?

«Possiamo dire che occorre un cambio totale di approccio anche da questo punto di vista. Il primo tema da risolvere è la definizione normativa al livello europeo. L’Italia è stata pioniera nel fornire una qualificazione giuridica dei registri distribuiti, pur non scendendo nel dettaglio di definire cosa sia una blockchain. Restano carenti le indicazioni tecniche da parte dell’Agid per darvi attuazione. I temi principali da risolvere vertono sull’identificazione della giurisdizione, la gestione del data transfer, la qualificazione soggettiva ai fini privacy dove vengano in esame dati personali (pensiamo alla registrazione sulla catena di blocchi di transazioni relativi a pagamenti da parte del consumatore), sul codice del consumo, sull’antitrust e non solo. In base a quale ecosistema venga scelto e alla finalità per cui viene adottata questa tecnologia, occorrerà valutare le ulteriori implicazioni legali. Si tratta di una materia in rapida evoluzione, da coordinare con le normative sovranazionali, nazionali e di settore già esistenti, non solo nel campo tecnologico».

Quanto livello di consapevolezza c’è tra gli imprenditori italiani sull’utilizzo di questa tecnologia e, più in generale, sul considerarla all’interno di un ecosistema?

«Nel 2018 solo il 3% delle aziende disponeva di un progetto blockchain su larga scala, il 10% attivato un pilot e l’87% abbozzato un progetto. Ancora nel 2020 si evidenziava come le maggiori difficoltà per lo sviluppo di questa attività in Italia fossero legate principalmente alle difficoltà burocratiche e al difficoltoso reperimento di finanziamenti, oltre che all’individuazione di persone preparate sul tema. Il livello di consapevolezza dipende anche dalla sensibilità del territorio e dai fondi a disposizioni per diffondere la cultura tecnologica. Noto un crescente interesse, ma una scarsa propensione alla concreta applicazione. Lo scorso anno ho partecipato a un programma di sensibilizzazione rivolto all’imprenditoria femminile per far conoscere l’esistenza di questa tecnologia e la sua funzione come strumento di innovazione. Occorre trasferire una nuova forma mentis che consenta a tutti di capire. Dal punto di vista economico, l’UE sta conferendo importanti finanziamenti nel settore tecnologico nel programma Horizon Europe 2021 – 2027, Next Generetion Ue e in Italia si vede un’apertura in senso ampio con il PNRR».

Quanto siamo fuori tempo massimo?

«In Italia si è iniziato a parlare di blockchain solo negli ultimi anni, ma in realtà non è una tecnologia nuova. Semplicemente prima i tempi non erano maturi per la sua diffusione al grande pubblico. Oggi il panorama sembra cambiato e, su spinta europea, si avverte l’esigenza di modernizzare le infrastrutture di base. Come si diceva, l’Italia ha avuto il grande pregio di introdurre la definizione quanto meno di DLT, ma poi si è arenata sui risvolti pratici, generando di fatto una situazione di stasi ancora non definita. Credo che riconoscere l’esigenza di una tecnologia sia già un grande passo avanti, ma con la rapida evoluzione che stiamo vivendo, fatta di grande competitività, l’Italia deve accelerare il passo e contribuire alla formazione di giuristi e non solo tecnici preparati sulla materia. Altri Paesi come la Svizzera e Malta hanno prediletto approcci molto diversi, alcuni più pratici e meno teorici, evidenziando anche in quei casi alcuni ostacoli superabili solo con un quadro normativo uniforme. Credo che la vera rivoluzione consisterà nell’audizione di questa tecnologia nell’ambito dell’e-procurement rivolto alla pubblica amministrazione, lenta e farraginosa. Si tratterà di un processo lungo perché richiede un’intesa attività di formazione, ma anche una revisione delle infrastrutture informatiche e organizzative».

Quali sono gli attori che si devono innovare?

«Tutti gli stakeholders. Occorre partire dalla formazione del personale, dei consulenti e degli avvocati sui temi collegati strettamente al settore tecnologico. È fondamentale costruire un ecosistema di competenze complementari in cui tutti siano informati sui sistemi in uso. Si deve partire da divulgazione e sensibilizzazione. Il punto focale è la comprensione di come utilizzare la tecnologia a favore dell’uomo, per dare trasparenza ai processi e rendere performante e produttiva l’attività imprenditoriale nel rispetto della legge e dei diritti e libertà delle persone fisiche. Non serve introdurre la blockchain in modo discontinuo, occorre affiancarsi da consulenti formati sulla materia per costruire un processo virtuoso e di valore in termine di credibilità e di reputazione».